L’événement ⋅ Un film di Audrey Diwan ⋅ Leone d’oro della 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Era già accaduto nel 2004 (61° Mostra) che un Leone d’oro andasse a un film dedicato alle donne costrette ad abortire clandestinamente, in quel caso nella Londra degli anni Cinquanta, quale Il segreto di Vera Drake di Mike Leigh focalizzato sul personaggio di una “mammana”. Nel 2021, un po’ a sorpresa ma forse con meno polemiche di tipo moral-religioso e una maggiore risonanza dei dibattiti pubblici contemporanei su donne e società, il medesimo premio viene attribuito a una regista con molta meno esperienza del maestro inglese. Audrey Diwan ha diretto due soli lungometraggi, il primo era Mais vous êtes fous (2019), ma L’événement ha la peculiarità di essere l’adattamento del libro autobiografico di una delle scrittrici francesi più note e amate nel mondo, Annie Ernaux, ambientato in Francia nel 1963 quando l’autrice aveva ventitré anni e tradotto in Italia con il titolo L’evento (L’Orma, 2019).

Il film è focalizzato sulla storia di una ragazza (Anne) che resta incinta e vuole abortire. Centrale sia nella fonte letteraria – scritta nella lingua scarna e introspettiva caratteristica di Ernaux – sia nella trasposizione è il rapporto mente-corpo: la protagonista è, infatti, una giovane di estrazione modesta impegnata in studi di letteratura e che la gravidanza minaccia di ricacciare in un ambito dal quale spera di affrancarsi, quello della miseria materiale e culturale, quello in cui la corporeità àncora l’essere a se stesso e alla terra senza scampo: “In un certo senso, quell’assoluta incapacità di scrivere la tesi mi spaventava più della mia necessità di abortire. Era il segno indubitabile della mia invisibile decadenza. (Nell’agenda: «Non scrivo più, non lavoro più. Come uscirne?») Avevo smesso di essere «intellettuale». Non so se questo sentimento sia diffuso. Provoca una sofferenza indicibile” (trad. di Lorenzo Flabbi).

Nonostante la sua determinazione, Anne-Annie deve fare i conti con un momento storico in cui l’interruzione di gravidanza è illegale, con pene severe comminate a chiunque la pratichi o la subisca e tutto un corollario di attività clandestine che costringono le donne a rischiare la propria stessa vita tra ferri da calza nell’utero e lavande di candeggina. Il film di Diwan si confronta senza ellissi con quel che significava essere una donna nei primi anni Sessanta, tra sessuofobia e vincoli legislativi brutali. Bisognerà infatti attendere il 1975 perché sia approvata la “Loi Veil”, legge che porta il nome dell’allora ministra della Salute il cui discorso al parlamento in sede di voto, al termine di un dibattito virulento, è rimasto alla storia. Una svolta nella vita sociale, politica e culturale francese, giunta dopo tappe faticose, tra cui la legge Neuwirth sulla contraccezione legale (1967), il Manifesto delle 343 “salopes” che dichiararono di aver abortito clandestinamente (1971) e soprattutto il processo di Bobigny (1972) ai danni di una minorenne che aveva abortito a seguito di uno stupro e delle quattro che la aiutarono.

Quest’ultimo episodio cruciale era evocato da Agnès Varda in L’une chante l’autre pas (1976), film realizzato quasi contemporaneamente alle lotte delle donne per l’autodeterminazione, in cui compare nella parte di se stessa l’avvocata Gisèle Halimi che assicurò la difesa a Bobigny. Anche lì, e all’epoca era tutt’altro che frequente, si narrava la disperata e rischiosa trafila di chi si trovava a dover abortire illegalmente, per lo più recandosi all’estero, con un linguaggio cinematografico a cavallo tra melodramma cantato e avventura picaresca. Erano anni in cui le pioniere del cinema femminista sperimentavano e portavano a maturazione l’intreccio tra impegno politico e ricerca espressiva che, per rimanere all’ambito dell’interruzione di gravidanza, avrà esiti come It Happened to Us (1972) di Amalie Rothschild, Y’a qua pas baiser (1973) di Carole Roussopoulos o One Hundred a Day (1973) di Gillian Armstrong. Quello di allora era però un cinema marginale rispetto all’industria, ai grandi canali produttivi e distributivi, ai principali circuiti e riconoscimenti festivalieri. I tempi sono cambiati, l’aborto clandestino lo hanno raccontato anche i maestri come Claude Chabrol in Une affaire de femmes (1988) e Cristian Mungiu che si aggiudicò la Palma d’Oro a Cannes per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007).

