Selfie ⋅ Un film di Agostino Ferrente

Il film forse più noto di Agostino Ferrente è il documentario L’orchestra di Piazza Vittorio (2006), prima del quale il regista di origini pugliesi aveva però concepito insieme al collega Giovanni Piperno un interessante progetto di pedinamento di alcuni adolescenti napoletani, Intervista a mia madre (2000), i cui materiali servirono poi da base per quella sorta di Boyhood partenopeo che è Le cose belle (2013), due film co-diretti da entrambi.

In Intervista a mia madre, realizzato alla fine degli anni Novanta, veniva consegnata ai giovani protagonisti una videocamera con cui raccontarsi e interrogare i propri famigliari, un oggetto di un certo ‘peso’ che istituiva inevitabilmente il dispositivo dell’intervista di stampo televisivo e che riusciva comunque ad aprire una via di dialogo, mai scontato, tra le mura domestiche. Oggi il mezzo principale di comunicazione e di informazione per intere generazioni è divenuto il telefonino, come si conferma all’inizio di Selfie, girato nell’estate del 2017, quando Ferrente si rivolge a uno dei sedicenni che ha incontrato nel rione Traiano di Napoli e a cui vuole affidare il compito di raccontare la vita dei ragazzi che abitano in quel sobborgo della metropoli campana, domandandogli: “Sai usare la telecamera?”. La risposta è naturalmente: “No”. “Meglio il cellulare?” “Sì”.

Da questa conversazione prende avvio un’opera interamente filmata – tranne un certo numero di provini preliminari e di inserti da camere di sorveglianza sul quartiere – dagli adolescenti Alessandro e Pietro per mezzo di un iPhone, un oggetto cosi leggero e di cui hanno già una tale abitudine all’uso da poterlo portare quasi senza filtri nella loro vita quotidiana. Tuttavia, i due devono sottostare alla prescrizione non trascurabile di utilizzare un’asta da selfie, anzi da videoselfie, in modo da filmare ciò che accade intorno a loro comparendo sempre nell’inquadratura: è perciò normale che non vi siano crediti per la fotografia del film, che annovera invece tre sound designer e due montatori. Il fatto che la sceneggiatura sia attribuita al regista, il quale ha ideato il congegno cinematografico e poi selezionato le immagini realizzate dai protagonisti stessi, fa altresì pensare che egli probabilmente non li ha lasciati troppo spesso soli, indirizzandoli a intraprendere gite in centro o al mare, a organizzare piccole scene corali, a inquadrare un certo murales dedicato a un ragazzo di nome Davide Bifolco o a intervistarne il padre.

Agostino Ferrente

Infatti, la motivazione che ha spinto Ferrente a tentare questo particolare esercizio cinematografico non si esaurisce soltanto in un esperimento di autorappresentazione, che pure riesce bene nell’intento di rivelare sentimenti e aspirazioni dei suoi protagonisti e nel raccontare l’amicizia fraterna di due ragazzi che hanno lasciato presto la scuola e cercano di aiutare le loro famiglie con il lavoro di cameriere (Pietro) e di barbiere (Alessandro). Come chiarisce un sottotitolo che ha accompagnato i primi annunci del documentario – Ho sognato che Davide era vivo – e come si dichiara fin dalle sue prime sequenze, il regista è volutamente andato a incontrare i giovani abitanti del quartiere Traiano perché lì, nel 2014, un carabiniere ha ucciso il loro coetaneo Davide al termine di un inseguimento nato da uno scambio di persona.

L’esito migliore della visione del lavoro di Ferrente – non un’inchiesta sui fatti ma un’esplorazione del contesto in cui questi avvennero – è dunque quello di approfondire la storia di Bifolco, una tragedia aumentata da una distorta risonanza mediatica (con la giovane vittima incensurata trattata al pari di un criminale) e da una vicenda giudiziaria irrisolta che nell’ottobre 2018, dopo la sospensione della pena per il carabiniere che ha ucciso il ragazzo, ha visto la morte improvvisa di suo fratello trentacinquenne, il cui cuore non ha retto alla disperazione.

Al caso Bifolco sono stati già dedicati parti di libri quali Una città dove si ammazzano i ragazzini (Edizioni dell’Asino, 2014) firmato da Maurizio Braucci, Massimiliano Virgilio, Giovanni Zoppoli e Chiara Ciccarelli o volumi interi come Lo sparo nella notte. Sulla morte di Davide Bifolco, ucciso da un carabiniere (Monitor, 2017) di Riccardo Rosa da cui è nato anche un audiodocumentario.

Selfie è stato presentato nella sezione Panorama della Berlinale 2019 nello stesso anno in cui La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi vinceva il premio per la Miglior Sceneggiatura (firmata dal regista con Braucci e Roberto Saviano) nel Concorso principale. Anche quel film, oltre al romanzo di Saviano, deve qualcosa al lavoro di base svolto nei quartieri popolari di Napoli dal gruppo della rivista e delle edizioni Monitor (da cui è uscito il succitato libro di Rosa) di cui fanno parte gli street artist Cyop e Kaf che nel 2013 raccontarono nel film Il segreto, premiato a Torino, a Lisbona e al “Cinéma du Réel” di Parigi, le contese tra bande di ragazzini per appropriarsi degli alberi di Natale alla fine delle feste a cui è dedicato il prologo del film di Giovannesi. Con esiti più e meno autentici e convincenti, è senz’altro importante che le voci di una comunità che cerca di elaborare in modo vitale le contraddizioni di cui soffre arrivino a farsi udire da una platea internazionale che si spera sappia riceverle senza concessioni sterili al gusto del folclore o condanne ipocrite di un malaffare che impone la sua legge ben oltre il Meridione d’Italia.

© CultFrame 02/2019 – 06/2019

film presentato alla 69° Berlinale

TRAMA
Alessandro e Pietro sono due ragazzi che, come tanti nel quartiere Traiano di Napoli, hanno lasciato la scuola prima del diploma e cercano di tenersi lontani dai giri malavitosi che coinvolgono molti loro coetanei. Ciò può non bastare a garantirsi un futuro, come dimostra il caso del sedicenne Davide Bifolco, ucciso nel 2014 in quello stesso rione da un carabiniere che l’aveva scambiato per un ricercato.

CREDITI
Titolo: Selfie / Regia: Agostino Ferrente / Sceneggiatura: Agostino Ferrente / Montaggio: Letizia Caudullo, Chiara Russo / Musica: Andrea Pesce, Cristiano Defabriitis / Interpreti: Alessandro Antonelli, Pietro Orlando / Produzione: Marc Berdugo, Barbara Conforti/ Francia-Italia, 2019 / Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà / Durata: 78 minuti

SUL WEB
Uno sparo nella notte. Audiodocumentario sulla morte di Davide Bifolco
Filmografia di Agostino Ferrente
Berlinale – Il sito
Istituto Luce Cinecittà

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