Studio formale della solitudine. Un libro e una fotografia a confronto

juan_jose_millas-allan_jenkinsCi sono scrittori che sono dotati di un forte potere evocativo e che, proprio in virtù di questa qualità, vengono definiti genericamente “cinematografici”, anche se forse la casistica è un po’ più ampia e differenziata. Infatti, alcuni di loro possono essere definiti “fotografici”, perché nei loro libri evocano non tante immagini diverse, ma una unica, potente e ricorrente. Celebre è il caso di Niccolò Ammaniti e del suo romanzo Io non ho paura: in un’intervista di qualche anno fa, fu lui stesso a dichiarare che l’idea del suo libro nacque durante un viaggio verso il Sud Italia; mentre guidava pensando distrattamente a cosa scrivere, vide un campo di grano inondato dal sole e immediatamente la storia cominciò a prendere corpo. Non a caso, molto abilmente, il regista Gabriele Salvatores, nella traduzione cinematografica, ha riprodotto più e più volte quel campo di grano, come fosse una fotografia, più che un film. Ma ci sono anche altri casi meno noti. Nel suo ultimo libro, intitolato Il silenzio che viene alla fine, Deborah Gambetta apre con un brano che appare come la perfetta descrizione di una fotografia di Luisa Lambri. Un critico non avrebbe saputo fare di meglio.

Ci sono alcune case editrici che l’hanno capito, perciò ricorrono alla riproduzione, sulle copertine dei volumi pubblicati, di fotografie di autori più o meno noti e recenti. Per esempio, nel tempo, la casa editrice Einaudi ha usato immagini scattate da Robert Capa, Shirin Neshat, Marco Samorè, Adi Nes e molti altri, scegliendole in modo che stile e soggetto, ogni volta, sintetizzassero ed esplicitassero il senso del libro, in un rimando reciproco fra testo scritto e testo visivo e in un richiamo forte al probabile lettore. Ciò accade anche nel recente romanzo intitolato La solitudine di Elena nel quale il giornalista e scrittore spagnolo Juan José Millàs racconta il percorso interiore e solitario di una quarantatreenne che, dopo una crisi innescata inaspettatamente dalla morte della madre, giunge a una trasformazione radicale del suo atteggiamento nei confronti della vita. Sulla copertina di questo romanzo appare riprodotta la fotografia Valeria’s knees (2003) di Allan Jenkins.


Jenkins è un fotografo inglese (classe 1969) non molto noto in Italia, ma attivo dalla metà degli anni Novanta. Le sue immagini si ispirano all’ottocentesca corrente fotografica pittorialista, della quale ricalcano temi (nature morte, nudi, ritratti) e stile (grazie all’antico procedimento – rivisitato con qualche accorgimento per renderlo più personale – di stampa al cianotipo). Una scelta retrò che, tramite chiaroscuri virati in ciano e sfocatura, dona un effetto scuro e misterioso ai soggetti prescelti, anche quando, come nel caso di Valeria’s knees, si tratta delle ginocchia di una donna nuda seduta con le gambe raccolte e la testa reclinata su di esse, il tutto contro uno sfondo scuro. Il fascino provato e dichiarato da Jenkins nei confronti del «modo in cui la luce fa sembrare le persone e le cose magiche ed eteree» fa sì che il suo studio formale, apparentemente fine a se stesso, evochi altri e più profondi significati. È così che Valeria’s knees esprime in modo efficace il senso del libro di Millàs, rendendo tangibile, anzi dando letteralmente corpo alla solitudine di Elena così bene descritta dall’autore spagnolo.


Viceversa, il romanzo racconta una delle possibili storie evocate dalla fotografia di Jenkins; pagina dopo pagina, infatti, Elena vive, esce, incontra persone; eppure, è come se fosse protagonista di un’unica immagine, in cui è sempre seduta sola con se stessa a pensare e ripensare a tutta la sua vita, all’interno di una dimensione intaccabile da chiunque e da qualsiasi cosa. Millàs, in modo splendido, scrive: «Bene, dunque, questa era la solitudine: trovarti improvvisamente al mondo come se fossi appena arrivata da un altro pianeta da cui non sai perché sei stata cacciata. […] La solitudine è un’amputazione non visibile, ma altrettanto efficace, come se ti strappassero gli occhi e le orecchie e così, isolata da tutte le sensazioni esterne, da tutti i punti di riferimento, e solo con il tatto e la memoria, dovessi ricostruire il mondo, il mondo in cui devi abitare e che ti abita. Che cosa c’era in questo di letterario, che cosa c’era di divertente? Perché ci piaceva tanto?» (p.88).


©CultFrame 10/2006

 

 

IMMAGINE

Copertina del libro La solitudine di Elena di Juan José Millàs. Fotografia di Allan Jenkins

 

CREDITI

La solitudine di Elena / Autore: Millás Juan J. / Immagine copertina: Allan Jenkins / Traduttore:Tomasinelli P. / Editore: Einaudi, 2006 / Collana: L’Arcipelago Einaudi / 126 pagine / 9,80 euro / ISBN: 8806176919

 

LINK

Il sito di Allan Jenkins

 

 

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