Il ribaltamento esistenziale di Julianne in Une femme de notre temps⋅ Un film di Jean-Paul Civeyrac

Cinque anni dopo Mes provinciales  (2018), il regista francese Jean-Paul Civeyrac aggiunge un nuovo tassello alla sua filmografia praticamente sconosciuta in Italia nonostante si tratti di un autore al decimo lungometraggio e a cui nel 2018 la Cinémathèque Française ha dedicato una retrospettiva completa.

Civeyrac compone e dirige i suoi cast con una cura capace di toccare nell’intimo: non si tratta solo di sensibilità verso la “bellezza” e la grazia degli interpreti – evidente nel pantheon di giovani volti che popolava Mes provinciales – ma anche di precisione nel creare le condizioni per cui degli e delle esordienti possano dare corpo a un’atmosfera, a uno stato d’animo, come accadeva in Le doux amour des hommes (2002), con protagonista Renaud Bécard praticamente mai visto prima e poco visto da allora se non a teatro, oppure in Mon amie Victoria (2014) che ha permesso di scoprire Guslagie Malanga. Fatta eccezione per l’esperienza con le grandi Bulle Ogier e Jeanne Balibar in Toutes ces belles promesses (2003) e della piccola parte di Pascal Greggory in Mon amie Victoria, la presenza di volti molto noti è quasi eccezionale nel percorso di questo regista, scrittore, sceneggiatore, critico e insegnante con talento da scout. Une femme de notre temps fa nuovamente eccezione, affidando la parte principale a una stella come Sophie Marceau, giusta per un ruolo che si deve portare il film sulle spalle sin dal titolo. Un titolo però che rischia di ingannare chi guardi il film solo come parabola emancipatoria e vendicativa di una donna in rotta con i maschi violenti e traditori; un’operazione “dans l’air du temps”, insomma. Certo il film è anche questo, un revenge movie su di una poliziotta e scrittrice, Julianne, la cui vita intraprende una direzione inattesa quando scopre che il marito la tradisce. Ma il lavoro cinematografico di Civeyrac si può considerare anche oltre il plot.

Infatti, la storia in sé è forse meno importante del ritmo con cui è narrata, con una prima parte del film più introspettiva e una seconda in cui il personaggio sembra correre in discesa incontro al proprio destino. Le certezze a cui Julianne aveva ancorato la sua vita (il rispetto della legge, l’onore delle forze dell’ordine, l’amore e la fedeltà coniugale) via via vengono meno e la sua traiettoria cambia in modo brusco quando nel corso di un viaggio in macchina nel cuore della notte compie letteralmente e simbolicamente un’inversione a U. Da quel momento l’azione accelera, la violenza deflagra e fa esplodere la logica del film: il personaggio si ritrova costretto ad agire invece che subire anche se ad animarlo non è la speranza bensì la sete di una giustizia che va ben oltre il rispetto della legge perché non c’è donna più contemporanea della classica Antigone. Une femme de notre temps è un noir con richiami a Chabrol e a Truffaut su una donna disillusa e ferita che distrugge con furia vendicativa la vita borghese in cui aveva creduto e che si era costruita insieme al marito sospinta da una narrazione che le tocca riscrivere completamente. Julianne, che ha rinunciato al proprio cognome da nubile, Crachet (che suona sgraziato quasi come crachat, sputo), per adottare quello del marito, si ritrova di fronte alla necessità di dare un nuovo nome al suo passato e al suo futuro, un nome che finalmente le appartenga, nel bene e nel male, anzi al di là del bene e del male. 

 

La scrittura ha un posto importante nel film dato che il motore della storia è proprio il progetto della protagonista di scrivere un romanzo per comprendere le ragioni della morte della sorella (suicidio o incidente?) avvenuta cinque anni prima ed elaborarne definitivamente la perdita. Che si tratti della morte di qualcuno o della morte di un’idea, la perdita e la melanconia innervano il cinema di Civeyrac e questa volta, con il genere noir, siamo di fronte a una variazione sul tema del lutto cui si aggiunge una sfumatura di melodramma, resa palpabile da una drammaturgia musicale di respiro operistico, con tanto di omaggio esplicito a Written in the Wind di Douglas Sirk. A Locarno Civeyrac ha spiegato: “Il lutto è un tema che attraversa tutto il mio cinema, mi appartiene. Come scrive Barthes nel Diario del lutto, il lutto non finisce mai, è un’elaborazione infinita. Mi interessa mostrare come il mondo dei vivi e quello dei morti siano uno solo, non in senso trascendentale o religioso ma reale. Il cinema mi permette di mostrare la presenza dei morti nel mondo dei vivi, di darle raffigurazione”. 

Dunque, le ragioni del film si collocano oltre il plot per il fascino dell’ambientazione, per la profondità delle questioni che la storia chiama in causa – la morte appunto ma anche i legami affettivi, la scrittura –, per la ricchezza del mondo professionale e interiore della protagonista, amazzone che pratica il tiro con l’arco sportivo, la cui vita è suggerita da tanti dettagli disseminati lungo il percorso come possibili piste da approfondire. Anche i personaggi secondari hanno un proprio universo che lascia il desiderio di saperne di più: la sorella morta, artista e viaggiatrice, il collega poliziotto Sami, incarnazione di una maschilità meno torbida di quella del marito. Una tale ricchezza lascia aperte le possibilità che quest’opera preluda ad altro, ad altre storie possibili, persino a una serie come sono seriali i romanzi d’ambientazione poliziesca che Julianne scrive “con molta esattezza” (così la complimenta una collega). E c’è un ulteriore elemento che giustifica l’ipotesi di un’opera aperta: se è vero quel che diceva Cechov secondo cui se entra in scena un’arma prima o poi dovrà sparare, è anche vero che se un’arma esce di scena con un personaggio che fugge nella notte e di cui rimane in sospeso il destino, forse dovremo aspettare il prossimo episodio per capire che ne sarà di quel personaggio e dell’arma che ha portato con sé. Ma più probabilmente, Civeyrac gioca con gli stilemi del genere e con qualche falsa pista per amore del cinema.

© CultFrame 11/2022

TRAMA
Sono passati cinque anni da quando la sorella di Julianne è morta ma la sua assenza ancora pesa alla donna, poliziotta e scrittrice, che per elaborare il lutto ha deciso di dedicarle un libro. Durante la fase di preparazione, tutte le certezze di Julianne sulla vita della sorella e sulla propria finiscono per vacillare.

CREDITI
Titolo originale: Une femme de notre temps / Regia: Jean Paul Civeyrac / Sceneggiatura: Jean Paul Civeyrac / Fotografia: Pierre-Hubert Martin / Montaggio: Louise Narboni / Musiche: di Valentin Silvestrov / Interpreti: Sophie Marceau, Michaël Erpeling, Cristina Flutur, Héloïse Bousquet, Johan Heldenbergh, / Produzione: Iliade et Films, Moby Dick Films / Francia, 2022/ Durata: 96 minuti

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