L’annullamento del 42° Cinéma du Réel e il cinema sospeso

Frame tratto dal film di Elise Florenty e Marcel Turkovsky “Don’t Rush” (2020)

Il reale è ciò che ci resiste, ciò che percepiamo proprio per la sua resistenza e per la sofferenza che può provocare il suo mettere alla prova ogni aspirazione umana. Ma i nostri desideri e la nostra volontà possono rafforzarsi nel confronto con il reale, facendo i conti con esso e di certo non negandolo. Ecco quindi che nel travagliato inizio di 2020 non sembrava possibile lo svolgimento regolare di un Festival come il Cinéma du Réel (previsto dal 12 al 22 marzo), dedicato per l’appunto al cinema che va incontro al reale, sebbene gli organizzatori abbiano giustamente tentato fino all’ultimo di varare l’edizione che avevano pronta.

Infatti, il 12 sera l’apertura della manifestazione si è tenuta come previsto, ma in contemporanea con il discorso presidenziale di Emmanuel Macron che annunciava nuove misure di contrasto al Covid19 da adottarsi in tutta la Francia. Mentre in una sala del tutto esaurita, e con il palco gremito di rappresentanti dei lavoratori precari nei festival, si mostrava l’interessante Calamity Jane & Delphine Seyrig. A Story di Babette Mangolte, venivano emanate disposizioni tali da impedire il proseguimento del Festival, in particolare a causa delle limitazioni alle riunioni di più di 100 persone. Che fare, dunque, per la direttrice Catherine Bizern e il suo team? In che modo continuare a vedere e far vedere il cinema di ieri e di oggi?

L’interrogativo accomuna nelle settimane di pandemia tutti coloro che amano il cinema, professionisti e spettatori. Tra le numerose piattaforme di streaming e film on demand che promuovono la visione domestica di film di qualità si segnalano l’anticipatrice Streen che distribuisce on line documentari e video sperimentali, l’iniziativa del Cinema Metropolis Umbertide e del Postmodernissimo di Perugia che mette a disposizione un numero selezionato di film di autori italiani quali Giovanni Cioni, Daniele Gaglianone, Luca Ferri e un corto di Marco Bellocchio, mentre la Cineteca di Bologna (con la cadenza delle uscite in sala, ogni giovedì), quella di Milano, il Museo Nazionale del Cinema di Torino e l’Istituto Luce fanno altrettanto con i loro cataloghi. Così, pure i festival si devono adeguare all’emergenza: dal più sfortunato Seeyousound di Torino (sospeso a pochi giorni dall’inizio e già espostosi dal punto di vita economico), ai rinvii annunciati in serie di Bergamo Film Meeting, Far East di Udine e molti altri, a chi come Cortinametraggio (previsto dal 23 al 28 marzo) si svolgerà interamente on line proponendo il programma previsto tramite il suo sito web.

Pur restando insostituibile la socialità, quella che nel comunicato di annullamento del 42° Cinéma du Réel è definita la “convivialità” che si instaura in un Festival, anche da Parigi hanno pensato di rendere comunque disponibili i film dei Concorsi già annunciati per quest’anno a tutti gli accreditati tramite un’apposita videoteca on line, ma in alcuni casi anche a chi si collegherà alle piattaforme Festivalscope (dove dal 20 marzo saranno visibili gratuitamente i film della selezione francese in versione sottotitolata in inglese e altri ancora si troveranno nella versione Pro per gli abbonati al sito), Tënk (che propone dal 20 alcuni titoli delle edizioni 2019 e 2020 che si aggiorneranno il 3 aprile), e Mediapart (con tredici film corti di cineasti esordienti già votabili dal pubblico). A chi guarderà queste opere, seppur sacrificate al piccolo formato degli schermi casalinghi, starà poi di condividere i propri commenti via web, siti e forum… cercando di ricreare gli scambi che avvengono solo in quella particolare forma di comunità che sono i festival.

