Favolacce ⋅ Un film dei fratelli D’Innocenzo

Dopo la già di per sé lusinghiera selezione nel Concorso ufficiale della Berlinale 2020, a due anni dalla presentazione nella sezione Panorama de La terra dell’abbastanza (2018),  Favolacce dei fratelli D’Innocenzo è tornato da Berlino con l’Orso per la Miglior Sceneggiatura. Al di là del fatto che i due hanno partecipato lo scorso anno a un laboratorio specifico promosso dal Sundance Institute con Paul Thomas Anderson per lavorare allo script del loro prossimo film, facendo probabilmente tesoro di quest’esperienza, e hanno pubblicato persino un libro di poesie intitolato Mia madre è un’arma (La Nave di Teseo, 2019), il premio assegnato dalla giuria presieduta da Jeremy Irons non è un riconoscimento limitato unicamente alla capacità di scrittura messa in mostra in Favolacce; ma deve considerarsi come un attestato di stima per il complesso della fattura registica dell’opera seconda dei fratelli romani e per la loro capacità di coniugare istanze autobiografiche, affresco sociale e codici del cinema di genere riproposti in modo alquanto personale.

La stessa giuria berlinese, in cui figurava anche l’italiano Luca Marinelli, ha peraltro consegnato l’Orso per il Migliore Attore a Elio Germano grazie alla sua mimetica interpretazione del pittore Ligabue in Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, e non può non aver notato lo stesso Germano recitare senza alcun trucco e parrucco posticcio, purtuttavia con un paio di scene madri che non passano inosservate, la parte di uno dei meschini protagonisti di Favolacce. Che è però un’opera molto più corale della precedente, e con un cast composto in buona parte di ragazzini ai quali è riservato il ruolo di far detonare la disperazione latente in cui sopravvive l’umanità ritratta dai gemelli D’Innocenzo.

Fin dal titolo e dalla cornice affidata alla voce narrante di Max Tortora, che era tra gli interpreti del loro esordio, il film sembra giocare di continuo prima a confortare e poi a destabilizzare lo spettatore. Difatti, la voice over del narratore (forse uno scrittore depresso che potrebbe rispecchiarsi con il “cattivo maestro” Lino Musella) racconta d’aver trovato per caso nell’immondizia un diario interrotto e pieno di reticenze di una ragazzina e di averlo voluto continuare inventando ciò che nel quaderno non c’era scritto: quello che sta iniziando è dunque un film “ispirato a una storia vera, a sua volta ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata”, chiosa la voice over introducendo il fatto che quanto stiamo per vedere nasconde più di uno strato di complessità. A partire dal fatto che il punto di vista che in talune sequenze è incardinato in quello della ragazzina il cui padre è interpretato da Germano si ripartisce e moltiplica nel fratello e in altri coetanei.

Per esempio, pare facile ed efficace la scelta di far aprire e chiudere la narrazione con una  speculare scena di famiglia che assiste senza alcuna reazione evidente a un’atroce servizio di cronaca nera televisiva, ma questa, a ben guardare, porta a un lieve cortocircuito temporale. Così, l’affresco della comunità di compagni di scuola che durante le vacanze estive affrontano con disagio i primi approcci amorosi non è certo qualcosa di inedito. Eppure, come nel recente L’ultima ora (2018) di Sébastien Marnier, saranno loro ad alzare il velo sulla miseria morale e sull’assenza di prospettive in cui sono venuti al mondo. Dimostrandosi un po’ più lucidi e meno inclini all’ipocrisia degli adulti che li circondano, ma non per questo più buoni.

Come si accennava, Favolacce è nato da meditazioni post-adolescenziali dei due autori ma contaminate da riferimenti e visioni di matrice ben più ampia. Il film è ambientato per lo più tra le villette di una Spinaceto che rimanda più che alla celebre citazione di Nanni Moretti a un immaginario nordamericano (tra American Beauty e Desperate Housewives, benché più in piccolo, per intenderci) abitato però da burini arricchiti o impoveriti. È proprio la costruzione spaziale di questi interni fatti di camerette al piano di sopra e piani interrati, circondati da giardini esposti in permanenza al controllo dello sguardo dei vicini, che dà corpo alle dinamiche tra figli e genitori e alle relazioni sociali tra questi ultimi. Il racconto si estende poi anche in suburbi un tempo agricoli come quello in cui vivono, in un prefabbricato dimesso, i personaggi di Gabriel Montesi e di suo figlio (che occhieggia al Midwest di tanto cinema indie a stelle e strisce) e sul litorale laziale.

Valorizzate dalla colonna sonora tratta dall’album Città notte (1972) di Egisto Macchi, compositore molto attivo nel cinema italiano di genere (e non solo) tra gli anni Sessanta e Ottanta, che nel finale lascia spazio a una versione contemporanea della canzone La passacaglia della vita, la struttura narrativa e le scelte visuali dei D’Innocenzo riescono dunque a trasmettere un’inquietudine esistenziale profonda, che risulta più convincente anche in virtù di qualche imperfezione non sgrezzata del testo e della regia che rappresenta la loro cifra più autentica.

© CultFrame 03/2020 – 06/2020

Film presentato alla 70° Berlinale

TRAMA
Dal diario di una ragazzina affiorato – significativamente – dalla spazzatura riemerge la storia di un’estate narrata un episodio dopo l’altro, di pagina in pagina, i cui contorni si preciseranno soltanto nel finale.

CREDITI
Titolo: Favolacce / Regia: Fratelli D’Innocenzo / Sceneggiatura: Fratelli D’Innocenzo / Montaggio: Esmeralda Calabria / Fotografia: Paolo Carnera / Interpreti: Aldo Ottobrino, Barbara Chichiarelli, Barbara Ronchi, Cristina Pellegrino, Elio Germano, Gabriel Montesi, Giulia Galiani, Giulia Melillo, Giulietta Rebeggiani, Ileana D’Ambra, Justin Korovkin, Laura Borgioli, Lino Musella, Max Malatesta, Sara Bertelà, Tommaso Di Cola / Produzione: Pepito Produzioni, Rai Cinema, Amka Film, QMI Paese: Italia-Svizzera, 2020 / Distribuzione: Vision Distribution / Durata: 98 minuti.

SUL WEB
Filmografia di Damiano D’Innocenzo
Filmografia di Fabio D’Innocenzo
Berlinale – Il sito

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