Antropologia delle Immagini ⋅ Un saggio di Hans Belting

Che cos’è un’immagine? Se il quesito sembra di primo acchito ozioso, leggendo il saggio di Belting ci si rende conto di quanto invece la questione sia stimolante e, al contempo, spinosa. Nella nostra quotidiana esperienza visiva, siamo fruitori più o meno consapevoli di immagini, le quali ci investono spesso senza essere vagliate attraverso un esercizio critico. Viviamo l’esperienza della visione in maniera naturale, sovente automatica, limitando i nostri interrogativi a ciò che vi è contenuto, ciò che essa ci racconta attraverso la propria “voce”.

Molto più di rado accade, per chi non è uno studioso della materia, di soffermarsi piuttosto sulla natura dell’immagine stessa, su quell’enigma apparentemente risolto che è la manifestazione visiva delle cose. Cose che possono essere enti fisici o mentali, materiali o immateriali, i cosiddetti oggetti della rappresentazione. Quando ciò accade, ecco spalancarsi dinanzi a noi una casa degli specchi, dove è facile perdersi se non si è condotti da una mano o – in questo caso forse meglio dire – un occhio esperti.

Il saggio di Hans Belting, professore emerito all’Università di Heidelberg, esperto di arte Rinascimentale e Medievale e autore di testi fondamentali come Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, si prefigge lo scopo di portare il lettore ad un punto zero, per imboccare una strada inconsueta, nel tentativo di tracciare una storia dell’immagine che sia separata dalla storia dell’arte. La consuetudine prevede una storia dell’arte standardizzata, mentre è molto raro imbattersi in una teoria generale dei mezzi figurativi. La tentazione di confondere l’immagine con il mezzo/opera d’arte è forte, tanto che quotidianamente utilizziamo in maniera convenzionale le parole quadro e pittura, fotografia, opera, film, video, frame o pictures per parlare di immagini, contribuendo ad alimentare un confusione diffusa, cercando goffamente una strada praticabile per districarci nelle ambiguità di significato che si celano nel linguaggio.

Belting si discosta dalle teorie vigenti per accostarsi al lavoro del filosofo “outsider” Regis Débray (In particolare Regis Débray, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in occidente, Il Castoro, 1999) e individuare nell’antropologia la chiave interpretativa per costruire un affascinante percorso teorico, collocando il corpo al centro della sua riflessione sul visivo. Proprio in ragione del rifiuto maturato negli anni verso le letture formalistiche dell’opera d’arte, da cui è conseguita l’elezione della multidisciplinarietà a strumento principe di rilettura della storia dell’arte, i suoi scritti hanno sollevato vivaci polemiche in ambito accademico.

Se “la storia delle immagini è sempre stata una storia dei mezzi figurativi” (Hans Belting, Antropologia delle immagini, Carocci Editore, pag. 30), l’autore si concentra sulla distinzione essenziale tra immagine e mezzo, paradigma che permette successivamente di comprendere in che misura il corpo, che egli definisce significativamente come “luogo delle immagini”, si riveli centrale nel discorso sul visivo, sostenendo tutta l’architettura teorica del saggio. Attraverso una storia culturale del corpo si può fare luce sulla dicotomia tra immagini interiori ed esteriori, sul rapporto tra queste e la tecnologia: se il corpo è la scena primaria dove nasce e ritorna l’immagine, si fa strada la necessità di considerare tutti gli elementi che concorrono alla produzione e alla percezione di queste ultime, che siano sogni, visioni o ricordi. E se il corpo è, ancora, il termine essenziale di riferimento del visivo, allora il doppio oscuro che si staglia sullo sfondo e che è inesorabilmente connesso alla produzione di immagini è il tema della morte, per Belting una delle chiavi per decifrare l’attività artistica e orientarsi nella definizione di una teoria generale delle immagini, da cui muovere per arrivare a interpretare la contemporaneità.

Per spazzare via ogni ambiguità va detto che il saggio non è sempre di facile lettura: l’autore argomenta attraverso riferimenti filosofici, teoria del linguaggio, semiotica, intrecciando le sue riflessioni con grande fluidità ma anche incappando in passaggi di evidente complessità teorica, che presuppongono una certa familiarità con materie quali l’antropologia, l’estetica, la teoria dei media. Il libro però è ricco di esempi e ha un sostanzioso apparato iconografico, molto utile per non perdersi durante la ricognizione attraverso le epoche e la storia, sia che si stia prendendo in esame antichissimi culti funerari, nei quali l’autore individua la genesi della pittura, sia che si analizzino gli stemmi araldici, sia che si rifletta sullo statuto della produzione visiva digitale o che che si proceda a ritroso per comprendere la natura sorprendentemente arcaica della fotografia.

Quest’ultimo capitolo, che chiude il denso volume, è una delle parti indubbiamente più interessanti, anche per il lettore meno strutturato. Belting rintraccia l’origine delle immagini fotografiche a priori rispetto alla nascita del mezzo tecnico: il media può essere interpretato quindi come una sorta di contenitore tecnologico che permette la manifestazione di immagini autonomamente pre-esistenti, le quali hanno trovato poi espressione attraverso la fotografia. Come un fiume, le immagini si spostano nel tempo, scorrono tra i medium e vengono alla luce, in un continuo gioco di apparizione e scomparsa, manifestazione dell’assenza, rimando e riflesso.

Ancora una volta si profila l’ombra lunga dell’iconologia di Aby Warburg, che si proietta fino a noi e che col suo pensiero maestoso e criptico continua a illuminare la nostra storia della cultura. Che, sembra dirci Belting, è prima di tutto una storia di immagini in relazione all’uomo.

© CultFrame 02/2012

INDICE
1 Introduzione / 2 Mezzo-immagine-corpo. Un’introduzione al tema / 3 Il luogo delle immagini (II). Un saggio antropologico / 4 L’immagine del corpo come immagine umana. Una rappresentazione in crisi / 5 Stemma e ritratto. Due mezzi del corpo / 6 Immagine e morte. L’incarnazione nelle culture dell’antichità (con un epilogo sulla fotografia) / 7 Immagine e ombra. La teoria figurativa di Dante nel passaggio a una teoria dell’arte / 8 La trasparenza del mezzo. L’immagine fotografica
Note / Bibliografia  / Indice dei nomi  / Indice degli argomenti

CREDITI
Hans Belting. Antropologia delle immagini / Edizione italiana a cura di Salvatore Incardona / Carocci Editore, 2011 / 340 pagine / ISBN: 9788843060917

SUL WEB
Carocci Editore

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