Aspettando “Habemus Papam”

Frame dal film L’uomo che verrà di Giorgio Diritti
Frame dal film L'uomo che verrà di Giorgio Diritti
Frame dal film L’uomo che verrà di Giorgio Diritti

È quasi inutile dire che ciò che gli appassionati di cinema italiano attendono per il 2010 è il nuovo film di Nanni Moretti: Habemus Papam. La sceneggiatura scritta dallo stesso Moretti, con Federica Pontremoli e Francesco Piccolo, racconta la vicenda di un Pontefice depresso e in difficoltà umana ed esistenziale. Nei panni del sofferente capo della chiesa cattolica Michel Piccoli, in quelli dello psicoanalista che l’ha in cura Nanni Moretti. Si annuncia, come al solito, un film acuto e problematico, serio e leggero allo stesso tempo, amaro e riflessivo. L’avvio delle riprese è previsto per la prima parte dell’anno (probabilmente fine Gennaio) e dureranno circa quattro mesi.
Vedremo Habemus Papam in concorso alla 67a Mostra Internazionale d’Arte Cinema di Venezia? Al momento non c’è alcuna notizia in merito, mentre è certo che l’autore de Il Caimano è intento a elaborare altri due progetti documentaristici: uno dedicato alla tragica situazione politica italiana (costruito su materiale televisivo di repertorio) e un altro sulla storia del Partito Comunista Italiano.

Si attende dunque Moretti; si attende come una specie di “salvatore” della nostra cinematografia che nel 2009 ha mostrato una sofferenza creativa sempre più significativa.
Già, il 2009 appena concluso, dunque. Era l’anno di Baarìa di Giuseppe Tornatore e de Il grande sogno di Michele Placido. Film molto diversi, entrambi presentati alla Mostra del Lido ed entrambi deludenti. L’attenzione che aveva suscitato il ritorno dell’autore di Nuovo Cinema Paradiso si è vaporizzata in presenza di un lungometraggio che presentava in maniera esponenziale tutti i difetti del cinema di un regista che pure è visivamente dotato. Baarìa si è rivelato, infatti, un film elefantiaco, ridondante e retorico in cui il suo autore ha cercato senza successo di miscelare grande spettacolo cinematografico e poesia. Progetto difficile e ambizioso che ha generato solo un testo audiovisivo magniloquente e sostanzialmente sterile.

Michele Placido non è riuscito ne Il grande sogno a far riemergere con la dovuta lucidità la memoria del ’68, dei suoi sogni, appunto, delle sue tensioni e degli ideali che occupavano i pensieri di giovani e intellettuali che intendevano cambiare la società. Durante la mostra di Venezia si è fatto un gran parlare de La doppia ora di Giuseppe Capotondi e de Lo spazio bianco di Francesca Comencini. Due opere irrisolte: la prima ingabbiata negli stilemi prevedibili del thriller psicologico (l’aspirazione fin troppo alta era quella di avvicinarsi a Roman Polanski), la seconda legata a una tendenza della cinematografia italiana concentrata sulla raffigurazione di problemi privati e individuali (troppo).

Un po’ di dibattito, seppur distorto dai mass media che sostanzialmente si sono disinteressati del valore filmico dell’opera, l’ha invece suscitato Prima Linea di Renato De Maria. Il film, pur con alcune carenze connesse soprattutto alla sfera dell’interpretazione attoriale, è stato un esempio di onestà intellettuale e correttezza da parte di un autore che aveva deciso di trattare una materia scottante, nel nostro paese, senza farsi condizionare da chi, per motivi incomprensibili, remava contro. De Maria ha girato un film rigoroso e rispettoso, mentre il suo produttore Andrea Occhipinti ha dato una lezione di coraggio e civiltà rifiutando ogni tipo di finanziamento pubblico.

Questa ricognizione nell’ambito del cinema italiano del 2009 ci porta a citare, finalmente, gli unici due lungometraggi di notevole livello. Stiamo parlando di Vincere di Marco Bellocchio, cineasta che ha delineato con forza espressiva la vicenda di Ida Irene Dalser, la compagna di Benito Mussolini rinnegata e abbandonata, e del figlio, finito poi in manicomio, avuto proprio dal dittatore, e de L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, lungometraggio (quasi invisibile purtroppo) presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, in cui le lotte partigiane sono rivissute attraverso lo sguardo di una bambina.

E il fronte degli incassi? Per quel che riguarda il cinema d’autore l’unica segnalazione da fare è relativa a Vincere, che si è piazzato al quarantaduesimo posto con quasi due milioni di euro.
Per il resto la situazione appare davvero deprimente. La classifica delle prime sessanta posizioni vede lo strapotere del cinema americano, con rarissime apparizioni di film inglesi e francesi. Il cinema italiano è presente con i soliti titoli appartenenti all’area della commedia. La perfomance (secondo posto) di Italians di Giovanni Veronesi è stata notevole (oltre dodici milioni di euro), così come quella di Ex di Fausto Brizzi (quinto posto, dieci milioni e mezzo). Per ritrovare una pellicola italiana bisogna scendere fino alla ventesima posizione, occupata da Questo piccolo grande amore di Riccardo Donna (oltre tre milioni e mezzo).

Il commento che possiamo fare, aspettando l’esito definitivo dei “cinepanettoni” usciti nel dicembre 2009 è che tali incassi dimostrano ancora una volta la sofferenza della nostra cinematografia, incapace di attirare pubblico al di là delle pellicole di puro intrattenimento e svago. E questo è un problema culturale da cui sarà molto difficile liberarsi.

© CultFrame – Punto di Svista 12/2009

 

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