TÁR ⋅ Un film di Todd Field ⋅ 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ⋅ Concorso

A ben sedici anni di distanza dal precedente Little Children (2006), secondo film dopo l’esordio In the Bedroom (2001), Todd Field torna al cinema con un’opera ambiziosa della durata di quasi tre ore, mostruosa prova d’attrice per una Cate Blanchett a caccia di Oscar. Tár inizia con i titoli di coda, gesto cinematografico provocatorio come a dare il senso della fatica collettiva richiesta nel fare un film e dunque della pazienza che sarebbe opportuna nel fruirlo. Non certo una carezza per chi guarda, ma un invito a riflettere prima di reagire e giudicare chiunque e qualsiasi cosa. Infatti, il personaggio su cui è incentrato il film corre il rischio di essere condannato con leggerezza e facilità da una società troppo superficiale e veloce rispetto alla complessità che la attraversa. Lydia Tár è una figura d’invenzione, pianista e direttrice d’orchestra giunta alla ribalta che ha sempre sognato, cioè la Philarmonie di Berlino. Lì, si prepara a dirigere l’unica sinfonia del repertorio di Gustav Mahler che ancora non abbia affrontato nella sua carriera di allieva di Leonard Benstein e dunque di cultrice, al pari di lui, del compositore austriaco. La sinfonia è la quinta, quella che risuona in Morte a Venezia (1971) di Visconti, allusione alla caduta patetica che la protagonista finirà per affrontare.

All’inizio del film Tár è l’incarnazione dell’eccellenza, della tensione verso l’ideale, è implacabile, potente. Il racconto si muove nello spazio di tensione tra la potenza, intesa come possibilità d’azione che non necessariamente si realizza, e il potere cioè l’influenza che effettivamente si ha sulle vite altrui con le proprie scelte. Nel caso della protagonista, che dirigendo un’orchestra è l’epitome del potere individuale e carismatico, significa attribuire o meno delle borse di studio, valutare e selezionare le candidature nei concorsi musicali, assumere o licenziare chi collabora con lei, disporre del loro tempo e delle loro risorse. Tra coloro su cui Tár esercita il suo potere c’è Francesca (Noémie Merlant), giovane aspirante direttrice d’orchestra che nell’attesa di una promozione le fa da segretaria personale. Il loro rapporto è punteggiato da tutti quei piccoli abusi quotidiani che la tacita promessa di carriera e la natura stessa dei rapporti gerarchici legittimano. Un’interdipendenza tanto banale quanto tossica che ricorda l’interazione tra Juliette Binoche e Kristen Stewart in Sils Maria (2014) di Olivier Assayas. Non c’è mai nulla di letteralmente illegale nel modo in cui Tár tratta Francesca, eppure non si può negare la violenza che la più anziana distilla costantemente e a piccole dosi nei confronti della più giovane.

Il potere è fatto di luci e di ombre, di riflettori come quelli che illuminano la star nella scena in cui viene intervistata pubblicamente dal vero giornalista del “New Yorker” Adam Gopnik, e di notti in cui si sveglia con la sensazione di essere spiata, trovando nel suo appartamento segni di una presenza invisibile e minacciosa, come se il potere recasse sempre in sé anche la paura di perderlo e l’angoscia della solitudine di fronte all’ostilità del mondo. Un’atmosfera da thriller permea il film prima in forma più astratta (le urla di una donna in un parco dove Tár fa jogging) poi sempre più concreta quando il suicidio di una Krista, giovane ex protetta inizia a diffondere sospetti sull’etica professionale della protagonista. A quel punto si mette in moto un meccanismo di indagini legali e di delegittimazione via social che precipita la donna in una spirale di violenza e follia distruttrice e autodistruttrice. Il titolo in lettere maiuscole allude al declassamento di TAR al rango di RAT, ratto, secondo il gioco di anagrammi a cui lei stessa ogni tanto si dedica quasi fosse un’arte divinatoria (KRISTA diventa AT RISK, a rischio poco prima del suicidio). Prima molto compiaciuta e sicura di sé, quando si sente braccata la musicista dà la stura a tutta la ferocia che mascherava e che forse nasce dal bisogno di seppellire un passato molto differente dalla vita di agi e previlegi che si è conquistata. 

Il film non racconta la verità su Tár, su quali fossero i suoi rapporti con la giovane suicida, ma scava una faglia generazionale tra lei e vari personaggi che la circondano, costruisce un labirinto di elementi contrastanti, sollecita ipotesi, mette in guardia dagli abusi di potere ma anche dalla meschinità di certe gogne mediatiche, dalle scorciatoie intellettuali ed etiche che circolano via social. Beffa la pusillanimità di chi vive di luce riflessa, di chi si nutre di briciole ma anche il compiacimento di chi gliele getta. La cosiddetta “cancel culture” è ridicolizzata nella scena in cui un allievo della Juilliard school si presenta come “BIPOC” (Black, Indigenous and Person of Color) e dichiara di non apprezzare Bach perché era misogino al che lei lo umilia con una replica secca: “Il narcisismo delle vostre piccole differenze porta al più noioso conformismo”. Certo Tár ha tutti i difetti di una donna che è assurta al potere tessendo relazioni mai prive di tornaconto, come le fa notare la compagna e primo violino della sua orchestra (la splendida Nina Hoss). Ma è anche un’artista estremamente dedita al lavoro, per quanto forse ormai non più in sintonia con il suo tempo, convinta com’è che per essere rispettata debba farsi chiamare al maschile maestro ed esercitare la sua responsabilità con metodi che non tengono conto dei cambiamenti avvenuti dopo il #metoo e che rischiano di metterla in scacco quando si mostra troppo rigorosa con alcune e abbassa gli standard di giudizio per favorire una giovane violoncellista russa che la ammalia. Il film deforma l’immagine dei movimenti sociali attuali contro le violenze sessiste e razziste ritraendone solo le derive conformiste e lasciando che una critica più seria emerga da chi guarda. Il suo merito resta però quello di lasciare aperta una domanda: è possibile gestire il potere senza abusarne, evitando di cadere nelle sue stesse trappole? È possibile comandare in modo giusto e responsabile? 

TRAMA

Lydia Tár è una direttrice di fama mondiale con una carriera solidissima che inizia però a scricchiolare nel momento in cui si suicida una giovane che per ragioni non del tutto precisate ha smesso di sostenere nella sua carriera, arrivando quindi a ostacolarla. L’edificio di una vita artistica e famigliare costruito negli anni è allora a rischio e pian piano cede in una successione di vendette, tradimenti, rifiuti che costringeranno la donna a una tragica caduta e a una resa dei conti con se stessa.

CREDITI
Titolo originale Tár / Regia: Todd Field / Sceneggiatura: Todd Field / Montaggio: Monika Willi / Fotografia: Florian Hoffmeister / Scenografia: Marco Bittner Rosser / Costumi: Bina Daigeler / Musica: Hildur Guðnadóttir / Interpreti: Cate Blanchett, Noémie Merlant, Nina Hoss, Sophie Kauer, Julian Glover, Allan Corduner, Mark Strong / Paese, anno: USA, 2022 / Produzione: Todd Field con Alexandra Milchan e Scott Lambert / Distribuzione: Universal / Durata: 157 minuti

SUL WEB

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La filmografia di Todd Field

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