Napalm ⋅ Un film di Claude Lanzmann

Il cinema di Claude Lanzmann ha il potere di interrogare e di destabilizzare sia chi lo guarda sia chi l’autore decide di portare dentro lo schermo, basti pensare alle reazioni emotive degli intervistati in Shoah o ne L’ultimo degli ingiusti. L’ultima fatica dell’intellettuale e cineasta francese non fa eccezione ma questa volta per ragioni diverse rispetto ai precedenti lavori.

Napalm non si confronta né con la Shoah né con la storia di Israele bensì con la Corea, paese diviso in due proprio come il film. Nel preludio, Lanzmann, che è ormai ultra-novantenne, si reca a Pyongyang e mentre lunghi camera car ci mostrano gli spazi monumentali e vuoti della città, la voce off dell’autore ci racconta di un paese in cui il tempo si è fermato al 1953 poiché nonostante la fine formale del conflitto lo stato di tensione si perpetua ancora oggi. La Corea del Nord è dunque per il Lanzmann filosofo del tempo e della memoria un luogo sui generis, regno del fermo immagine, dove la guerra fredda si è eternizzata e la retorica di regime continua a parlare di “stato aggressore” quando si riferisce agli Stati Uniti.

Ma la Corea, ci viene raccontato, è anche il Paese in cui il regista si recò nel 1958, allora trentatreenne giornalista de Les Temps modernes, come membro della prima delegazione occidentale di giornalisti, intellettuali e artisti ammessa nel paese a cinque anni dalla fine della guerra con gli USA e che contava anche il nemico-amico Chris Marker. Da allora qualcosa di quel Paese si è impigliato in lui. Lanzmann torna dunque in Corea ma alla ricerca di che cosa? Tenuto sotto stretta sorveglianza, filma quanto previsto dalle autorità nordcoreane: i mega simulacri di Kim Il Sug e di Kim Jong Il, gli sposi novelli che vi si recano in pellegrinaggio, i militari che si esercitano col taekwondo, il museo della guerra che raccoglie una sfilza di convogli armati sottratti ad americani e britannici. Con l’insolenza compiaciuta di un seduttore d’altri tempi commenta i corsetti stretti del costume tradizionale e flirta con la giovane donna soldato che gli fa da guida tra i carri armati.

Poi, come sempre accade nel suo cinema, è la memoria personale di un luogo a costituire il fulcro di una svolta. La seconda parte del film consiste in un lungo racconto che spiega in gran parte le ragioni del trasporto affettivo di Lanzmann per la Corea, che è un amore fissatosi nel tempo e nella memoria. Egli si filma infatti mentre rievoca un episodio avvenuto proprio durante quel famoso primo viaggio a Pyongyang che aveva già narrato nel cuore della sua autobiografia La lepre della Patagonia (2009), l’incontro amoroso con una bella infermiera coreana con cui non poteva comunicare se non a gesti e con cui condivideva una sola parola, “napalm” come la sostanza che aveva causato alla donna ustioni atroci durante la guerra.

Claude Lanzmann

A destabilizzare in Napalm è il modo in cui l’autore rompe con la modalità enunciativa dei grandi film precedenti, basati sull’interlocuzione, confezionando un monologo che dà libero sfogo al suo incontenibile narcisismo. Nella sua autobiografia, Lanzmann dichiarava di aver sempre redatto i suoi articoli e realizzato i suoi film con un metodo basato sulla “messa tra parentesi di sé”: “Indagare a fondo, mettere me stesso tra parentesi, dimenticarmi del tutto della mia persona, entrare per dritto e per rovescio nelle ragioni, nelle menzogne e nei silenzi di coloro che voglio ritrarre o che sto interrogando, fino a raggiungere uno stato di ipervigilanza allucinata e precisa che è per me la formula stessa dell’immaginario. È la sola legge che mi consenta di svelare la loro verità – di stanarla se è necessario – di renderli per sempre vivi e presenti. È la mia legge in ogni caso”.

Qui, però, non resta nulla di quel metodo, non c’è incontro, non c’è relazione, solo la costruzione del proprio ethos eroico-erotico: lui che indulge lubrico sulle piccole perle di sudore sulle labbra di lei, sulla descrizione dei suoi seni prima compressi dall’abito tradizionale poi liberi nella camicetta all’occidentale, lui che viene desiderato (“ci baciammo a piena bocca”), lui che escogita un modo per appartarsi con lei, lui che fronteggia valorosamente le guardie di regime che vogliono punirli mentre lei “asina” si rifiuta di muoversi paralizzata dalla paura. Il risultato non è privo di interesse e di intensità narrativa ma la forma in cui il discorso viene proposto è talmente autoindulgente, compiaciuta e pure un po’ sessista da rendere Napalm l’opera minore di un altrimenti grande personaggio.

© CultFrame 11/2017

Film presentato al 35° Torino Film Festival

TRAMA
Claude Lanzmann racconta il rapporto che lo lega alla Corea del Nord sin dal primo viaggio che vi fece nel 1958…


CREDITI

Titolo: Napalm / Titolo originale: Napalm / Regia:Claude Lanzmann / Sceneggiatura: Claude Lanzmann / Interpreti: Claude Lanzmann / Fotografia: Caroline Champetier / Montaggio: Chantal Hymans / Produzione: François Margolin / Francia, 2017 / Durata: 100 minuti.

SUL WEB
Filmografia di Claude Lanzmann
Torino Film Festival – Il sito

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