Il signore delle formiche ⋅ Un film di Gianni Amelio ⋅ 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ⋅ Concorso

Alla festa de “l’Unità” si proietta Dove volano le cicogne (1957) di Kalatazov ma nessuno presta attenzione alla storia dei due amanti separati dalla brutalità della Storia mentre sta per andare in scena sotto i loro stessi occhi un dramma analogo. Questa volta, però, i protagonisti non saranno una ragazza e un ragazzo bensì due uomini, che l’Italia ancora non defascistizzata degli anni Sessanta vesserà spietatamente. Inizia così il film con cui Gianni Amelio ha ricostruito il processo-farsa per il reato di “plagio” intentato nel 1968 contro l’intellettuale marxista, mirmecologo ed ex-partigiano Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio) dalla famiglia del suo innamorato, il ventitreenne Giovanni Sanfratello ribattezzato con il nome fittizio di Ettore Tagliaferri, il che dà da meditare su quanto ancora bruci questa vicenda.

Inizialmente, il film doveva essere un documentario, proposto dalla Kavac film di Marco Bellocchio al regista che per Felice chi è diverso (2014) aveva avuto contatti telefonici con Aldo Braibanti poco prima che venisse a mancare. Poi, Amelio ha preferito optare per una forma a soggetto che gli lasciasse la libertà di raccontare a suo modo questa vicenda senza però modificarne la sostanza. Il signore delle formiche narra una storia d’amore orribilmente repressa dalla famiglia del ragazzo, disposta a “guarirlo” a colpi di elettroshock, con la complicità di tutto un contesto sociale e politico senza distinzione di partito. Anzi, poiché Braibanti era stato per un periodo responsabile della Gioventù Comunista toscana, particolarmente significativo è il ruolo del PCI che di fronte al suo “caso” si troverà impigliato nel proprio anacronistico moralismo, nel “benaltrismo” di dirigenti pronti ad aiutare un compagno in difficoltà purché non sia un “vizioso”, di avvocati di sinistra che alle manifestazioni di solidarietà per l’intellettuale urleranno “le proteste si fanno per il Vietnam, non per un invertito”. All’epoca, l’antipsichiatria e il movimento di liberazione omosessuale erano ancora in nuce e nell’alveo comunista non sono molti a comprendere che si tratta di una violenza di Stato retriva e inaudita compiuta in nome di un articolo del Codice penale fascista che non prevedeva la parola “omosessualità” solo perché il silenzio è un modo perverso di reprimere ignorando. Il reato di plagio era l’unica strada per dare legittimazione giudiziaria a una violenza omofoba che non molti ancora riconoscevano come tale perché profondamente radicata nella società. “In Italia sono tutti maschi”, si dice sarcasticamente a un certo punto citando un adagio divenuto recentemente il titolo di una graphic novel di Luca de Santis e Sara Colaone sul confino degli omosessuali italiani.

Nel film di Amelio il processo è seguito attraverso gli occhi di Ennio (Elio Germano), giornalista de “l’Unità” capace di osservare laicamente la realtà e di raccontarla con distacco dalla retorica di partito. Tra lui e Braibanti si crea un dialogo che diventa amicizia, forse rispecchiamento, ed Ennio dedica la prima cronaca del processo alla madre di Aldo, Susanna, nel cui nome e nella cui intelligenza si ritrova una eco della madre di Pasolini. Il signore delle formiche è anche un film sull’osservare il mondo, sul dare un nome alle cose e sul raccontarle, che in alcune scene (l’arrivo a Roma di Aldo ed Ettore) sembra riprendere il linguaggio visivo dei periodici illustrati degli anni Cinquanta e Sessanta (la fotografia è del figlio del regista, Luan Amelio Ujkaj). L’esprimersi in quanto “diversi” era infatti qualcosa che si poteva fare solo all’interno di comunità ristrette e protette, come la casa del musicista Vanni Castellani (con echi della vita e delle opere del grande compositore Sylvano Bussotti) dove Braibanti si fa accompagnare da Ettore o attraverso la mediazione e la messa a distanza dell’arte. Persino certe hit di Mina o Vanoni sembravano dare voce a taluni sentimenti inesprimibili pubblicamente.

