Un irregolare del cinema italiano contemporaneo: Pappi Corsicato

Frame tratto dal film “I buchi neri” di Pappi Corsicato (1995)

Lo scorso 23 aprile è andata in onda su Rai Uno la prima puntata di Vivi e lascia vivere, fiction in sei episodi di Pappi Corsicato, regista che si è sempre distinto per la sua capacità di mescolare in maniera originale melò, camp, grottesco, commedia e sprazzi di surrealismo. Peccato, però, che in questa prima esperienza televisiva del cineasta napoletano non ci sia alcuna traccia del suo stile (solitamente) sorprendente.

Sono infatti sufficienti pochi minuti per fare una tristissima scorta di banalità, sia dal punto di vista narrativo che da quello visivo; basti pensare, ad esempio, ai campi lunghi di Piazza del Plebiscito a Napoli  – città in cui è principalmente ambientata la fiction  –, che potremmo trovare in qualsiasi anonimo documentario sul capoluogo campano, o all’abusatissimo “lirismo” di certi scorci illuminati dai raggi del sole; cosa dire, poi, delle scontatissime note di pianoforte extradiegetiche che accompagnano alcuni primi piani della tormentata protagonista (interpretata da Elena Sofia Ricci) nei suoi momenti di sconforto?

Sperando di non peccare di presunzione, potremmo affermare che non è certo necessario vedere tutti gli episodi per capire che ci troviamo di fronte a una fiction come molte altre. Non che, alla fine, ci sia da stupirsi più di tanto: del resto, la Rai ci ha ormai disabituato da decenni a prodotti di grande suggestione quali Il segno del comando, A come Andromeda, Ritratto di donna velata (solo per citarne alcuni). Tuttavia, trattandosi di un lavoro di un regista a dir poco brillante come Corsicato, c’era da sperare in un qualcosa di meno ovvio.

Anziché, però, domandarci ad esempio per quale motivo il talentuoso autore abbia accettato di girare una fiction di routine, potremmo approfittarne per ripercorrere a grandi linee la sua preziosa filmografia, tralasciando, per ragioni di spazio, i documentari e i cortometraggi.

Frame tratto dal film “Libera” di Pappi Corsicato (1993)

Corsicato esordisce nel 1993 con Libera, film composto da tre episodi di stampo grottesco, in cui le varie protagoniste – nel primo e nel terzo episodio interpretate dall’attrice feticcio del regista, Iaia Forte – vanno spesso incontro a situazioni tanto singolari quanto amare. La critica saluta il cineasta come una sorta di Almodóvar partenopeo, e, per certi aspetti, non a torto: l’influenza dell’autore di Donne sull’orlo di una crisi di nervi – per il quale, tra l’altro, l’artista napoletano ha lavorato come  assistente nel 1990 sul set di Légami! –  è riscontrabile ad esempio nella scelta di ambientare alcune sequenze in interni dai colori particolarmente accesi, quasi eccessivi.

Ma limitarsi a considerare questo regista come una sorta di talentuoso epigono di Almodóvar sarebbe a dir poco fuorviante. Difatti, per il suo modo di vedere e trattare gli esterni, l’autore di Libera sembra rifarsi a Ferreri, in particolare a quello del Seme dell’uomo (1969) e di Ciao maschio (1978): attraverso alienanti campi lunghissimi e bizzarre angolature di ripresa, Corsicato trasforma molti degli spazi in cui si muovono i personaggi in squarci dal sapore metafisico, visionarie desolazioni di cui soprattutto il corpo di Iaia Forte è come prigioniero.

Quello del regista napoletano è uno sguardo chirurgico, di singolare freddezza, che mette in scena una Napoli atipica e, a tratti, malinconicamente futuristica, capace di evocare con spietata perfezione la grottesca solitudine dei corpi che la attraversano.

Frame tratto dal film “I buchi neri” di Pappi Corsicato (1995)

Con il secondo lungometraggio, I buchi neri (1995), storia di un amore (forse) impossibile tra un ragazzo gay (Vincenzo Peluso) e una prostituta (Iaia Forte), Corsicato conferma e affina il proprio stile: fra inquietanti galline (!), improbabili miracoli, citazioni del Buñuel più caustico (Il fascino discreto della borghesia) e del cinema americano di fantascienza degli anni Cinquanta, il regista napoletano dà vita a un’opera bizzarra e ricca di scene memorabili.

