Riflessioni sulla corruzione dell’animo umano in Classe dirigente ⋅ Un film di Peter Medak

A rivedere oggi La classe dirigente di Peter Medak si rimane stupiti di quanto, ancora, a distanza di cinquanta anni dalla sua uscita, rimanga attuale. Certamente riflessioni sul potere e sulla corruzione dell’animo umano ce sono state tante nella storia del cinema ma grazie a una sottile vena surreale The Rulling Class (n.d.r. titolo originale) rimane uno dei lavori cinematografici più esemplari in tal senso. 

Alla morte del padre impiccatosi per errore, il giovane Jack, il quale crede di essere Gesù, esce dal manicomio, per assumere il titolo di Lord e il possesso dell’ingente patrimonio del defunto. Non riuscendo, malgrado la sua pazzia, a diseredarlo, i suoi avidi parenti, lo zio Charles e sua moglie Claire, decidono di farlo sposare per avere un erede “sano”. Ma uno psichiatra riesce a curarlo, o almeno crede cosi, e la follia di Jack, mescolata a una perversa coscienza del proprio stato, lo porta a commettere gesti terrificanti. 

Con una storia, tratta dal testo teatrale di Peter Barnes di swiftiana memoria, che fa coppia con il contemporaneo Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel, Peter Medak firma il suo film migliore, con un estro che ritroverà solo nel (molto) successivo Triplo gioco.
Molti critici, all’epoca, hanno parlato di satira feroce dell’aristocrazia britannica ma il film va molto oltre: si inabissa nell’oscurità della psiche dell’essere umano e del suo rapporto col potere. 

Jack e i suoi parenti sono talmente assettati di controllo e avidi di denaro che formano una corte dei miracoli, la quale alla fine diventa specchio del mondo contemporaneo piuttosto che solo l’immagine della “classe dirigente”. Una potente e spietata critica sociale e allo stesso momento un angosciante dramma esistenziale, dunque.

Il regista si mette al servizio dei personaggi con tutta la sua rabbia contro l’establishment, anche quello che lo ha fatto scappare dalla sua Ungheria in seguito alla rivoluzione ungherese. Viene fuori, così, un pamphlet dissacrante, grottesco e perfido. Infatti, La classe dirigente è una parodia che tracima in una parabola infernale. 

Questi “vizi privati” e queste “pubbliche virtù” creano una girandola di situazioni ora demenziali ora tragiche le quali danno la possibilità al cast di offrire alcune interpretazioni di alta classe: a cominciare da un eccentricamente geniale Peter O’Toole, che non prese l’Oscar quell’anno “solo” per la presenza di un Marlon Brando nel Padrino coppoliano, fino al vecchio Alastair Sim, nella parte di un vescovo fuori di testa; poi Harry Andrews, Nigel Green e due grandi dame del cinema dell’epoca come Coral Brown e Carolyn Seymour, divertenti e divertite nelle rispettive parti. 

Infine, Peter Medak mescola i generi: si passa dal dramma allo slapstick e dal giallo al musical, senza soluzione di continuità. Il tutto lo farà diventare un film invisibile, almeno in Italia, Paese che non ama(va) mix del genere. E invisibile rimane ancora oggi dalle nostre parti, visto che non mi risulta esista una versione su nessun tipo di supporto.

© CultFrame 11/2022

TRAMA
Dopo la morte di suo padre, Jack Garney, convinto di essere Gesù, esce dal manicomio e, da unico erede, si impossessa dell’intero patrimonio di famiglia. I suoi avidi parenti però, decisi a mettere le mani sull’eredità, architettano un piano ma Jack, in seguito alle cure di uno psichiatra amico di famiglia, è ormai completamente guarito e riesce a mandare a monte le intenzioni dei parenti e cerca di sbarazzarsi definitivamente di loro.

CREDITI
Titolo originale: The Ruling Class / Titolo italiano: La classe dirigente / Regia: Peter Medak/ Sceneggiatura: Peter Barnes dal suo testo teatrale / Fotografia: Ken Hodges/ Montaggio: Ray Lovejoy/ Musica: John Cameron / Interpreti: Peter O’Toole, Alastair Sim, William Mervyn, Coral Brown, Nigel Green Kay Walsh/ Produzione: Jack Hawkins, Jules Beck, David Korda / Anno produzione: 1972 / Paese: Regno Unito / Durata: 154 minuti

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