55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia – Fotografia all’Arsenale e al Padiglione Centrale Giardini

Una barca dipinta di azzurro si muove lentamente nelle placide acque che bagnano l’Arsenale di Venezia. Sopra di essa alcuni musicisti, che suonano strumenti a fiato, eseguono un brano (in loop) che riempie, grazie ai toni bruniti dei flicorni, del trombone e dei corni, l’aria calma che avvolge le banchine.
Quella appena descritta è la perfomance concepita da Ragnar Kjartansson per la 55. Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un’opera dai tratti eterei e fuori dal tempo che racchiude in una sola azione espressiva tradizione islandese e storia veneziana e che allude a una sorta di armonia visivo-sonora di alto lirismo.

Abbiamo voluto iniziare le nostre riflessioni sulla Biennale d’Arte 2013 da uno degli eventi più profondi e stimolanti visti nei giorni d’apertura per porre alla vostra attenzione la qualità e l’articolazione delle proposte artistiche che in questa edizione caratterizzano la grande mostra veneziana, soprattutto grazie al all’audacia e alla creatività del giovane direttore artistico Massimiliano Gioni. Quest’ultimo ha saputo con il suo “palazzo enciclopedico” comporre una Biennale fuori dai soliti canoni dello star-system dell’arte contemporanea ed estranea al concetto di accumulazione espositiva che ha spesso contraddistinto la Biennale nelle ultime edizioni.

Come sempre punteremo la nostra attenzione sulla fotografia, sulla videoarte e su alcuni padiglioni nazionali, cercando di mettere a fuoco la linea di ricerca seguita da Gioni e alcune delle più intelligenti elaborazioni (a nostro parere) presentate dai singoli Stati partecipanti alla Biennale.

Il passaggio iniziale della nostra analisi relativa alla fotografia deve essere necessariamente riservato all’idea di Linda Fregni Nagler intitolata The Hidden Mother.L’autrice svedese ha presentato un’ampia raccolta di immagini collezionate tra il 2006 e il 2013. Fotografie di neonati e bambini molto piccoli, spesso tenuti in braccio da adulti (questi ultimi vengono celati allo sguardo del fruitore con tecniche apparentemente approssimative). Una lunga, estenuante, teoria di volti e abitini che il più delle volte evidenziano un mondo inquietante, oscuro e, per certi versi, minaccioso. In mezzo alle immagini di neonati in vita sono visibili di tanto in tanto ritratti effettuati post mortem. Chi guarda si inoltra lungo il percorso concepito da Linda Fregni Nagler come se si trattasse di un incubo a occhi aperti, come se l’esercizio dell’interpretazione dello sguardo venisse in continuazione sgambettato dall’alternanza tra la vita e la morte che in alcuni frangenti diviene quasi impossibile da decifrare.

Allo stesso modo, si percepisce una vertigine del senso quando si entra in contatto visivo come le opere di Herbert List nelle quali sono ripresi dei manichini che evidenziano parti anatomiche umane. Si tratta di fotografie non così convenzionali per l’artista tedesco che alludono anch’esse al tema della rappresentazione della vita e della morte (e anche della malattia).

Christopher Williams, autore che sembra voler oltrepassare il problema della paternità dell’azione creativa affidandosi a fotografi professionisti che operano per lui, presenta una serie di immagini di fiori di vetro. Il lavoro si intitola Angola to Vietnamed è composto da ventotto stampe di rara eleganza che “immortalano” i fiori di vetro, appunto, della Harvard’s Ware Collection. Una sottile linea estetica unisce le opere obbligando il fruitore a una visione molto approfondita e a prendere coscienza delle questioni connesse, nel caso specifico, alla catalogazione scientifica di oggetti in vetro che evocano in maniera iperrealistica elementi della natura.

Fotografia associata alla scienza, dunque, così come fotografia legata all’esplorazione del pianeta e a una nuova visione delle realtà, come quella al centro delle immagini aree di Eduard Spelterini, il quale agli inizi del XX secolo iniziò a documentare le Alpi (in special modo) dall’alto veicolando una rivoluzionaria concezione del punto di vista (visuale) sul mondo (che a dire la verità aveva già provveduto a utilizzare Nadar).

L’illustrazione della figura umana è oggetto di altre (diverse proposte) fotografiche tra l’Arsenale e il Padiglione centrale dei Giardini.

La rappresentazione del corpo all’interno di un sogno di identità soggettiva verso il quale alcuni individui avrebbero voluto tendere è ciò che emerge dalla “toccante” collezione di album fotografici di Cindy Sherman basati su ritratti ambientati effettuati negli anni settanta presso “Casa Susanna”, nei sobborghi di New York. In questo luogo si recavano soggetti maschili il cui desiderio era quello di travestirsi da donna e di “interpretare” ruoli di casalinga e madre e di assumere atteggiamenti muliebri per nulla provocatori o volgari. Le immagini evidenziano una ricerca di normalità e una delicata tensione verso l’idea stessa del femminile, esperienza che evidentemente le persone riprese non potevano vivere liberamente nella loro condizione pubblica e sociale. 

