38° Torino Film Festival ⋅ Bilancio e premi

Frame tratto da Botox di Kaveh Mazaheri

L’edizione 2020, interamente online, del Torino Film Festival si è conclusa con una cerimonia di premiazione in streaming che spettatori costretti a interminabili maratone di visioni sul piccolo schermo hanno apprezzato per la sintesi e rapidità. Ancora una volta, nonostante gli sforzi dispiegati dal Festival per proporre incontri via zoom, chat e dibattiti su youtube, strisce televisive di approfondimento, sono il buio della sala e l’emozione del grande schermo a mancare e ad azzoppare l’esperienza cinematografica. I festival sono fatti in primo luogo di film e incontri, certo, ma sono anche i luoghi fisici di proiezione, di transito, di sosta e di prossimità, il senso del tempo che si modifica nel flusso delle visioni attorno a cui si riorganizza la routine quotidiana, le code, le conversazioni con compagni di strada affezionati o occasionali. In rete, davanti a un pc o a una televisione, l’audio e lo schermo sono inadatti ad apprezzare la stratificazione di un’opera audiovisiva, la pazienza di chi guarda viene a mancare, altre attività sottraggono attenzione nello spazio casalingo e il click sulla barra di scorrimento è una tentazione a cui si cede facilmente. I festival online sono dunque un opportuno palliativo in tempi di emergenza ma non possono trasformarsi in una regola se ci sta a cuore l’esperienza cinematografica.

Altra piccola nota di demerito con un esempio: quest’anno, la sezione dedicata ai restauri Back to life presentava alcuni titoli notevoli come Il nero (1966) di Giovanni Vento e Pioggia di luglio (1966) di Marlen Khutsiev. È vero che chi lo desiderava poteva seguire gli incontri di approfondimento su youtube ma, per agevolare una visione avvertita, sarebbe stato bello proporre una breve presentazione a inizio film, immediatamente disponibile a tutti e in certi casi particolarmente necessaria come per la versione non censurata di Avere vent’anni (1978) di Di Leo, con un finale tutto da contestualizzare nell’anno in cui si è tanto insistito sul valore dello sguardo delle donne nel cinema. Inoltre, il film di Khutsiev è stato proiettato con improbabili e sgrammaticati sottotitoli in italiano generati da un qualche traduttore automatico: una sciatteria che questa perla non meritava.

Frame tratto da Ouvertures di The Living and the Dead Ensemble

Ma passiamo ai premi. I riconoscimenti per il miglior lungometraggio e la miglior sceneggiatura vanno a Botox di Kaveh Mazaheri, un ritratto dell’Iran di oggi tra ambizioni di cambiamento, desideri di fuga e problemi che guastano la società come muffe inestirpabili. La vicenda coinvolge due sorelle e un fratello. Akram è la maggiore, ma ha un ritardo mentale che la vincola alle decisioni degli altri due: l’inconcludente Edam con una passione per la Germania, e Azar, ambiziosa estetista che inietta botox nei visi delle signore abbienti. Determinata ad arricchirsi, Azar entra in contatto con un “ingegnere” che le propone di attrezzare la casa in cui vive insieme agli altri due con una serra per la produzione di funghetti allucinogeni. Per aprire il cantiere è necessario ottenere il consenso del fratello maschio Edam ma il destino e le rivalità fraterne finiscono per inserirsi in questa dinamica di interessi e caratteri contrapposti precipitando la famiglia nel caos. Quello che sembra fino a un certo punto un apologo grottesco sulla liberazione femminile, in cui le due protagoniste non esitano ad adottare soluzioni radicali pur di svincolarsi dal giogo maschile, si tinge progressivamente di nero e diviene un dramma claustrofobico. Tra bugie, falsa coscienza e alterazioni percettive, emerge l’immagine di un paese impantanato, dove non è più concepibile alcuna forma di lucidità.

Frame tratto dal film Sin señas particulares di Fernanda Valadez

Altra doppietta di riconoscimenti per il messicano Sin señas particulares (nessun segno particolare) di Fernanda Valadez che si aggiudica il Premio Speciale della Giuria e quello alla protagonista Mercedes Hernandez. L’attrice interpreta una madre alla ricerca del figlio minorenne scomparso nel corso di un viaggio della speranza verso gli Stati Uniti. Ancora un ritratto fosco di una zona frontaliera feroce, stretta nella morsa implacabile dei narcos e della migra, la polizia di frontiera statunitense. Una zona che non perdona chi tenta di attraversarla senza essere pronto a uccidere pur di restare in vita.

