The Square ⋅ Un film di Ruben Östlund

Non possiamo certo giudicare unʼopera dʼarte contemporanea sulla base della sua bellezza estetica. Se così fosse, dovremmo liquidare come spazzatura, ad esempio, il Cadeau di Man Ray (1921) o la Brillo Box di Andy Warhol (1964). In questi casi ciò che conta, infatti, non è tanto o solamente lʼoggetto esposto in sé, quanto il significato che lʼartista gli attribuisce, il concetto attorno al quale ruota il suo lavoro. Si prenda la Roue de bicyclette di Duchamp (1913), ovvero, in sintesi, una banale ruota di bicicletta posta su uno sgabello; una sorta di ibrido tuttʼaltro che gradevole, davanti al quale, però, siamo costretti a porci una serie di domande: solo il bello ha diritto ad essere ritenuto artistico? Dobbiamo considerare arte unʼopera ‒ un quadro, una scultura, un oggetto ‒ solamente perché questa si trova in un museo? Se la risposta è sì, allora, in maniera provocatoria, Duchamp ci dice che anche uno sgabello e una ruota di bicicletta diventano arte una volta che questi entrano a far parte di una collezione permanente.

Grazie allʼartista francese, dunque, scopriamo che la validità e il senso di unʼopera possono risiedere anche e soprattutto nelle numerose riflessioni che questa deve suscitare. Duchamp ha agito sotto il segno di una semplicità, a ben vedere, geniale, capace di svecchiare in un solo colpo il panorama artistico dellʼepoca: chiunque, insomma, avrebbe potuto sistemare una ruota su uno sgabello con lo scopo di esporli, ma lui ci ha pensato prima degli altri. E, soprattutto, è riuscito a trasformare tale gesto apparentemente banale in arte.

Ruben Ostlund

Ancora oggi, però, non sono purtroppo pochi coloro che voltano le spalle alle innumerevoli opere che risentono dellʼinfluenza del celebre dadaista. Ma, come scrive il critico Francesco Bonami nel suo saggio Lo potevo fare anchʼio. Perché lʼarte contemporanea è davvero arte (2007), «chi odia lʼarte contemporanea rimpiangendo le opere del passato rifiuta di accettare il fatto che i capolavori che tanto ama hanno rappresentato anchʼessi il presente per la propria epoca. Rimpiangere il passato vuol dire negare lʼoggi e rinunciare al futuro. Significa rinunciare a godere, anche nelle sue forme più strane e magari brutte, lʼenergia che sostiene, e sempre ha sospinto, ogni società. Vuol dire rinunciare al carburante, gratuito, del progresso e della civiltà».

Avere una mente aperta nei confronti di questo panorama non significa tuttavia accettare qualunque (apparente) bizzarria “arty” ci venga proposta per timore di risultare eccessivamente tradizionalisti. Il nuovo film di Östlund, The Square, vincitore della Palma dʼoro allʼultimo festival di Cannes, mette in evidenza proprio le ipocrisie e le contraddizioni del business che regola, talvolta con cinismo, questo universo. Molte vicende della pellicola sono infatti ambientate in un museo dʼarte contemporanea di Stoccolma, le cui opere, però, non risultano essere così interessanti come lʼaffabile curatore Christian vorrebbe farle apparire. Il regista si prende gioco di questʼultimo in più occasioni, ad esempio quando lʼuomo, durante unʼintervista, tenta di decantare la carica “innovativa” delle opere del museo; tuttavia, i suoi discorsi a volte tanto sofisticati quanto, a ben vedere, vuoti, e il suo atteggiamento a tratti impacciato finiscono per rendere ulteriormente goffa agli occhi dello spettatore la “complessità” dei lavori in esposizione. La maggior parte dei quali altro non fanno che scimmiottare i risultati di alcuni importanti movimenti artistici del Novecento.