Frame tratto dal film di Bruno Risas “Yesterday There Were Strange Things in the Sky” (2019)

Il cinema trasmesso a distanza, che entra nelle stanze delle case di ciascuno di noi, non è certo una novità ma in questo particolare momento le condizioni di visione del ‘cinema del reale’ inducono a ricercare nella selezione del Réel tracce dell’emergenza incipiente. In effetti, non sono pochi i film dei concorsi lunghi e corti che ragionano in modo ricorsivo su tre elementi centrali nella temperie attuale: il rapporto tra generazioni, tra l’umanità e l’ecosistema terrestre, la vita in condizioni di privazione di libertà o di dominazione. Come vengono filmati questi temi?

Per esempio, Vladimir Léon nel suo Mes chers espions cerca con camera a mano e camere seminascoste di ricostruire il passato di presunte spie sovietiche (o forse no) dei propri nonni e insieme al fratello Pierre scava negli archivi e ripercorre i luoghi della loro infanzia nella Russia di oggi. I due sono autori e attori noti del cinema francese, sodali di Jean-Paul Civeyrac e Serge Bozon (a loro volta ammiratori del cineasta e critico Jean-Claude Biette) ma non è semplice per nessuno sciogliere gli enigmi di una generazione ormai scomparsa e fitta di espatri e rimpatri forzati, a rischio perenne di finire in gulag, di misteri tuttora non svelati da parte dell’autorità e degli enti russi che ne conservano le memorie documentali. Ne emerge un inno alla cura della relazione intergenerazionale e una denuncia della censura politica vigente nella Russia contemporanea in modo nient’affatto diverso che un tempo.

Frame tratto dal film di Marie Dault “Chronique de la terre volée” (2020)

All’interrogazione dei rapporti con una madre e la madrepatria era dedicata la trilogia dell’azero Hilal Bajdarov (Birthday, Mother and Son e When the Persimmons Grew dove c’era anche il fratello) realizzata alcuni anni fa e riaffiorata in vari festival europei dell’ultima stagione mentre a Parigi era atteso il nuovo Nails on My Brain: anche qui una meditazione condotta nel paesaggio con camera fissa e sapienza pittorica esplorando ciò che rimane di quella che potrebbe essere forse stata la casa natale del protagonista. Legami di sangue e legami con la terra, come in Celle qui manque dedicato da Rares Ienasoaie alla sorella morfinomane che vive in un camion, in La terre de Gevar di Qutaiba Barhamji il cui protagonista fuggito dalla Siria reimpara a fare il contadino nei pressi di Reims o in Chronique de la terre volée di Marie Dault che filma la lotta di un comitato di residenti di un barrio abusivo sorto sulle alture di Caracas che intendono riscattare la proprietà del terreno dove risiedono, cosa possibile se provano di abitarci da lungo tempo secondo una legge chavista: la protagonista è una motivata raccoglitrice di storie che forniranno la prova che il barrio ha una storia; specularmente la regista realizza in super8 e in bianco e nero una serie di filmati di finto archivio che mostrano il passato del luogo e illustrano i ricordi di chi ci vive.

Il tempo trascorso in luoghi chiusi, più o meno reclusi, è invece l’oggetto di Yesterday there were strange things in the sky del brasiliano Bruno Risas (sul ménage casalingo dei suoi dopo che il padre ha perso il lavoro), Une maison di Judith Auffray (su di una casa in cui vivono sette giovani affetti da autismo), Carrousel di Marina Meijer (su di un centro di Rotterdam che aiuta ragazzi dal passato turbolento a ripensare il proprio avvenire), The Choice di Gu Xue (ripresa della discussione di famiglia durata oltre un’ora sul destino di un’anziana zia moribonda), Don’t Rush di Elise Florenty e Marcel Türkowsky (su tre ragazzi chiusi in casa a fumare e ascoltare musica Rebetiko in una notte d’estate), mentre in Bring Down the walls di Phil Collins la vita notturna e la musica House vengono presentate come mezzi di emancipazione dalle derive securitarie e dalla dominazione sociale persistenti negli Stati Uniti e in El Año del Descubrimiento di Luis López Carrasco si ritorna, con un repertorio di discussioni filmate, alle proteste di masse scoppiate il 3 febbraio 1992 a Cartagena contro lo smantellamento delle industrie e del tessuto sociale in corso in quella zona della Spagna: altrettante meditazioni assai pertinenti sul contemporaneo.