Un’idea personale della rappresentazione del femminile è anche percepibile negli scatti di Eugene Von  Bruenchenheim, artista americano misconosciuto, che fotografò a lungo, e con grande trasporto interiore, la bella moglie, costituendo un catalogo raffinato, ironico e sensuale di ritratti in cui la consorte si manifesta come una sorta di idealizzazione visionaria (quasi pittorica) della femminilità, di raffigurazione erotica basata su un intenso legame sentimentale caratterizzato dal piacere condiviso dell’estetica (quest’ultima intesa come sentimento percettivo).

Il femminile è ancora al centro del lavoro di J.D. ‘Okhai Ojeikere, fotografo nigeriano legato in modo potente alla raffigurazione della cultura del proprio paese. La serie presentata alla Biennale 2013 è basata su opere che illustrano incredibili acconciature femminili che vanno a comporre un lungo sentiero di linee, forme e, addirittura, di strutture quasi architettoniche. Questi elementi propongono un caleidoscopico universo visivo basato anche sulla particolare complessità di alcuni copricapi femminili.

The Park è, invece, il titolo del lavoro del giapponese Kohei Yoshiyuki. Si tratta di una “visione” notturna, inquietante e ambigua che presenta un mondo parallelo di voyeur ed esibizionisti. Il fotografo, infatti, utilizzando pellicole e flash speciali si introdusse (tutto avvenne negli anni Settanta) nell’universo cupo dei frequentatori notturni dei parchi pubblici di Tokyo. Stampe sgranate e sfocate compongono un mosaico misterioso e indefinibile di corpi anonimi che si aggrovigliano, di mani che toccano gli altri nel buio della notte, di soggetti che inseguono un piacere sfuggente e occasionale nel bel pezzo di un giardino cittadino.

Chiudiamo la nostra personale selezione fotografica nell’ambito della Biennale 2013 con un lavoro che ci ha particolarmente interessato. Stiamo parlando di Michael Schmidt e del suo Alimenti.
Una grande parete ospita decine di opere disposte su diverse file verticali e orizzontali. Si tratta del risultato di una certosina operazione creativa durata anni, durante i quali l’autore tedesco si è dedicato alla documentazione dei processi legati alla produzione di alimenti. Impianti industriali, campi coltivati, contadini al lavoro, allevamenti, animali, oggetti e cibi compongono un articolato affresco di immagini che proietta lo sguardo del fruitore nella dimensione dell’elaborazione (e successiva commercializzazione ) del cibo. Schmidt intende illuminarci su ciò che sta dietro questa operazione industriale che in qualche caso passa ancora attraverso l’opera faticosa di braccianti. Gli scatti dei prodotti alimentari a colori si mescolano a quelli di ambienti in bianco e nero e mostrano in modo secco il meccanismo bulimico delle società ricche occidentali tutte incentrate sul binomio produzione-consumo.

In conclusione, brevi considerazioni sulla selezione fotografica costruita da Massimiliano Gioni. Il direttore artistico della Biennale 2013 ha avuto il coraggio e la forza di non riferirsi solo al presente ma anche di recuperare imprese creative del passato che sono state messe da parte o totalmente dimenticate. A ciò si aggiunge la scelta di evitare, quasi del tutto, la facile e semplicistica tecnica curatoriale basata sulla proposta di nomi roboanti. Ciò dimostra lo spessore del lavoro di ricerca effettuato da Gioni, incentrato su una concezione visionaria di creatività rintracciata, soprattutto, nella produzione artistica di autori dimenticati e di outsider.
Le scoperte, in tal senso, sono state molte, così come le sorprese positive al di fuori dei soliti circuiti del sistema dell’arte.

© CultFrame 06/2013


IMMAGINI

1 © Herbert List. Operation des Schielens, Wien, Austria 1944. 22 x 25 cm. Modern GSP. © Herbert List Estate, Hamburg – Germany GINI

2 © Linda Fregni Nagler. #0187. From The Hidden Mother 2006-2013. 997 collected daguerreotypes, tintypes, albumen prints, snapshots. Variable dimensions. Courtesy the artist

3 © Christopher Williams. Angola to Vietnam, 1989. 27 gelatin silver prints, each frame 55.5 x 47.2 x 4.4 cm. Edition 3/5 +3AP. The Artist, Ringier Collection, Switzerland

4 Collezione di album fotografici di Cindy Sherman basati su ritratti ambientati effettuati negli annni Settanta presso “Casa Susanna”, New York. Ph. Orith Youdovich

© J.D. ‘Okhai Ojeikere. Onile Gogoro or Akaba, 1975. Date of signature: 04.10.2010. Gelatin silver print, 50 x 60 cm. Courtesy André Magnin (MAGNIN-A), Paris. © J. D. ’Okhai Ojeikere

6 Michael Schmidt. Alimenti (dettaglio). Ph. Orith Youdovich

LINK
CULTFRAME. Il Palazzo Enciclopedico. 55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia di Redazione CultFrame – Orith Youdovich
Biennale Arte Venezia – Il sito

 

 

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