Bad Luck Banging or Loony Porn ⋅ Un film di Radu Jude ⋅ 71° Berlinale ⋅ Concorso

Quando è iniziata la pandemia da COVID 19 ci si è chiesti che cinema ne sarebbe nato e quali ricadute avrebbero avuto le norme di sicurezza sul piano narrativo, visivo e produttivo: mostrare o no le persone che indossano le mascherine? Con che esito? La pandemia non rischiava di cannibalizzare ogni opera trasformandola in un film su di essa? Come gestire la necessità di distanziamento? Impegnato nelle riprese di un film durante la prima fase dell’emergenza sanitaria mondiale, Alain Guiraudie dichiarò di essersi trovato costretto a realizzare ogni scena riducendo al minimo le presenze sul set come un tempo si faceva unicamente per le scene di sesso. Ed è proprio una sequenza hard ad aprire Bad Luck Banging or Loony Porn di Radu Jude, filmato nell’estate 2020 e presentato in concorso alla Berlinale 2021.

Il regista rumeno usa lo spunto narrativo di un fatto di cronaca ormai ricorrente – la diffusione su internet di un video porno con protagonista un’insegnante – per una riflessione sul rapporto tra il nostro tempo e le immagini incentrata sul concetto di oscenità. Il film è diviso in tre parti: dopo l’incipit hard, la prima parte intitolata “strada a senso unico” segue la donna all’indomani dello scandalo scatenato a scuola dalla diffusione del video. La preside la informa che è stata indetta una riunione genitori-insegnanti per discutere del caso e valutare l’opportunità delle sue dimissioni mentre il marito, che a causa di una distrazione è stato artefice del fattaccio, tenta di farlo oscurare senza successo. Tutto ciò avviene fuori campo ed emerge dalle conversazioni che la protagonista ha al cellulare mentre attraversa la città.

L’intreccio narrativo si fa quindi pretesto per mostrare le strade della capitale rumena: il mercato, i banchi dei fiorai rom, i tram, i condomini popolari, i palazzi ottocenteschi che cadono a pezzi e le architetture di regime che ingombrano l’orizzonte, i nomi esterofili di certi esercizi commerciali (Saint Gelato) e le catene globali di ipermercati che si sono accaparrate grosse fette di spazio mentre pubblicità sguaiate e musica a martello colonizzano ogni possibile spazio visivo e uditivo. Con un misto di serietà e gioco (una panoplia di mascherine assurde), severità e distacco, Jude mostra una società in preda al caos tra arretratezza e liberismo, che soffre di profonde disparità economiche e culturali, tra gente che non ha di che pagarsi da mangiare e beceri arricchiti con l’Hammer sulle strisce pedonali. Una società con i nervi a fior di pelle, in cui far notare a qualcuno che non indossa correttamente la mascherina o ha parcheggiato sul marciapiede può incendiare reazioni violente. Una società con un malinteso senso della libertà all’insegna del “me ne frego” ma pronta a erigere la gogna per una donna con una vita sessuale senza complessi.

Così avviene nella terza parte del film, “prassi e insulti”, in cui nel cortile della scuola viene messo in scena un vero e proprio processo popolare dei genitori ai danni dell’insegnante, che però si rivela colta e pugnace nel difendersi. Farsa infarcita di ipocrisie e nostalgie dittatoriali, petizioni di principio e argomenti d’autorità, ragionamenti e aggressioni fisiche, il processo avrà come esito tre diversi finali possibili di questa storia insieme banale e assurda. Tra le due parti narrative, Radu Jude ne inserisce una seconda di stampo più sperimentale intitolata “piccolo dizionario degli aneddoti, segni e meraviglie”. Si tratta di una sorta di “portfolio” in ordine alfabetico di parole chiave, idee, concetti, frammenti di testi (da Benjamin a Brecht, da Cioran a Virginia Woolf) e immagini che nutrono l’opera, un catalogo di miti e orrori di oggi e di ieri, tra disastri ecologici e obbrobri architettonici, tra pestaggi razzisti e datori di lavoro che vomitano insulti sulle dipendenti: da “23 agosto”, giorno del patto di alleanza tra Romania e Germania nazista, a “zen” passando per “cinema”, “inconscio”, “stupro”. Nel mostrarci cosa veramente è osceno, Jude non è un moralista ma un osservatore critico e il suo cinema non fa sconti alla storia della Romania e alle degenerazioni sociali e antropologiche del paese post-dittatura.

Come nelle sue opere precedenti, siano esse a soggetto o documentarie, ambientate ai giorni nostri o nel passato, si tratta di grattare leggermente la superficie delle cose e del tempo per far emergere la storia malamente occultata e ancor meno rielaborata del fascismo e del colonialismo, dell’antisemitismo e dell’antiziganismo in Romania e non solo. Così avveniva per esempio in I Do Not Care If We Go Down in History as Barbarians (2018), dove una regista teatrale impegnata in una rievocazione storica da tenersi nella piazza principale di Bucarest per la festa nazionale sceglie di mettere in scena il massacro di Odessa con cui, nel 1941, il capo dell’esercito collaborazionista Ion Antonescu ordinò lo sterminio di civili ebrei per rappresaglia dopo un attacco a sorpresa alle sue truppe. Al momento della recita, la realtà supera ogni immaginazione: la vicesindaca apre la serata con un discorso sulle guerre giuste, gli astanti – che sembrano non essere attori bensì autentici cittadini di Bucarest accorsi per assistere allo spettacolo – applaudono l’esercito rumeno in funzione antisovietica, inneggiano ai proclami del generale Antonescu contro gli ebrei “nemici della patria” e durante una scena di deportazione si scatena l’ovazione. L’intenzione di denunciare una pagina nera della storia nazionale collide contro un muro di gomma di razzismo e nazionalismo.

E così, anche in Bad Luck Banging or Loony Porn infine tutto si tiene: il genitore che aspettava l’occasione giusta per far licenziare l’insegnante troppo liberal, l’autista che bastona una donna rom perché non vuole che salga sul suo mezzo e l’immagine di un presepe casalingo associata alla storia del massacro di 3000 ebrei e zingari ordinato dall’Einsatzkommando IIB a Simferopoli entro Natale per permettere ai soldati di celebrare la nascita di Gesù. Il regista ci consegna così il ritratto di un’umanità che non riesce a redimersi né a guardare direttamente in faccia il proprio orrore. Nel ritratto di una società già ammalata, la pandemia non cannibalizza il racconto ma vi si integra coerentemente.

© CultFrame 03/2021

TRAMA
Il porno amatoriale girato da una insegnante di storia e dal marito finisce online per sbaglio. Presto la notizia si diffonde tra studenti, genitori e corpo insegnante coinvolgendo la donna, dedita al suo lavoro, in un tragicomico processo-farsa per decidere del suo licenziamento. Il video di due coniugi che si divertono a fare sesso è la foglia di fico che nasconde le vere oscenità di una società ipocrita, razzista e senza etica.

CREDITI
Titolo originale: Babardeală cu bucluc sau porno balamuc / Regia: Radu Jude / Sceneggiatura: Radu Jude / Interpreti: Katia Pascariu, Claudia Ieremia, Olimpia Mălai, Nicodim Ungureanu / Fotografia: Marius Panduru / Montaggio: Cătălin Cristuțiu / Scenografia: Cristian Niculescu / Produzione: microFILM Romania / Romania, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Croazia, 2021/ Durata: 106 minuti.

SUL WEB
Filmografia di Radu Jude

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