Vergine giurata ⋅ Un film di Laura Bispuri

Vergine giurata è un’opera prima che prende le mosse nell’Albania del Nord, in una società montana tradizionalista e maschilista in cui le donne possono muoversi solo in un perimetro molto ristretto di norme comportamentali. Il film racconta che c’è però una soluzione per chi rifiuta tutto ciò che essere una donna comporta (matrimonio spesso combinato, maternità, lavoro domestico, sottomissione agli uomini, etc.): quella di diventare burrhesha, ovvero di giurare di restare vergine a vita e di assumere il ruolo sociale di uomo. La burrhesha può utilizzare le armi, bere, fumare e guadagnarsi da vivere tramite attività tradizionalmente maschili. Farsi uomo è per queste persone un modo di negoziare con la società patriarcale in cui vivono il proprio dissenso nei confronti dell’impotenza a cui sono costrette le donne.

Quello della “vergine giurata” è un istituto previsto dal kanun, codice consuetudinario che vige in alcune comunità albanesi come quella già ritratta da Joshua Marston nel film La Faida, anch’esso risultato di una coproduzione internazionale partita dall’Italia e che nel 2011 passò in Concorso alla Berlinale. Nel film di Laura Bispuri, tratto liberamente dal romanzo omonimo di Elvira Dones, il personaggio di Mark, nato Hana, vive una vita dura e solitaria che un giorno lo spinge a raggiungere la sorellastra emigrata in Italia (nel romanzo è la nipote che vive negli Stati Uniti). Questo viaggio rappresenta il motore e la metafora di una ricerca identitaria che porterà Mark a ridiventare Hana. Regista e co-sceneggiatrice insieme a Francesca Manieri, Laura Bispuri, ha voluto raccontare questa (ri)scoperta identitaria introducendo elementi di ambiguità di genere non presenti nel romanzo originale in cui Dones raccontava sostanzialmente l’approdo del protagonista a una femminilità molto classica che finiva per mantenere una netta separazione binaria ed eterosessista tra maschile e femminile.

Bispuri, invece, sembra interrogare in modo più dubbioso la costruzione sociale dei generi non solo nella comunità albanese da cui proviene Mark/Hana ma anche nella nostra stessa società in cui sussistono luoghi, abiti e pratiche che rivelano una divisione sociale dell’umanità in base a una differenza sessuale a cui si attribuisce un significato che in realtà non le è intrinseco (le scene in piscina sono emblematiche in questo senso). In questo contesto, il personaggio protagonista si lancia in un percorso che finisce per renderlo capace di rapportarsi in modo più libero e ludico con le norme che definiscono la femminilità. Sebbene questo sguardo attento alla fluidità delle soggettività sessuate sia apprezzabile, quello di Mark/Hana rimane un percorso di ritorno verso la femminilità, per quanto contaminata e individuale. Questa scelta è significativa di quanto sia difficile elaborare un immaginario veramente libero dal genere ma è anche sintomatica di una precisa scelta interpretativa del fenomeno delle vergini giurate che, nella realtà, non necessariamente vivono nella solitudine e nella mancanza di rapporti anche di natura erotica.

Per alcune, farsi burrhesha è l’unico modo di vivere in una qualche forma la propria omosessualità in un contesto fortemente ostile. Si pensi, per esempio a quanto accadeva, altrove, alla giovane siciliana Angela protagonista del film Viola di mare (2009) di Donatella Maiorca, la quale veniva obbligata a mettersi in atto come uomo per via della sua passione per Sara, anche se poi questo non bastava ad evitarle conseguenze comunque tragiche. Vergine giurata, invece, pur interrogando le norme sessuali, non si spinge nei meandri di un dissenso troppo radicale rispetto a esse e anzi, rischia in alcuni momenti di suggerire anche che esiste una natura femminile innata e irriducibile trascurando l’altra idea che di tanto in tanto sembra emergere nella narrazione secondo cui i generi non sono altro che una costruzione sociale e relazionale. A cosa si deve questa ambiguità?

Con il linguaggio tipico di un cinema “da festival” fatto di lunghi silenzi e camera a mano, il film di Laura Bispuri gioca così con la fisicità di Alba Rohrwacher rendendola tanto aliena e androgina quanto rappresentativa di una femminilità misteriosa e fiorente. Una curiosa coincidenza ha voluto che alla Berlinale 2015 dove Vergine giurata ha concorso per l’orso d’oro, sia stato presentato anche un breve documentario tedesco sul fenomeno delle burrheshe intitolato Hakie – Haki. Ein Leben als Mann di Anabela Angelovska.

© CultFrame – Punto di Svista 02/2015 – 03/2015

TRAMA
Mark lascia l’Albania del nord dove vive tra le montagne facendo il pastore e si trasferisce in Italia dalla sorellastra che non vede da moltissimi anni. Inizia così un viaggio alla scoperta di sé e della propria identità rimasta incagliata nel passato. Mark infatti è una “vergine giurata”, una donna che ha indossato i panni di un uomo e che ha giurato di restare vergine a vita, ma che ora vuole rimettere in discussione questa scelta.

CREDITI
Titolo originale: Vergine giurata / Regia: Laura Bispuri / Sceneggiatura: Francesca Manieri e Laura Bispuri dal romanzo La vergine giurata di Elvira Dones / Fotografia: Vladan Radovic / Montaggio: Carlotta Cristiani, Jacopo Quadri / Scenografia: Ilaria Sadun, Tim Pannen / Interpreti: Alba Rohrwacher, Flonja Kodheli, Lars Eidinger, Luan Jaha, Bruno Shllaku, Ilire Celaj / Produzione: Vivo Film / Italia, Svizzera, Germania, Albania, Kosovo 2015 / Distribuzione: Match Factory / Durata: 90 minuti

SUL WEB
Filmografia di Laura Bispuri
Berlinale – Il sito
Match Factory

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