Amelio affida poi a un caporedattore rigoroso (Giovanni Visentin) sentenze lapidarie sull’uso della lingua: “questo qui avrà anche molte conoscenze ma tra queste non c’è la sintassi!”; “che parola è scandagliare, la capisce il tuo portinaio?”. Persino le battute affidate ai personaggi minori sono significative: quando Ettore viene prelevato dalla stanza in cui viveva con Aldo per essere portato in manicomio, la tenutaria della pensione dal nome non innocente di “Adua”, sibila “pederasto”, come se una desinenza in “a” fosse troppo femminile per riferirsi a un uomo. Le scioccanti argomentazioni pronunciate nel processo sono ricalcate sui documenti ed esprimono lo spirito di un paese a cui Braibanti era completamente alieno e per questo nella prima fase del processo oppone alla corte un ostinato in silenzio nella convinzione di non avere nulla di cui difendersi. Ennio, invece, lo sollecita a “non prendere troppo gusto al silenzio, a non trincerarsi” e a cogliere l’occasione per denunciare l’ingiustizia che sta subendo non solo come individuo ma come simbolo. Anche la sua cugina politicizzata (Sara Serraiocco) sosterrà Braibanti con picchetti e manifestazioni, animata da un forte desiderio di cambiamento sociale e di “rabbia per chi si nasconde, per chi si mette al sicuro”.

Il film dà così voce all’idea che un artista abbia il dovere di schierarsi in certi frangenti, come Amelio sembra aver fatto negli ultimi anni rispetto alla discriminazione delle persone omosessuali pur restando ritroso a farsi portabandiera di un movimento. Come già nel documentario Il caso Braibanti (2020) di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, a sua volta ispirato a uno spettacolo teatrale firmato da Palmese, la ricostruzione della vicenda offre dunque uno spaccato impietoso di un’Italia retrograda che reagiva scompostamente alla progressiva emancipazione sessuale ed intellettuale degli anni Sessanta. Nel film di Amelio, non si vede che in favore di Braibanti intervennero, tra gli altri, Pier Paolo Pasolini ed Elsa Morante, Alberto Moravia e Dacia Maraini, Cesare Musatti e Marco Pannella. Tuttavia, nella scena di una manifestazione compare per pochi secondi il volto in primo piano di Emma Bonino come a tessere un legame tra il passato e il presente sia sul piano di un impegno civile che non si estingue sia rispetto a un contesto culturale non del tutto mutato se consideriamo il giubilo feroce con cui certi settori del Parlamento hanno accolto di recente la bocciatura del DDL Zan. 

Il signore delle formiche è dunque un film sulla tragedia che ancora oggi si consuma quotidianamente ai danni di chi non può amare liberamente (sul finale, una filodrammatica mette in scena l’Aida e risuonano i versi “io ti uccido per averti amato”). Messo in scena con attenta eleganza – potente la scena in cui la madre di Braibanti in nero scende da sola lo scalone bianco del Palazzaccio la sera della sentenza di condanna – il film non è sempre recitato in modo convincente, soprattutto dai più giovani. Si tratta tuttavia di un’opera profondamente sentita e desiderata, che sui titoli di coda ringrazia il nipote di Braibanti, Ferruccio, presosi cura dello zio nei suoi ultimi anni di vita.

TRAMA

Il drammaturgo, poeta e studioso appassionato della vita delle formiche Aldo Braibanti viene portato a processo alla fine degli anni Sessanta con l’accusa di plagio, reato risalente al codice fascista, nei confronti di un giovane che ha lasciato la famiglia per vivere con lui a Roma. Se quest’ultimo venne ricoverato coattamente e sottoposto a elettroshock, Braibanti fu condannato a nove anni e incarcerato per due.

CREDITI
Regia: Gianni Amelio / Sceneggiatura: Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava / Montaggio: Simona Paggi / Fotografia: Luan Amelio Ujkaj / Scenografia: Marta Maffucci / Costumi: Valentina Monticelli / Interpreti: Luigi Lo Cascio, Leonardo Maltese, Elio Germano, Sara Serraiocco, Anna Caterina Antonacci, Rita Bosello, Davide Vecchi, Maria Caleffi, Roberto Infurna, Valerio Binasco, Luca Lazzareschi, Alberto Cracco, Elia Schilton, Emma Bonino / Paese, anno: Italia, 2022 / Produzione: Kavac Film, Ibc Movie, Tenderstories, Rai Cinema / Distribuzione: 01 Distribution  / Durata: 134 minuti

SUL WEB
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

La filmografia di Gianni Amelio

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