Ben centrati nel tempo che stiamo vivendo erano anche i due focus costruiti dal festival parigino per questo sventurato 2020: Face à Face avec le Pouvoir, comprendente anche diversi film non puramente documentari come La presa del potere da parte di Luigi XIV (1966) di Rossellini messo a contrappunto con il termine della stessa parabola rappresentato in La Mort de Louis XIV (2016) di Albert Serra o una manciata di titoli di cineasti diversamente impegnati come Hans-Jürgen Syberberg o Jean-Louis Comolli, Avi Mograbi o Werner Herzog; e Front(s) Populaire(s), imperniato sulla domanda «Que faire de nous?», vale a dire come abitare in modo diverso il nostro pianeta, a partire dal primo titolo in programma, Tu crois que la terre est chose morte di Florence Lazar, fino all’opera collettiva Le Rond-Point de la colère realizzata con i cellulari da un gruppo di Gilets jaunes, ma si sarebbero riviste anche pellicole quali The Fall (1969) di Peter Whitehead o Operai Contadini (2001) di Straub e Huillet e uno speciale programma di riscoperta del cinema comunitario quanto mai necessario di Fernand Deligny.

Che dire poi degli omaggi a Pedro Costa per il ventennale di Nella stanza di Vanda (di stanza in stanza), a Mosco Boucault autore di molti film interessanti per gli italiani quali Ils étaient les Brigades Rouges (2009) e Corleone, le parrain des parrains (2019) ma anche di quel Roubaix, commissariat central. Affaires courantes che ha ispirato l’ultimo film a soggetto di Arnaud Desplechin, Roubaix, une lumière (2019). Ed è davvero un peccato non aver potuto realizzare gli incontri previsti a Parigi tra Boucault e Bellocchio, Desplechin, Claire Simon.

Frame tratto dal film di Pedro Costa “Nella stanza di Vanda” (2000)

Intanto, all’indomani dello stop al Réel, insieme al virus, si è diffusa la notizia che anche il Festival di Cannes 2020 è da considerarsi annullato e difficilmente si tramuterà in una serie di proiezioni a distanza. Pur essendo giusto avvalersi delle alternative tecnologiche sarebbe bene restare comunque consapevoli della privazione che stiamo vivendo e dell’ammonimento che già Adorno lanciava nei suoi Minima Moralia, di cui si legge un estratto – di seguito ampliato e tradotto – nel cartello iniziale del corto La fabrique des monstres di Malak Maatoug, selezionato dal Réel sospeso: “La tecnicizzazione rende le mosse brutali e precise, e così gli uomini. Elimina dai gesti ogni esitazione, ogni prudenza, ogni garbo. Li sottopone alle esigenze spietate, vorrei dire astoriche delle cose. Così si disimpara a chiudere piano, con cautela e pur saldamente una porta. Quelle delle auto e dei frigidaires vanno sbattute con forza, altre hanno la tendenza a scattare da sole e inducono chi entra alla villania di non guardare dietro di sé, di non custodire l’interno che l’accoglie. […] Tra le cause del deperimento dell’esperienza c’è, non ultimo, il fatto che le cose, sottoposte alla legge della loro pura funzionalità, assumono una forma che riduce il contatto con esse alla pura manipolazione, senza tollerare quel surplus – sia in libertà del contegno che in indipendenza della cosa – che sopravvive come nocciolo dell’esperienza perché non è consumato dall’istante dell’azione”.

© CultFrame 03/2020

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