La casa di Jack ⋅ Un film di Lars von Trier

Difficile che un film di Lars von Trier non sia accompagnato da qualche polemica. Con la sua ultima opera, però, La casa di Jack, presentata nel 2018 fuori concorso a Cannes, il celebre regista danese ha sollevato un polverone come mai gli era accaduto di fare in precedenza. Sono state infatti molte le persone che, durante la proiezione, a causa dei contenuti piuttosto violenti della pellicola, hanno deciso di abbandonare la sala ben prima dei titoli di coda.

Già dalla trama del film, ambientato negli anni Settanta, è certamente facile intuire che non stiamo per addentrarci in un territorio rassicurante: Jack (Matt Dillon), un affascinante e schivo ingegnere di mezza età, scopre inaspettatamente il proprio istinto omicida in seguito a un casuale incontro con una donna (Uma Thurman). Il protagonista, tuttavia, non vuole “semplicemente” uccidere: l’uomo utilizza infatti i corpi delle sue vittime come “materiale grezzo” con cui creare quelle che lui considera delle vere e proprie opere d’arte.

(Perversamente) esemplare in tal senso la sequenza in cui, nel folto di un bosco, Jack sistema i cadaveri di una madre e dei suoi due bambini all’interno di un perimetro formato da corvi morti: una visione questa attraverso la quale von Trier mette in evidenza il folle – quanto impeccabile – senso della composizione del protagonista. Ma, al di là della sua follia, Jack è anche – e soprattutto – un uomo di grande cultura, che, nel corso delle sue riflessioni, ama stabilire ardite e stimolanti connessioni – talvolta venate di ironia – tra il proprio lancinante universo e l’arte nelle sue varie forme, l’architettura e la storia; si impongono a tal proposito in diverse sequenze inserti di celebri dipinti, animazioni con cattedrali gotiche, filmati d’epoca di alcuni dittatori del Novecento.

Lars von Trier

Tale affascinante apparato visivo viene ulteriormente impreziosito dalla sorprendente compresenza di più stili: alle sequenze caratterizzate da un’atmosfera “grezza”, in cui a farsi notare è soprattutto l’uso insistito della macchina a mano, se ne alternano altre ricche di inquadrature sofisticate, simili ad abbacinanti tableaux vivants (di grande impatto, ad esempio, la conturbante rielaborazione, poco prima del finale, del celebre La barca di Dante di Delacroix).

Alla (inquietante) peculiarità della trama e dell’universo del protagonista fa eco quella della struttura narrativa del film: ciò che vediamo è (perlopiù) già accaduto molto tempo prima; quasi tutta la pellicola consiste difatti nella narrazione da parte di Jack della sua storia a un misterioso destinatario, Verge, la cui presenza verrà mostrata soltanto in un secondo momento.

Ma Verge è uno dei pochi “elementi” che Lars von Trier decide di lasciare fuori campo – sebbene non poi troppo a lungo: difatti, tra mutilazioni, generosi scorrimenti di sangue, parti di corpo rese (mirabilmente) grottesche dal tocco terrificante e sopraffino di Jack, è evidente come il regista voglia assolutamente far vedere – e, va da sé, turbare –, lasciando così ben poco “dietro le quinte”.

Lars von Trier

Tuttavia, nonostante la non indifferente dose di violenza, qualsiasi spettatore abituato agli horror contemporanei non avrà alla fine particolari problemi a “sopportare” le visioni qui offerte dal regista di Nymphomaniac – da questo punto di vista, dunque, le fughe dalla proiezione di Cannes lasciano decisamente perplessi. Inoltre, nel caso di un autore come von Trier, lo spettatore non dovrebbe, forse, far tanto caso all’orrore che si impone in alcuni suoi film, quanto alle modalità con cui questo viene messo in campo dal regista.

Andrebbe a tal proposito ricordato che Lars von Trier è capace di turbare nel profondo anche senza ricorrere a provocazioni, “limitandosi” semplicemente a creare pesantissime, magistrali atmosfere: si pensi, ad esempio, all’inquietante presenza della luna che, in Melancholia, sembra vigilare (sempre più) ingombrante e indifferente sulla depressione della protagonista, una visione questa che, a ben vedere, può risultare “violenta”, angosciante quasi quanto un’eccentrica mutilazione ad opera di Jack.

Ridurre, dunque, l’intero film di von Trier a a una sfilata di mere provocazioni – e rimanerne così sconvolti da non riuscire ad arrivare alla fine – significa fare uno sgarbo alla complessità dell’universo di questo autore che, per fortuna, continua a rivelarsi prezioso.

© CultFrame 02/2019

TRAMA
Jack, un affascinante e schivo ingegnere di mezza età, scopre inaspettatamente il proprio istinto omicida in seguito a un casuale incontro con una donna. Tale “rivelazione” gli apre un mondo di sanguinaria, incredibile complessità: l’uomo inizia ben presto a considerare l’omicidio come una sorta di (possibile) forma d’arte, finendo così per trattare i corpi delle sue vittime come “materiale grezzo” con cui creare delle personalissime opere…


CREDITI

Titolo: La casa di Jack / Titolo originale: The House that Jack Built / Regia e sceneggiatura: Lars von Trier / Fotografia: Manuel Alberto Claro / Montaggio: Jacob Secher Schulsinger, Molly Malene Stensgaard / Scenografia: Simone Gray Roney / Interpreti: Matt Damon, Uma Thurman, Bruno Ganz, Riley Keough, Jeremy Davies / Produzione: Zentropa Entertainments, CNC – Centre National du Cinéma et de l’Image, Copenhagen Film Fund, Eurimages, Film i Väst, Film und Medien Stiftung NRW, Nordisk Film- & TV-Fond in cooperazione con Concorde Filmverleih, Danmarks Radio (DR), Les Films du Losange, MEDIA Programme of the European Union, Nordisk Film Distribution, Potemkine, Sveriges Television (SVT) con il supporto di Danish Film Institute, Swedish Film / Paese: Danimarca, Svezia, Francia, Germania, 2018 / Distribuzione: Videa / Durata: 155 minuti.

SUL WEB
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Videa

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