Austerlitz ⋅ Un film di Sergei Loznitsa

Austerlitz è l’ultimo romanzo scritto nel 2001 da W.G. Sebald e il cognome del suo protagonista, un uomo che intraprende una ricerca sulla dolorosa memoria della guerra e della Shoah nell’Europa centro-orientale. Sergei Loznitsa ha posto lo stesso titolo del libro al suo film più recente, presentato Fuori Concorso alla 73a Mostra del Cinema di Venezia e nato, anche a seguito della lettura del romanzo, dall’interrogarsi del regista sul suo proprio rapporto con la memoria e con la sensazione di disagio provata nel visitare un campo di concentramento oggi.

Girato in bianco e nero, il film è costruito attraverso una serie di inquadrature fisse, uno stile che caratterizza anche altri lavori di Loznitsa: la camera non segue niente e nessuno, lasciando il tempo a ciascuno spettatore di scegliere cosa guardare. Nei primi quadri, vediamo delle panchine nascoste dietro ad alberi mossi dal vento, poi uno sterrato su cui si muovono alcune persone. Capiamo che sono turisti dagli abiti che indossano, dalle macchine fotografiche che hanno al collo e dalle audioguide che ascoltano. Dove siamo? Dopo qualche minuto, orde di visitatori si dirigono verso un cancello che li accoglie con le parole Arbeit Macht Frei: non si tratta dell’ormai iconica cancellata di Aushwitz, tuttavia, nel rapporto che, come in un lapsus o in un’attività onirica, si stabilisce tra le parole Auschwitz e Austerlitz sta un cortocircuito importante per capire la malintesa costruzione della memoria che è uno degli oggetti principali del film.

Sergei Loznitsa
Davanti e dietro quella cancellata i visitatori si mettono in posa per una fotografia, alcuni sorridono, altri sembrano esitare sull’espressione da assumere, ad ogni modo sono in pochi quelli che resistono alla tentazione di suggellare questo pezzo di esperienza con uno scatto-ricordo: una foto “per non dimenticare”? Una foto per testimoniare? Ma che cosa esattamente? Macchine fotografiche e telefonini non si spengono neppure di fronte alle stanze dello sterminio. Quella che si muove di fronte all’obiettivo di Loznitsa è la macchina della museificazione della Shoah che iscrive i campi nel catalogo delle attrazioni turistiche alla stregua di un castello medievale o di una collezione di vasellame con ciò che ne consegue in termini di forme e tempi della visita ma anche di habitus corporeo adottato dai visitatori. I corpi ciondolanti, l’ansia di consumare il pranzo al sacco, gli abiti indossati sono quelli dei forzati del city tour (con magliette che recano scritte quali Jurassic Park, Awesome, Cool Story Bro) che per una settimana ogni giorno visitano un monumento nuovo o una città diversa come in quel bizzarro Se è martedì deve essere il Belgio (1969) in cui un gruppo di americani visitava l’Europa in un frenetico viaggio organizzato da un giorno-uno stato.

Sergei Loznitsa

Il documentario non punta tanto il dito sui singoli individui o sul “cattivo turismo” ma sollecita piuttosto una riflessione sul rapporto tra i nostri comportamenti e le forme istituzionali (i musei, le visite guidate, i viaggi organizzati) che in gran parte li determinano. Per questo, però, è anche interessante soffermarsi sui luoghi in cui il film è stato girato. Il regista ha dichiarato di aver effettuato riprese sia a Dachau sia a Sachsenhausen, anche se soltanto quest’ultimo nome viene ripetuto alcune volte nel film, che conserva quindi l’illusione quasi perfetta di un’unità di luogo e di tempo (una giornata dall’apertura alla chiusura dell’orario di visita al campo). È comunque significativa la scelta di concentrarsi su due campi situati in Germania e soprattutto sul secondo, situato a poca distanza da Berlino e iscritto in itinerari di visita di cui quella al campo è una tappa “eccentrica” di cui talvolta i turisti fanno esperienza trascinando con sé le tracce di svagatezza delle tappe precedenti.

Inoltre, il rigore visivo di Austerlitz si accompagna a un evidente lavoro di elaborazione sonora (come già era stato nel caso del notevolissimo Sobytie. The event presentato a Venezia nel 2015) – brusio, cellulari, risate, lacerti di conversazioni e di voci delle guide turistiche – che restituisce un magma discorsivo standardizzato sulla Shoah con il ripetersi degli stessi topoi discorsivi di gruppo in gruppo e in lingue diverse. Con questo documentario, Loznitsa getta una sguardo impietoso sull’industria della memoria e sull’impoverimento prodotto dalla sua maldestra museificazione.

© CultFrame 09/2016 – 01/2017
Film presentato alla 73. Biennale Cinema di Venezia

TRAMA
Ogni giorno orde di turisti si recano a visitare campi di concentramento e di sterminio, ma possono questi essere luoghi frequentati da un turismo di massa? Come si fa a costruire un rapporto con quei luoghi e la costruzione di una memoria storica attraverso un viaggio organizzato?


CREDITI      
    

Titolo: Austerlitz / Regia: Sergei Loznitsa / Fotografia: Sergei Loznitsa, Jesse Mazuch / Montaggio: Danielius Kokanauskis / Suono: Vladimir Golovnitski/ Produzione: Imperativ Film / Germania, 2016 / Durata: 94 minuti

SUL WEB
Filmografia di Sergei Loznitsa
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito
Lab 80 Film

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