Guardare Bergman, per capire l’involuzione del cinema contemporaneo

Frame da Sussuri e grida (1972)

Mi prendo la responsabilità di dirlo: il cinema negli ultimi anni non sembra in una fase creativa poi così scoppiettante e propulsiva. Anzi, una sorta di involuzione lenta e inesorabile, un po’ triste, di questa arte (che è anche un’industria, ovviamente) ha creato assuefazione nel pubblico e forse anche nella critica. Si assiste spesso all’inutile santificazione di autori e film che non lasceranno alcuna traccia, per fortuna. Ci si esalta per fenomeni più che passeggeri, per opere medie che non portano nulla di nuovo. Tutto sembra appiattito e uniforme; tutto, o quasi, sembra chiuso in un conformismo che il cinema forse non aveva mai conosciuto.

Certo, ci sono alcune eccezioni sparse per il mondo. Ma si tratta di una percentuale irrisoria rispetto a tutto ciò che viene prodotto e girato (e forse è naturale che sia così). Ognuno potrebbe fare i suoi nomi e io non mi tiro indietro anche se, personalmente, fatico ad arrivare alle dita di due mani. Penso che resistano due “classici” come Eastwood e Spielberg (quest’ultimo, forse), penso che abbiamo qualcosa da dire ancora David Lynch, Michael Haneke, probabilmente Terrence Malick (cineasta per altro fortemente divisivo) e Werner Herzog. Poi c’è il filippino Lav Diaz, mentre purtroppo l’ungherese Béla Tarr ha (pare) concluso la sua carriera nel 2011. Aggiungo un paio di documentaristi non più giovani come Frederick Wiseman e Claude Lanzmann. Potrei dimenticare ora (e quella appena esposta è comunque solo un’opinione personale) qualcuno degno di nota, ovviamente. Il punto centrale è però uno solo e consiste in un’azione di tipo critico. Sarebbe in sostanza opportuno ridimensionare alcuni fenomeni contemporanei enormemente sovradimensionati (vedi a mio avviso il caso di Quentin Tarantino) ricominciando a parlare di qualità artistica e visuale del cinema (e non solo di tematiche e mode).

Frame tratto da "Il silenzio" (1963)
Frame tratto da “Il silenzio” (1963)

E allora, non resta altro che guardarsi un po’ indietro e magari indicare a chi si eccita parossisticamente per autori modesti ma trendy, qualche figura che invece (nonostante sia a rischio oblio) una traccia l’ha lasciata, eccome! Mi riferisco, ad esempio, a Ingmar Bergman, autore artisticamente e intellettualmente gigantesco di cui nel luglio 2018 ricorrerà il centenario della nascita.
Chi parla più di Bergman? Quanti giovani cinefili sono riusciti a vedere tutti i suoi film? Chi si ricorda veramente dei suoi capolavori, a parte pochi rari cultori? Ebbene, in tal senso un’occasione fondamentale è fornita dalla retrospettiva Bergman 100 che si svolgerà a Roma (Palazzo delle Esposizioni) fino al 4 marzo 2018.

Frame tratto da "Come in uno specchio" (1961)
Frame tratto da “Come in uno specchio” (1961)

Non solo sarà possibile vedere in lingua originale con sottotitoli (e, pensate un po’, in 35 mm) molti dei suoi lungometraggi, come Il settimo sigillo (1957), Monica e il desiderio (1953), Il silenzio (1963), Luci d’inverno (1963), Persona (1966), Il posto delle fragole (1957), saranno proiettati anche alcuni lungometraggi che Bergam aveva sempre indicato come punti di riferimento (per esempio Diario di un curato di campagna di Robert Bresson – 1951, Andrej Rublëv di Andrej Tarkovskij – 1966, La strada di Federico Fellini – 1954, La notte di Michelangelo Antonioni – 1961).

Quella fornita da Bergman 100 sarà un’occasione preziosa per ripulire il nostro sguardo da tutte le banalità e le brutture che certa comunicazione visuale (in generale) ci ha recentemente propinato (fatta eccezione per alcuni interessanti sviluppi della videoarte). E anche il cinema, purtroppo, ci ha riservato in molte occasioni lo stesso servizio (lo ripetiamo, con poche eccezioni).

Frame tratto da "Prigione" (1949)
Frame tratto da “Prigione” (1949)

Così, confrontarsi di nuovo con i volti significanti di Liv Ullman, Bibi Anderson, Ingrid Thulin e Harriet Andersson, con le tensioni psicologiche delle storie narrate da Bergman, con le inquadrature perfette ed essenziali del maestro svedese (spesso costruite grazie all’ausilio del grande direttore della fotografia Sven Nykvist), con la poesia della sofferenza e con la questione dell’angoscia esistenziale, con il dolore e la complessità della sfera interiore degli esseri umani, con la vita e il suo mistero, con la morte e l’ignoto, con la profondità intellettuale di un cinema sincero e autenticamente autoriale e soprattutto con le idee (come nessuno, o quasi, ne produce più) non può che rappresentare una sorta di bagno visuale e narrativo rigeneratore che servirebbe a tutti: giovani e meno giovani, nuovi e vecchi cinefili, semplici appassionati di cinema e addetti ai lavori.

© CultFrame 01/2018
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)

INFORMAZIONI
Bergman 100
Dal 18 gennario al 4 marzo 2018 / A cura di: Azienda Speciale Palaexpo, Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, La Farfalla sul Mirino
Palazzo delle Esposizioni / Via Nazionale 194, Roma / Ingresso cinema: Scalinata di via Milano 9A / Call center tel. 06.39967500
Ingresso libero fino a esaurimenti posti

SUL WEB
Filmografia di Ingmar Bergman
Palazzo delle Esposizioni. Bergman 100

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