Quanta consapevolezza nel gesto fotografico

Lo strumento fotografico è un dispositivo, come ve ne sono tanti altri, inserito all’interno della categoria che attiene alla produzione di immagini tecniche. Ma, che cos’è un dispositivo?

Questa stessa domanda la pone il filosofo Giorgio Agamben nel breve e fruibile saggio che ha per titolo l’omonima e sopracitata domanda. Con chiarezza Agamben ne traccia una ragionevole risposta e, con una ampia estensione che però non intacca il senso ultimo di questa parola, scrive:

“… chiamerò dispositivo letteralmente qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi.”

Ne consegue che come esseri viventi siamo totalmente immersi in un gigantesco apparato di dispositivi che guidano le nostre esistenze. Scrive inoltre:

“Non soltanto, quindi le prigioni, il Panopticon, le scuole, la confessione, le fabbriche, le discipline, le misure giuridiche ecc, la cui connessione col potere è in un certo senso evidente, ma anche la penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia, l’agricoltura, la sigaretta, la navigazione, i computers, i telefoni cellulari e – perché no – il linguaggio stesso, che è forse il più antico dei dispositivi…”

Dunque, in larga misura, da creatori di apparati e dispositivi ci troviamo nella condizione di incauti ricettori e fruitori degli stessi, ignorandone nella maggioranza dei casi le origini e quindi potenzialmente confusi sugli scopi della loro creazione e delle loro funzioni. Questo non vuol dire che le forme di pensiero e le pratiche d’uso dei dispositivi debbano essere relegate a una loro funzione statica, originaria e uguale per tutti e ognuno vi si può rapportare come meglio crede. Ma vi è una certa differenza tra lo sforzo verso una scelta consapevole, aderente alle nostre esigenze, e la confusione che si crea da una non adeguata o assente ricerca d’informazione sui dispositivi stessi.

Questo preambolo vuol far da traccia a una successiva riflessione, a delle domande. Quanta consapevolezza c’è in un gesto fotografico? Quanto siamo consapevoli del determinarsi di uno scontro tra le regole (non tutte ovvie e tangibili) dello strumento fotografico e la necessità di realizzare la rappresentazione di una nostra idea tramite una fotografia?

gesto fotograficoAlcune idee interessanti e una proposta, aderenti a questi interrogativi, le troviamo nel saggio di Vilém Flusser dal titolo Per una filosofia della fotografia (Bruno Mondadori editore, Milano, 2006).

Nel testo si sviluppano in coerente successione le tematiche inerenti i campi di ricerca del filosofo dei media boemo, in special modo quelle relative alle immagini tecniche. Flusser ci indica in alcuni concetti fondamentali la natura della fotografia: immagine, apparecchio,  programma, informazione. Ma lo stesso ne individua una non totale accettabilità in quanto, paradossalmente, non viene inserito il dato umano. Ed è proprio all’interno di questa contraddizione che egli individua lo svilupparsi di una dialettica come stimolo per una riflessione filosofica. Allora la lotta, lo scontro, è tra un dispositivo, quello fotografico, programmato per regolare i processi della realizzazione di un’immagine fotografica e tendente ad auto-alimentarsi della mole infinita di immagini “ridondanti” (cioè duplicati omogenei adatti ad aumentare l’affidabilità dello strumento) e la ricerca del fotografo di scardinare, aggirare questi gesti programmati dall’apparecchio fotografico.

È importante sottolineare che questi gesti programmati, proprio per le caratteristiche delle immagini tecniche, stanno cambiando la nostra percezione di realtà, sono parte integrante della nostra cultura, non solo visiva. Essi hanno sostituito e sostituiranno, gradualmente, il nostro sguardo sul mondo, aumentando così il potere che i dispositivi in genere hanno sulle nostre esistenze.

La proposta di Vilém Flusser è sorprendente ed è rivolta all’esperienza di un confronto/scontro con la fotografia:

“Il compito della filosofia della fotografia è interrogare i fotografi sulla libertà, esaminarne la pratica alla ricerca della libertà”.

La fotografia è una delle prime espressioni concrete delle immagini tecniche; Flusser individua nei fotografi consapevoli dell’importanza del gesto fotografico coloro che, nel tentativo di aggirare, scardinare e annullare questi gesti programmati, trovano delle falle all’interno del programma dell’apparecchio apportando così nuove “informazioni”. Sfuggendo così al richiamo e all’asservimento delle sirene della ridondanza.

Esaminarne la pratica alla ricerca della libertà” è una frase che fa tremare i polsi. Il compito che si vuole affidare attraverso le tesi del saggio è rivolto a tutti gli operatori del mondo della fotografia, compresi i fruitori, e non è cosa semplice. Comunque mi sembra necessario sottolineare l’approccio che Vilém Flusser ha voluto dare a questo suo studio e cioè quello di ipotesi di lavoro per avviare (per chi vorrà) riflessioni, ricerche e pratiche.

© CultFrame – Punto di Svista 10/2016

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