Ruben Ostlund

Östlund riesce talvolta a trasformare in fonte di divertimento la grottesca inutilità di tali opere. Il cineasta si sofferma in particolare su una sorta di installazione, che consiste in una serie di piccoli coni di polvere posti uno accanto allʼaltro di fronte a un muro sul quale troneggia una scritta al neon, “You have nothing”, quasi un triste epigono di alcuni capolavori dellʼArte povera: quando, ad esempio, una delle dipendenti del museo vieta a un visitatore di fotografare i cumuli di polvere, con un amaro sorriso Östlund sembra spingerci a domandarci per quale motivo quellʼuomo voglia avere un ricordo di unʼopera così poco significativa. La prima delle varie, possibili risposte è chiara: perché questa si trova allʼinterno di un prestigioso museo. E, allora, ci accorgiamo di quanto quello di Duchamp sia uno “spettro” che, ancora oggi, continua a rivelarsi fondamentale.

Sempre nel museo, però, fremono i preparativi per una misteriosa installazione, The Square, che, a differenza del resto della collezione, potrebbe essere davvero valida, e alla quale Christian sembra tenere in maniera particolare. Una sorta di bizzarro esperimento sociale attraverso il quale  testare lʼaltruismo e il senso di condivisione. Unʼopera che, tuttavia, rischia di far emergere soltanto lʼegoismo di chi decide di “provarla” e, soprattutto, la spietatezza di coloro che si occupano di promuovere tale progetto, capaci di nefandezze varie pur di incuriosire il pubblico più morboso.

Ruben Ostlund

A impressionare nel film è infatti una diffusa indifferenza nei confronti dei più deboli (al limite della ferocia), segno, secondo lo stesso regista, di una perversa diffidenza e insicurezza che, soprattutto a causa della crisi economica mondiale, si fanno sempre più strada persino in un paese avanzato come la Svezia. Una disumanità che Östlund evoca abilmente anche attraverso alcune opere del museo, come unʼinstallazione che consiste in una sala scura, sul fondo della quale si impone un grande schermo acceso in cui un uomo, con sguardo animalesco, lancia minacciose occhiate in direzione dei visitatori: una visione che rimanda, appunto, allʼ“umana bestialità” che caratterizza numerose sequenze della pellicola.

Il film perde invece forza quando il regista  si sofferma eccessivamente sulle inaspettate disavventure del protagonista al di fuori del museo, tralasciando quasi del tutto lo stimolante dialogo fra le opere in esposizione e lʼemergere degli istinti meno nobili, compresi quelli di Christian.

Nonostante ciò, The Square lascia comunque il segno per la feroce leggerezza con cui affronta il lato oscuro del business di certa arte contemporanea (che, poi, come abbiamo visto, proprio arte sempre non è) e della fauna umana che le gravita attorno.

© CultFrame 11/2017

TRAMA
Christian, padre divorziato con due figli, è curatore di un prestigioso museo di arte contemporanea a Stoccolma. Insieme ad alcuni collaboratori, lʼuomo si sta occupando dellʼallestimento e della campagna pubblicitaria di una nuova installazione, The Square, che invita allʼaltruismo e alla condivisione. Ma un imprevisto gli farà perdere il controllo, portando scompiglio nella sua vita privata e professionale.


CREDITI

Titolo: The Square / Titolo originale: Id. / Regia e sceneggiatura: Ruben Östlund / Montaggio: Ruben Östlund, Jacob Secher Schulsinger / Fotografia: Fredrik Wenzel / Scenografia: Josefin Ǻsberg / Costumi: Sofie Krunegård / Interpreti: Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West, Terry Notary, Christopher Laessø, Marina Schiptjenko, Elijandro Edouard, Daniel Hallberg, Martin Sӧӧder / Produzione: Erik Hemmendorff, Philippe Bober / Distribuzione: Teodora Film / Svezia, Germania, Francia, Danimarca, 2017 / Durata: 145 minuti

SUL WEB
Filmografia di Ruben Östlund
Teodora Film

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