Les revenants ⋅ Una serie tv figlia del cinema d’autore e della fotografia contemporanea

Frame della serie tv Les revenants

Le serie tv, specie quelle provenienti dagli Usa, sono di gran moda. Non si fa che parlare di House of Cards o True Detective, ma bisognerebbe comprendere a fondo quali siano i meccanismi di marketing che produttori ed emittenti televisive mettono in atto per generare seguito tra il pubblico, ma anche tra la critica. Sorvolo ora su questo aspetto e vado al punto. Il vero capolavoro della finzione narrativa televisiva degli ultimi anni viene dall’Europa, in particolar modo dalla Francia. Mi riferisco a Les revenants, serie tv prodotta da Canal+, creata (nonché diretta), da Fabrice Gobert. La serie passa in questo periodo in Italia su Sky Atlantic ma in Francia ha avuto inizio nel novembre 2012.

Ecco brevemente il plot. In una cittadina di montagna transalpina inizia a verificarsi un fenomeno inquietante: alcuni morti risorgono e si manifestano nella realtà in modo assolutamente normale. I loro corpi sono integri e le loro capacità mentali perfette. Così, provano a reinserirsi nella realtà sociale. Non si ricordano cosa provocò la loro morte ma sono consapevoli di essere inspiegabilmente tornati in vita. Il mondo dei vivi prova ad accoglierli, accettando questa dimensione straniante e assurda ma ovviamente ciò finisce per creare situazioni insensate e paradossali.

Ebbene, perché mi sono sbilanciato così tanto su Les revenants, al punto di definire queste serie un capolavoro? Proverò a spiegarmi. Si tratta di una questione di stile, di estetica, di struttura del racconto e anche dell’architettura culturale visiva che sta alla sua base. Les revenants non è un horror classico e neanche uno zombie-movie. Non è neanche una banale storia di fantascienza. È invece un sofisticato thriller psicologico e metafisico, un raffinato racconto visuale sulla sottilissima differenza che passa tra la vita e la morte, un gelido affresco della condizione umana, sempre divisa tra presenza e assenza, tra ciò che si pensa di avere (relazioni, sentimenti, affetti) e ciò che invece manca, tra ciò che si è e ciò che non si è. Les revenants ci parla dell’impossibilità di decifrazione della realtà e della tragica condizione di una società che considera l’esistenza (presunta) tangibile l’unica possibile. In questa serie, in tal senso, c’è quella che potremmo chiamare poesia (fatto molto anomalo per il “territorio” televisivo), ma anche riflessione filosofica sul mondo, sugli esseri umani, sulla vita e la morte.

Per governare questo enorme apparato di contenuti Frabrice Gobert ha individuato degli elementi di stile e dei fattori di estetica molto precisi e li ha collocati nel suo impianto di regia. Narrazione sospesa ed enigmatica, dilatazione dei tempi, silenzi, quasi assenza di azione. Ed ancora: inquadrature algide e stranianti, campi lunghi con figure umane immobili e primi piani su sguardi smarriti e privi di espressione. Gli interpreti individuati per sostenere i ruoli principali hanno volti veri, autentici (a differenza di molti attori presenti nelle serie americane), volti che si trasformano in paesaggi e che vanno a sovrapporsi ai paesaggi naturalistici che circondano la cittadina francese nella quale è ambientata la vicenda.

A ciò si aggiunge la cultura visuale, fotografica e cinematografica a cui fa riferimento, anche per sua stessa ammissione, il regista Fabrice Gobert. Ovviamente, non è possibile non pensare alle atmosfere lynchiane di Twin Peaks, ma anche al gelo espressivo di alcuni film di Cronenberg. Ma Gobert fa qualcosa di più, attinge al linguaggio e allo stile del cinema essenziale e rigoroso di Robert Bresson e alla severità formale e narrativa della cinematografia di Michelangelo Antonioni, con particolare riferimento al periodo della tetralogia dell’incomunicabilità (L’avventura, L’eclisse, La notte, Il deserto rosso). A livello contenutistico evoca, inoltre, la dimensione mentale e metafisica di Solaris di Andrej Tarkovskij e fa tornare in mente la meravigliosa scena del sogno dell’incontro tra il soldato e la madre morta collocata nel capolavoro di Luis Buñuel Il fascino discreto della borghesia. Tutto questo mondo filmico è poi connesso alla dimensione attuale della fotografia contemporanea. Lo stesso Gobert afferma di ispirarsi alle immagini stilizzate, marmorizzate e inquietanti di Gregory Crewdson. Ma in alcune inquadrature, specie in interni, il parallelo con diverse opere di Jeff Wall è clamorosamente palese.

Gobert, però, non ha fatto del semplice citazionismo di alto profilo, non ha solo saputo utilizzare stilemi di altri autori, ha operato all’interno di un meccanismo di sintesi e di rielaborazione artistica che ha determinato, grazie ai riferimenti appena citati, un nuovo sguardo sul mondo. A ciò si aggiunge la sublime scelta per quel che riguarda la parte musicale: i brani del gruppo scozzese Mogwai accompagnano le vicende dei personaggi centrali alimentando all’ennesima potenza l’ambiguità delle situazioni. Mentre in Italia sta passando la prima serie de Les revenants, Gobert è già al lavoro per portare a termine la seconda seria. Speriamo che in Italia arrivi presto.

© CultFrame – Punto di Svista
(Pubblicato su Huffington Post)

CREDITI
Serie tv: Les revenants / Autore: Fabrice Gobert / Registi: Fabrice Gobert, Frédéric Mermoud / Sceneggiatura: Patrick Blossier / Montaggio: Laurence Bawedin, Mike Fromentin, Peggy Koretzky, Bertrand Nail / Musica: Mogwai / Paese: Francia, 2012 (prima stagione) / Uscita in Italia: 2014 (prima stagione)

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