A colpire, in particolar modo, è la capacità tutta postmoderna del cineasta di unire con disinvoltura alto e basso, come dimostra la sequenza iniziale, in cui ad alcune maestose immagini di un cielo stellato accompagnate da una musica altisonante segue un improvviso dettaglio di un water dentro al quale il protagonista sta urinando.

Dopo aver preso parte al film collettivo I vesuviani (1997) con l’episodio La stirpe di Iana, sorta di reinterpretazione del cult di Russ Meyer Faster, Pussycat! Kill! Kill! (1965), nel 2001 Corsicato torna al lungometraggio con Chimera, opera stilisticamente radicale e ancora più singolare delle sue prime due pellicole.

Già dalle scene inziali intuiamo che in questo film c’è poco spazio per un racconto lineare: a causa, ad esempio, di improvvisi, spiazzanti flashback, di sequenze che sono probabilmente frutto dell’immaginazione di alcuni personaggi e della magistrale recitazione straniata dei due interpreti principali (Iaia Forte e Tommaso Ragno), la storia apparentemente semplice di Chimera – quella di una coppia in crisi che cerca in vari modi di tornare all’armonia di un tempo – si trasforma progressivamente in un morboso, suggestivo labirinto in cui lo spettatore è invitato a perdersi. A contribuire al risultato tutt’altro che classico di questa pellicola è anche la decisione da parte del regista di guardare in alcune sequenze al Lynch di Strade perdute (1997) e al Cronenberg di Crash (1996).

In Chimera, dunque, quello di Corsicato si configura come uno sguardo che vuole non tanto raccontare, quanto evocare, uno sguardo capace di creare un’opera ostinatamente, splendidamente altra.

Dopo sette anni di assenza, il regista torna al cinema nel 2008 con Il seme della discordia, storia di una coppia che, in seguito a una scoperta tanto bizzarra quanto poco gradita, va incontro a un’improvvisa serie di peripezie. Pur non essendo privo di momenti notevoli, il film rappresenta una sorta di passo indietro rispetto a Chimera. Questa volta, infatti, l’influenza di Almodóvar è fin troppo visibile; inoltre, gli interpreti principali – Alessandro Gassmann e Caterina Murano – sono sprovvisti del carisma di Iaia Forte, che qui compare soltanto in un piccolo ruolo.

Frame tratto dal film “Il volto dell’altra” di Pappi Corsicato (2012)

Va decisamente meglio con Il volto di un’altra (2012), efficace satira sulla chirurgia estetica che trabocca di citazioni cinematografiche (Otto e mezzo, Occhi senza volto di Franju, Il volto di un altro di Teshigahara) e artistiche (la Venere di Milo con cassetti di Dalì, l’art déco, evocazioni ironiche delle “performance chirurgiche” dell’artista francese ORLAN). Non tutto, però, è sempre messo ben a fuoco, a cominciare dalla recitazione degli interpreti principali, Laura Chiatti e Alessandro Preziosi, i cui volti non sembrano essere all’altezza delle visioni e del talento del regista. Ancora una volta, insomma, si sente la mancanza di una Iaia Forte protagonista; l’attrice, tuttavia, compare in un ruolo secondario –  ma assolutamente irresistibile. Nonostante alcuni difetti, nel complesso il film riesce a lasciare il segno, grazie soprattutto ad alcune suggestive sequenze fra l’horror e il demenziale.

E così, a distanza di quasi venti anni dal suo esordio, Corsicato dimostra di avere ancora non poche cose da dire, e, soprattutto, di saperlo fare molto meglio di buona parte dei suoi colleghi italiani. Ci auguriamo dunque che la maldestra “avventura” su Rai Uno rimanga soltanto una parentesi e che il regista napoletano riesca a tornare il prima possibile con un nuovo film, con il suo cinema preziosamente irregolare.

© CultFrame 05/2020

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Filmografia di Pappi Corsicato

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