51° Visions du Réel 2020 o dei festival nella pandemia

Frame tratto dal film documentario “Punta sacra” di Francesca Mazzoleni

Nei mesi di emergenza sanitaria, fioccano gli annullamenti dei grandi festival previsti nell’estate 2020, compreso quello di Locarno che ha annunciato una serie di iniziative a sostegno del cinema indipendente d’autore, non escludendo la proiezione di alcune opere, in un programma di attività denominato “Locarno 2020 – For the Future of Films”. Dopo il trasloco forzato del parigino Cinéma du Réel (12-22 marzo) in una dimensione ibrida che ha salvaguardato con proiezioni sul web i concorsi principali e il palmares ufficiale quando in Francia è scattato il lockdown a rassegna cominciata, a metà marzo anche gli organizzatori del festival svizzero Visions du Réel 2020 si sono trovati con un programma pronto e l’impossibilità di accogliere in sala spettatori e autori. Così, da Nyon hanno deciso di realizzare comunque tutto quanto era previsto, compresi gli omaggi e gli incontri che a Parigi erano stati tagliati, allestendo in poche settimane un’edizione “sperimentale” che si è svolta integralmente on line.

Se questo “esperimento” può dirsi in parte riuscito, chiunque ami il cinema o ci lavori non può che sperare che si giunga presto alla riapertura delle sale e delle frontiere. La diffusione in streaming del cosiddetto “cinema del reale” può sembrare più accettabile che per altre tipologie di produzioni cinematografiche, ma molti sono i limiti di attenzione e tecnologici per cui la visione domestica non può essere equiparata a quella sul grande schermo e all’esperienza del cinema vero e proprio.

Frame tratto dal film “Jungle” di Louise Mootz

Inoltre, scaglionando la diffusione dei film delle varie sezioni tra il 17 aprile e il 2 maggio, il Visions du Réel 2020 ha sì ampliato virtualmente al mondo intero la platea per le opere di quest’anno, dando maggiore visibilità a selezioni quali la Competizione Nazionale Svizzera o quella dei Medi e Cortometraggi, ma buona parte delle “proiezioni” avevano un limite di 500 spettatori e sono naturalmente andate presto esaurite. Gli incontri con i tre protagonisti principali delle retrospettive, Claire Denis, Petra Costa e Peter Mettler, si sono prolungati regolarmente sino alle tre ore mostrando talvolta i limiti nelle competenze linguistiche degli stessi dialoganti, talaltra la fatica di questi ultimi a sviscerare i loro gesti cinematografici, mettendo sempre alla prova la tenuta del pubblico collegato da casa. Va comunque segnalato che la maggior parte di questi dialoghi sono ancora disponibili in rete e che è stata molto opportuna l’idea di chiedere ai vari autori selezionati di presentare i propri film con un breve video inviato agli organizzatori di Nyon e pubblicato in associata ai singoli titoli, una modalità poco interattiva ma che ha permesso di costituire un catalogo di autocommenti creativo e composito che è facilmente fruibile tramite il canale youtube di Visions du Réel.

Anche l’assegnazione dei premi ufficiali si è svolta on line, la sera di sabato 3 maggio, con presentatrici sul divano di casa collegate via skype, motivazioni delle giurie in differita via Zoom o TikTok con effetti split screen o video-animazioni realizzate ad hoc e premiati/e nelle loro residenze a ringraziare con siparietti concepiti per l’occasione e succedanei autoprodotti dei trofei che gli verranno consegnati (la registrazione della premiazione è ancora disponibile qui).

In questa cornice variopinta, sono stati assegnati più riconoscimenti per ciascuna delle numerose sezioni della manifestazione. La giuria della Competizione internazionale lungometraggi composta dal produttore Marco Alessi, dalla regista Ursula Meier e dal curatore Frédéric Boyer ha attribuito il primo premio all’italiana Francesca Mazzoleni per il suo Punta Sacra, documentario d’esordio girato all’Idroscalo di Ostia con ragazzine/i e genitori a lungo stigmatizzati come ‘baraccati’ che, tra sgomberi e demolizioni del passato lasciati fuori campo, provano a conservare una vita di comunità: poca economia di droni e colonna musicale, con una nota di merito per le canzoni del rapper italo-cileno Chiky Realeza, per un film che si accende in alcuni momenti di confronto vibrante tra generazioni e nel ricordo di una resistenza combattuta dieci anni prima ma pronta a riattizzarsi qualora si concretizzasse la minaccia di nuovi piani di riqualificazione della foce del Tevere; dove la memoria di Pasolini è ancora ben presente e controversa, e ciò che spaurisce è il futuro.