L’événement è un film di tensione, con un tappeto sonoro in cui risuona spesso il respiro della protagonista, organizzato attorno al procedere delle settimane che, mentre lei è alla ricerca affannosa di una soluzione al proprio problema, la avvicina pericolosamente al termine entro il quale abortire non sarà più possibile. La rievocazione storica in tinte pastello si accende allora di rosso sangue e, riecheggiando la crudezza del testo ispiratore, giunge a mostrare frontalmente il dettaglio materiale, più scabroso e corporeo dell’aborto. L’attrice Anamaria Vartolomei interpreta la protagonista con misura e intensità riuscendo a farsi carico di un personaggio sospeso tra le spinte contrastanti dei suoi affetti. Il desiderio di conoscenza ed emancipazione che l’attrae verso gli studi la porta anche a esplorare l’erotismo, oltre le inibizioni e le norme repressive del suo tempo. Quando però questa seconda spinta rischia di mettere a repentaglio la prima, a prevalere è una sola passione: quella per la scrittura.


Per rappresentare le contraddizioni del rapporto con il sesso delle giovani francesi cresciute in un paese cattolico in epoca pre-sessantottina, la sceneggiatura di Diwan e di Marcia Romano (già collaboratrice di Ozon, Giannoli, Emmanuel Bourdieu ed Emmanuelle Bercaut), pur fedele a Ernaux, dà ampio spazio ai personaggi di due compagne di studi di Annie, la cui amicizia sarà messa a dura prova dall’“evento”, e ad alcuni suoi possibili flirt. Se il testo è ritmato da commenti metaletterari e dagli appunti sommari che all’epoca l’autrice scriveva sulla sua agenda, il film mostra raramente la protagonista intenta a tenere traccia tramite la scrittura di ciò che le sta accadendo e rinuncia a cercare di portare sullo schermo la voce di Ernaux. Forse per questo le fa dire al suo professore di Lettere, in modo un po’ smaccato, di voler divenire scrittrice molto più di quanto voglia diventare insegnante. Una soluzione un po’ ingenua per rendere esplicito il racconto di un crocevia dopo il quale si concretizzerà una vocazione.

© CultFrame 09/2021

TRAMA
La giovane Anne, nell’anno in cui deve sostenere gli esami che potrebbero consentirle la carriera di insegnante, si ritrova incinta dopo un rapporto con un ragazzo che vive in un’altra città. Pur non escludendo di diventare un giorno madre, è sicura che non sia quello il momento giusto per dare alla luce un figlio che condizionerebbe troppo la sua vita presente e futura. Pertanto, cerca il modo di interrompere la gravidanza, malgrado ciò nella Francia del 1963 sia vietato per legge.

CREDITI
Regia: Audrey Diwan / Sceneggiatura: Audrey Diwan, Marcia Romano con Anne Berest dall’omonimo romanzo di Annie Ernaux / Montaggio: Géraldine Mangenot / Fotografia: Laurent Tangy / Scenografia: /  Costumi: / Musica: Evgueni Galperine, Sacha Galperine / Interpreti: Anamaria Vartolomei, Anna Mouglalis, Fabrizio Rongione, Kacey Mottet Klein, Leonor Oberson, Louise Chevillotte, Louise Orry-Diquéro, Luàna Bajrami, Pio Marmaï, Sandrine Bonnaire / Paese, anno: Francia, 2021 / Produzione: France 3 Cinéma, Rectangle Productions, Srab Films, Wild Bunch /  Distribuzione: Europictures / Durata: 100 minuti

SUL WEB
Filmografia di Audrey Diwan
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

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