Artefiera Bologna 2011. Considerazioni sulla teoria della “lunga coda” e sull’estinzione del collezionista

simone_bergantini-untitledArtefiera Art First, edizione 2011, ha appena chiuso i battenti ed è il momento per fare qualche considerazione, fuori dal circo mondano e dal chiasso visivo che ogni evento di questo genere porta inevitabilmente con sé.
Prima qualche dato sull’andamento della Fiera, diretta con indiscutibile abilità da Silvia Evangelisti e Julia Draganovic: oltre duecento gallerie hanno preso parte all’esposizione, suddivise tra un trenta percento di presenze straniere contro un preponderante settanta per cento di italiane, un numero di visitatori che si aggira attorno ai trenta-trentaduemila paganti, malgrado il biglietto di ingresso sia giunto alla cifra considerevole di venti euro, e una notte bianca che ha tenuto sveglia Bologna fino alla domenica; musei aperti e tantissime offerte di eventi collaterali di qualità per la parte “off” della manifestazione, oltre a grandi nomi coinvolti come Marina Abramovic e Christian Boltanski. All’interno, stand ben allestiti, bollini rossi che segnalano una timida ripresa delle vendite e molti giovani ad affollare i padiglioni di quella che è unanimemente considerata la “lady” delle fiere d’arte italiane, l’unica in grado di reggere il confronto con gli inarrivabili appuntamenti europei o mondiali, fatta salva Artissima di Torino, che si è ritagliata una spazio privilegiato legato alla vocazione sperimentale manifestata e consolidata nel corso degli anni.

Una buona edizione, questa del 2011, si direbbe. Mettendo da parte per un attimo i conti della serva e volendo fare i guastafeste, sembra giusto gettare uno sguardo un po’ più attento ai segnali disseminati qua e là tra le opere esposte nel mercato dell’arte bolognese. E non si storca il naso alla parola mercato, perché in Fiera tutto ha un prezzo.
Innanzitutto un elemento innegabile, sebbene non sia un dato scientificamente confutabile, è stata l’atmosfera respirata durante l’inaugurazione della fiera. Come in tutti gli eventi di questa portata, durante l’inaugurazione si condensano aspettative, tensioni, paure ed entusiasmi legati all’ importante lavoro fatto dalle gallerie e dagli artisti per arrivare in perfetta forma, diciamo così, ai blocchi di partenza della gara. Curiosamente, quest’anno si è avvertita un’aria mesta, come se sulle spalle degli espositori gravasse un lungo anno di fatica e di frustrazioni, manifestazione tangibile di un mercato che ha subito pesanti flessioni e ha visto la conferma, tanto paventata, dell’erosione definitiva del “collezionista medio”.
Gli stand della cosiddetta parte “storica”, ovvero quella che raccoglie grandi nomi delle avanguardie e classici del contemporaneo, hanno mantenuto un buon livello qualitativo, in alcuni casi sopra la media, ad esempio per ciò che concerne alcuni splendidi pezzi singoli o scelte espositive audaci, come Dep Art di Milano che ha proposto una personale di Dadamaino o Alfonso Artiaco di Napoli che ha dedicato lo stand a Gilbert & George. Pittura in primo piano ma scultura che recupera terreno, scrollandosi di dosso l’aura di cenerentola delle arti, difficile com’è da comprare per costi e per disabitudine del pubblico.

Per tastare il polso della produzione attuale bisogna però buttarsi nei padiglioni che accolgono le gallerie giovani e tutte le realtà espositive legate al contemporaneo più spinto. E qui, ciò che salta agli occhi è la quantità di fotografia esposta. L’offerta di quest’anno è quanto mai eterogenea e diffusa, le gallerie sembrano improvvisamente essersi risvegliate da un lungo torpore e essere state folgorate da un colpo di fulmine. Cosa piuttosto sospetta, assodato che il mercato del collezionismo fotografico in Italia è tra i più deboli d’Europa e gli operatori del settore piangono giustamente lacrime di miseria quando si tratta di organizzare eventi fotografici che non abbiano come protagonisti nomi storici quali Giacomelli, Berengo Gardin, Scianna o ancora le superstar internazionali stile LaChapelle, Bettina Rheims e Araki, tanto per citarne alcuni.
I motivi reali che si celano dietro a questa tendenza forse vanno individuati in quella flessione del mercato di cui sia accennava poco sopra. Da un lato, va evidenziato come vendere la fotografia sia impresa ardua, dato che i collezionisti di pittura e scultura si spostano poco agevolmente verso l’acquisto di opere dalle vesti meno tradizionali e non esiste ancora una pubblico di appassionati disposto ad investire con costanza nel lavoro di giovani artisti che utilizzano il mezzo video-fotografico. Questo rende molto faticoso l’emergere di figure anche di indiscutibile talento, spesso costrette alla consueta fuga all’estero per cercare uno spazio di sopravvivenza.

marinella_senatore-one_double_entryD’altro canto, la fotografia rappresenta anche uno specchietto per le allodole: per un pubblico di non addetti ai lavori può sembrare più facile acquistare un’opera apparentemente più “leggibile”, che ha a che fare con il reale, cadendo nel malinteso ancora diffuso per cui un’opera fotografica sia più accessibile di un’elaborazione pittorica o di qualsiasi altro manufatto artistico. Inoltre, fattore non secondario, i costi contenuti giustificano un acquisto anche da parte di un non-collezionista.
Sia comunque per un calcolo meramente monetario, sia per una sincera voglia di spingere un settore ancora lontano dall’affermarsi nel gusto del pubblico, a Bologna la fotografia d’arte ha conquistato una vetrina importante e ha dimostrato di avere un futuro se non roseo, quantomeno tutto in costruzione, di fronte a sé.
Forse è ancora presto per capire se le tendenze rilevate a Bologna saranno il barometro reale dell’anno appena cominciato, ma certo è che la teoria della “Long tail” sembra sempre più acquistare sostenitori, anche nel mercato artistico. A fronte di un settore tendenzialmente statico come quello degli storici, dove le mode sono meno feroci e il gusto si modella nel tempo, la fascia dinamica dell’arte più giovane vede l’offerta moltiplicarsi esponenzialmente. Come predetto da Chris Anderson nel lontano 2004, ad un pubblico di nicchia (quindi non ai collezionisti che si contendono tutti lo stesso Burri o lo stesso Pistoletto) corrisponde una maggiore quantità di prodotti specializzati: la vendita di tanti prodotti di costo inferiore a singoli acquirenti equivale o supera il guadagno di pochi, costosissimi prodotti consolidati. Che la teoria di Anderson funzioni o meno, l’auspicio è che il settore dell’arte riprenda respiro grazie a nuovi appassionati, collezionisti medio piccoli – di cui si sente fortemente la mancanza – che investano in opere di qualità e di galleristi che continuino caparbiamente a fare ricerca, oltre e al di là delle speculazioni immediate. Anche credendo un po’ di più nella fotografia e nel video.

© CultFrame 02/2011


IMMAGINI

1 Simone Bergantini, Senza titolo, 2008, courtesy Jarach Gallery, Venezia.
2 Marinella Senatore, Own Double Entry, 2009, stampa lambda su dibond, cm 85×150, ed 1/3, courtesy galleria Umberto di Marino, Napoli.

INFORMAZIONI
Artefiera Art First – Bologna, 2011 / Quartiere Fieristico di Bologna
dal 28 al 31 gennaio 2011
Viale della Fiera 20, Bologna / Telefono: 051.282111 / artefiera@bolognafiere.it

LINK
Artefiera Art First, Bologna

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