Frame tratto dal film “El otro” di Francisco Bermejo

Il miglior film tra i corti e mediometraggi è invece risultato Jungle di Louise Mootz, ritratto corale di un gruppo di amiche ventenni residenti nel Nord-Est di Parigi, tra Stalingrad e Belleville. Serate alcoliche e relazioni disinibite all’insegna di una riappropriazione gioiosa ma non sempre spensierata dello spazio urbano notturno e di un’ostilità reciproca tra le protagoniste e la società del lavoro e del controllo. La regista è una di loro e la giuria ha voluto premiarla per aver realizzato un “truly queer and feminist film with an unusual urgency”. Nella sezione Burning Lights, riservata alle opere più ‘sperimentali’, il primo premio se l’è aggiudicato El otro del cileno Francisco Bermejo: ritratto documentario sì, ma insolito, di un uomo non più giovane che vive da solo nei pressi di una spiaggia rocciosa bevendo, battibeccando con un “altro” se stesso e leggendo Moby Dick. Sulla riva del mare, si arena presto un cetaceo bianco a materializzare uno dei fantasmi di questo operoso eremita del mare. La giuria ha evocato nelle motivazioni del premio L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett.

Jean-Luc Godard

Conclusa l’edizione sperimentale on line, in Svizzera sperano ancora di riuscire ad attuare l’ultimo tassello previsto per la 51a edizione: se sarà possibile confermarlo, dal 12 giugno il Castello di Nyon ospiterà la mostra intitolata (rigorosamente con le minuscole) sentiments, signes, passions – à propos du livre d’image, un percorso realizzato da Jean-Luc Godard e Fabrice Aragno a partire dall’ultimo film del regista, Le livre d’image (2018) per l’appunto. Quando quest’opera venne presentata al Festival di Cannes, l’annunciata presenza di Godard si realizzò solo attraverso una conferenza stampa in cui rispose alle domande dei giornalisti su FaceTime. Tra i diversivi più inediti della pandemia recente, va quindi segnalato il lungo incontro trasmesso in diretta Instagram lo scorso 7 aprile da casa Godard, dove il cineasta ha dialogato per più di un’ora e mezza con Lionel Baier dell’Ecal, la Scuola d’arte di Losanna. Sigaro d’ordinanza e verve un po’ appannata, l’apparizione iconica di Godard nell’eterno fluire dei social ha rappresentato un evento che chi abbia trovato faticoso seguire in diretta può ancora reperire in rete qui. Nel corso della conversazione non sono mancate anticipazioni su di un lavoro che il regista starebbe progettando (a tema musicale) e sentenze diventate subito virali su come il vero virus del nostro tempo sia la comunicazione, l’ipertrofia mediatica.

Benché “tutto scorra”, i festival del prossimo futuro e soprattutto quelli legati al racconto e alla critica del reale non potranno probabilmente riproporsi in modo identico al passato. Saranno senz’altro necessarie formule ibride destinate a limitare gli spostamenti degli autori e degli spettatori, mentre fioriscono nuove piattaforme distributive a basso costo che difficilmente verranno presto archiviate. Nel frattempo, iniziano a circolare i primi piccoli film realizzati nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria. Un altro festival costretto a slittare (era previsto a marzo) e a realizzarsi unicamente on line come il 22o Thessaloniki Documentary Festival (19-28 maggio 2020) ha invitato alcune decine di autori di tutto il mondo ha firmare un breve filmato di tre o quattro minuti latamente ispirato allo Specie di spazi di Georges Perec e ha già pubblicato su youtube due raccolte di queste opere prodotte nei rispettivi confinamenti. Altre se ne aggiungeranno a breve ed è indicativo della necessità di riflettere sul nostro tempo anche grazie al cinema che tutti i contatti tentati dalla direzione del festival greco abbiano ricevuto una risposta positiva. Tra le più riuscite, si segnalano quelle del rumeno Radu Jude (con la partecipazione del figlio) e di Jia Zhangke che ragiona precisamente sul ritorno alla socialità e al cinema, fatto e sognato.

© CultFrame 05/2020

SUL WEB
Visions du Réel – il sito

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