Un altro mondo ⋅ Un film di Stéphane Brizé ⋅ 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ⋅ Concorso

Nella gustosa prima sequenza che fa da prologo al documentario La Voix de son maître, codiretto dallo scrittore Gérard Mordillat e da Nicolas Philibert nel 1978, un manipolo di imprenditori e capitani d’industria francesi mette in discussione il titolo stesso di quel film: in molti consigliano perfino agli autori di usare il sostantivo “padrone”, nel quale si identificherebbero senza alcun disagio, rispetto al più ambiguo “maître” (usato in francese per chi possiede animali domestici, evocando una relazione ancora più servile) che invece ricevono come accusatorio. A qualche decennio di distanza, nuove generazioni cresciute a forza di dosi massicce di neo-management hanno assunto tutt’altra retorica, portando alle conseguenze più estreme gli atti ma nascondendoli dietro a una neo-lingua superficiale e vacua.

Uno degli obiettivi manifesti di Un altro mondo di Stéphane Brizé è proprio quello di svelare l’odiosa funzione dei discorsi ingannevoli e fintamente leali che governano i giochi di potere dei consigli di amministrazione e che vengono dispensati a piene mani per mandare avanti i piani detti “sociali” o “economici”, vale a dire le ristrutturazioni aziendali: in un film costruito come una serie di conversazioni e confronti accesi, sul lavoro e tra famigliari, la focalizzazione va presto alla dittatura degli slogan e delle cifre (che spersonalizzano e disumanizzano), alla retorica della “flessibilità”, del “coraggio” e delle “sfide” che un vero dirigente dovrebbe mettere in campo per rispondere non a un padrone bensì alle entità indistinte del “mercato” e degli “azionisti”… fino a quando non gli capiti di rendersi conto di essere meri burattini di un sistema pronto a fare a meno di loro.

Dopo il dittico composto da La legge del mercato (2015) e In guerra (2018), sempre con il cosceneggiatore esperto di tali tematiche Olivier Gorce e l’attore sodale Vincent Lindon, Brizé ci porta qui dall’altra parte di una barricata che aveva sinora esplorato solo dal punto di vista dei proletari. Tuttavia, in questo controcampo (per usare un lessico cinematografico) il manager interpretato da Lindon è anche lui vittima di un sistema che non può controllare, che ha rovinato il suo matrimonio e la salute mentale del figlio minore ancor prima che la multinazionale proprietaria dello stabilimento che dirige gli chieda di procedere all’ennesimo taglio di personale. In questo senso, rispetto ai suddetti, non c’è alcuna svolta nell’affresco disegnato in questo capitolo finale di una trilogia, con tratti di coerenza che certamente vanno riconosciuti tanto al regista quanto allo sceneggiatore: Gorce, infatti, racconta l’azienda e il mondo dei tagliatori di teste oramai da vent’anni e ha firmato opere pioneristiche sul tema fin dai tempi di Violence des échanges en milieu tempéré (2003).

Se confrontato al molto cinema, anche francese, che l’ha preceduto, Un altro mondo appare quindi un film più semplice e meno sorprendente degli ultimi di Brizé stesso con cui condivid e un simile sviluppo verso una rivendicazione di dignità del suo protagonista. Si pensi all’immagine conclusiva della marionetta, metafora fin troppo scoperta, così diversa dal finale raggelante di In guerra; e alla canzone Les gens qui doutent di Anne Sylvestre sui titoli di coda. Non c’è comunque da discutere né sulla qualità della preparazione del soggetto, dato che i due autori hanno studiato sui testi del massimo psicologo del lavoro francese, Christophe Dejours, né su quella degli interpreti e della messa in scena dei dialoghi filmati con più camere in contemporanea e a tratti frutto d’improvvisazione (“Il personaggio è prima una costruzione dello sceneggiatore e poi dello spettatore. Sul set, mi occupo solo della materia viva che ho di fronte”, afferma il regista). Inoltre, non si può che ribadire la necessità di togliere il velo su certi concetti e meccanismi economici, per alleviare le conseguenze psichiche e materiali di chi subisce la morsa dei dispositivi neoliberali ben descritti dal film sia attraverso il ritratto del protagonista, e della sua progressiva presa di coscienza delle forze impari contro cui dovrebbe combattere per mantenere una qualche etica, sia tramite il malessere del figlio che ha assorbito e ora soffre l’educazione contradditoria ricevuta (in primis) dal padre.

Come capita talvolta, l’eroe principale di questa storia capisce soltanto alla fine ciò che la moglie aveva già compreso scegliendo di abbandonarlo malgrado tale decisione significhi la rottura di un legame d’amore e della sicurezza economica garantita dal matrimonio; scoprendo però così che anche la giurisprudenza (e quella dei divorzisti ben più di altre!) insegue soltanto la razionalità delle cifre e della vittoria sull’altro. Davvero, da ogni parte la si guardi, nella serie di quadri allestiti da Brizé i barlumi di un possibile “altro mondo” sembrano ben pochi. Ma il film affida il suo messaggio principale alla voce del protagonista che ci ricorda che certe scelte “hanno un costo ma non hanno prezzo”.

© CultFrame 09/2021

TRAMA
Philippe Lemesle sta separandosi dalla moglie, che gli rimprovera le assenze e le ricadute dell’angoscia continua che il suo lavoro di dirigente d’azienda ha provocato per anni nella loro famiglia. In fabbrica le cose non vanno meglio: il gruppo proprietario della ditta impone un nuovo taglio di personale che rischia di compromettere definitivamente le relazioni tra colleghi e la qualità della produzione.

CREDITI
Titolo originale: Un autre monde / Regia: Stéphane Brizé / Sceneggiatura: Stéphane Brizé / Montaggio: Anne Klotz / Fotografia: Eric Dumont / Musica: Camille Rocailleux / Interpreti: Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain, Anthony Bajon/ Paese, anno: Francia, 2021 / Produzione: Christophe Rossignon e Philip Boëffard, con Stéphane Brizé e Vincent Lindon / Distribuzione: Movies Inspired / Durata: 96 minuti

SUL WEB
Filmografia di Stéphane Brizé
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

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