Il premio come miglior attore è andato infine a Conrad Mericoffer per Camp de maci (campo di papaveri) del romeno Eugen Jebeleanu. L’attore recita un poliziotto che tenta di reprimere e nascondere la propria omosessualità in un contesto in cui non è facile vivere una sessualità fuori norma. Il ragazzo francese con cui ha una relazione gli rende visita ma lui è distante e inquieto, incapace di godersi l’esperienza tanto da non essere neppure riuscito a prendersi un giorno di ferie per l’occasione. Mentre il ragazzo è a casa, lui va a lavorare e proprio quel giorno si trova a dover gestire con i colleghi di pattuglia l’occupazione di un cinema in cui è in corso la proiezione di un film gay da parte di un gruppo omofobo e ortodosso. A disagio e sotto pressione, il poliziotto commette una violenza ai danni di uno spettatore che rischia di mettere in serio pericolo la sua posizione professionale. Posizione che poi è sia causa che metafora del suo perenne stato di allarme, oppressione, prigionia. Anche Camp de maci è un film claustrofobico, imperniato sulla successione di quattro sequenze d’interni in cui il protagonista è sempre in gabbia, senza apparente via d’uscita possibile. Benché risenta di un impianto più teatrale che cinematografico, il film riesce nell’intento di rendere l’omofobia interiorizzata del suo personaggio e l’oppressione nevrotica di cui è preda.

Frame tratto da The Last Hillbilly di Diane Sara Bouzgarrou e Thomas Jenkoe

Sul fronte dei documentari, una selezione italiana un po’ disomogenea in termini di qualità ha visto prevalere Pino di Walter Fasano “per la capacità di tradurre un lavoro su commissione in un’esplorazione creativa, libera e personale” mentre un meritato Premio Speciale della giuria è andato a Al largo di Anna Marziano “in cui saggio, esperienza sensoriale e poesia si intrecciano” per narrare la malattia paterna con citazioni testuali sul tema dell’esplorazione dei limiti del corpo e un ricco apparato visivo che include le opere di diversi artisti internazionali. In un anno in cui l’insieme del programma del TFF è stato costruito rispettando la logica del 50/50, il comitato di selezione dei documentari è riuscito a confrontarsi con questo criterio rimettendo in discussione anche una concezione individuale dell’autorialità. Su otto opere selezionate per la competizione internazionale, infatti, solo la metà era firmata da singoli poiché due erano frutto di coppie miste e due di collettivi. Ed è proprio tra questa seconda metà che sono emersi i vincitori. Il miglior film della competizione internazionale è The last hillbilly di Diane Sara Bouzgarrou e Thomas Jenkoe, apprezzato dalla giuria per i “personaggi svelati poeticamente e senza retorica”. Il duo francese ma di provenienza assai più complessa, come narrava Bouzgarrou nel suo documentario d’esordio Je ne me souviens de rien (2017), esplora la deriva di una comunità povera e abbandonata del Kentucky attraverso il personaggio di Brian, poeta proletario, afflitto da lutti e inquietudini per un futuro quanto mai incerto in una terra senza prospettive. Il Premio speciale della giuria se l’è invece aggiudicato l’haitiano Ouvertures “che dimostra il valore del lavoro collettivo […] Un viaggio profondo e affascinante nel concetto di rivoluzione e nell’identità di un Paese”. Il film intreccia teatro, musica, videoarte attraverso le conversazioni, le prove, e le performance di un’équipe di giovani artisti e scrittori haitiani al lavoro su Monsieur Toussaint di Edouard Glissant. L’opera letteraria permette loro di entrare in contatto con la Storia della rivoluzione haitiana e con le spinte utopistiche che ancora vivono in loro.

Oltre ad avere annunciato l’uscita in sala (quando sarà consentito e in varie città italiane) di alcune delle opere presentate a quest’ultima edizione, il Torino Film Festival propone una maratona di Capodanno, sempre su MYmovies, dalle 12 del 31 dicembre 2020 e per 24 ore. Il programma verrà pubblicato su www.torinofilmfest.org.

© CultFrame 11/2020

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