Nino Migliori | Settant’anni di fotografia e arti visive ⋅ Un libro di Roberto Maggiori

Nino Migliori. Peggy Guggenheim – 1958. © Fondazione Nino Migliori

Quale caratteristica rende Nino Migliori una delle figure centrali del panorama fotografico italiano del XX secolo e di questo primo scorcio di terzo millennio? Mai domanda ebbe risposta più facile: il fatto che l’artista bolognese abbia per decenni, e in maniera incessante, insistito in un’opera di ricerca e di perseveranza intellettuale in grado di rendere il suo lavoro mai definitivo e ripetitivo. Ancora: di fondamentale importanza sono le considerazioni che ha fatto nel corso del tempo sulla controversa relazione tra realtà e fotografia e sulla discutibile (molto, a nostro parere) assolutezza dell’abusato termine documentazione. Questo atteggiamento vivace e propositivo, non così frequente nel panorama fotografico nazionale, gli ha consentito di non invecchiare mai artisticamente e di liberare la fotografia da vacue tirannie stilistiche e di linguaggio che in genere imperversano nella produzione fotografica del nostro paese.

Nino Migliori. Ossidazione - 1953. © Fondazione Nino Migliori
Nino Migliori. Ossidazione – 1953. © Fondazione Nino Migliori

Ebbene, nel tentativo di inquadrare in maniera precisa e circostanziata l’opera di quest’artista, Roberto Maggiori, già docente di Storia della Fotografia in diverse accademie italiane e attualmente direttore di Editrice Quinlan, ha scritto un libro intitolato proprio Nino Migliori. Settant’anni di fotografia e arti visive. Già dal sottotitolo si comprende quale sia stata l’intenzione storico-critica di Maggiori: contestualizzare culturalmente e artisticamente la figura di Migliori liberandola dal “ghetto” della fotografia per ricollocarla, giustamente, in un ambito ben più ampio e articolato, quello delle arti visive, appunto.

Ne è venuto fuori un saggio basato su alcuni elementi, a nostro avviso, significativi. In primo luogo, vogliamo sottolineare come la linea di analisi di Maggiori non si sia fermata solo a un prevedibile lavoro di storicizzazione cronologica. La vicenda creativa di Migliori è stata, infatti, sempre collocata in uno spazio artistico contraddistinto da una fitta rete di relazioni, di rimandi e di riferimenti che ha rappresentato il “carburante” essenziale per lo sviluppo di una ricerca che ancora oggi è in movimento. Dal saggio di Maggiori si evince che lo spirito di Migliori ha portato l’autore emiliano a muoversi in un territorio ricco di influenze complesse e senza confini di tipo accademico: dalla vicinanza al Neorealismo italiano alle strutture quasi astratte delle serie Manifesti Strappati, fino al tema estremamente elaborato della rappresentazione delle forme della natura e a quello della questione decisamente complicata della luce e del suo effetto su elementi scultorei.

Nino MiglioriMa l’autore del libro ha avuto anche la più che positiva arditezza di evidenziare, senza problemi di nessun tipo, affermazioni di Migliori che, ancora oggi, nell’ambito dell’asfittico e conservativo sistema fotografico italiano rappresentano uno scandalo. Ci riferiamo, in particolar modo, al passaggio in cui si racconta l’incontro tra la creatività di Nino Migliori e l’estetica (definiamola così) di Henri Cartier-Bresson. Afferma Roberto Maggiori: L’istantanea Bressoniana incuriosì in minima parte l’attenzione di Migliori […]. La cattura del “momento decisivo” gli parve infine un orientamento più atletico che artistico e, anche in questo caso, una volta padroneggiata l’istantaneità dello scatto, Nino volse lo sguardo altrove”. Ebbene, si tratta di una considerazione di fondamentale importanza che illumina la brillantezza intellettuale di un fotografo che non si è mai fermato davanti ai codici sistemici intoccabili (presunti tali) della lingua fotografica per privilegiare una ricerca libera che avesse a che fare con la questione della fotografia come area del significante più che del significato, o peggio del contenuto e del messaggio.

Anche per questo motivo il libro di Roberto Maggiori è da leggere con attenzione, ma non solo. Si tratta, infatti, di un testo che si contraddistingue per altri due fattori essenziali: sintesi critico-espressiva (al livello di esposizione) e cristallina chiarezza della scrittura. E questi ultimi sono fattori che raramente si possono incontrare nell’ambito della critica italiana, non solo per quel che riguarda la fotografia ma anche per quel che concerne tutte le forme d’arte e di comunicazione.

© CultFrame 01/2017

Nino MiglioriCREDITI

Titolo: Nino Migliori. Settant’anni di fotografia e arti visive
Autore: Roberto Maggiori
Prefazione: Gianfranco Maraniello
Formato 13,4 x 20,5 cm / Pagine: 123 / Immagini: 40
Editore: Editrice Quinlan 2016
Prezzo: 21,00 euro
ISBN: 978-88-99390-07-5

 

 

INDICE DEL LIBRO

Prefazione. Gianfranco Maraniello / Introduzione. Settant’anni di fotografia e arti visive / Cap. I. Gli anni Cinquanta / Cap. II. Il “Neoralismo” fotografico una vicenda non solo italiana. I circoli fotografici del dopoguerra; L’incontro con Giuseppe Cavalli e Henri Cartier-Bresson; Il cinema e la letteratura; I periodici e l’editoria; La corrente carsica americana e le genti del nord e sud d’Italia; Le corrispondenze con il mondo dell’arte / Cap. III. L’incontro con Peggy Guggenheim. Fotografia e avanguardie; Il Modernismo; L’imposizione statunitense; L’espressionismo astratto in Italia; Lo specchio della memoria / Cap. IV. Il tema della natura. Forme, deforme e informe; La naturalezza implicita nel gesto fotografico; Nature morte; La trasmutazione alchemica / Cap. V. Storie di luce e ombra / Nota ai testi / Indice dei nomi


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