Soliloquy. Turbulent. Mostra di Shirin Neshat

Shirin Neshat. Da “Soliloquy”

Una donna vestita di nero avvolta nel suo chador girovaga tra le rovine di una città orientale fino ad arrivare ad una moschea. Un’altra erra fra le moderne architetture di una metropoli occidentale fino a giungere ad una chiesa cattolica. Al termine del viaggio, le due donne racchiuse in un’unica figura femminile sdoppiata, rimarranno sole: circondata dalla propria tradizione la prima, totalmente isolata la seconda.

Così Shirin Neshat, la fotografa iraniana premiata l’anno scorso alla Biennale di Venezia con il Leone d’Oro per il cortometraggio Turbulent, esprime le sue sensazioni in relazione al dilemma dell’esistenza in due culture opposte. Ciò avviene in Soliloquy, un film di diciassette minuti e mezzo girato in 35mm e riversato su video, composto da due parti proiettate contemporaneamente su schermi antistanti, separati da uno spazio occupato da un pubblico costretto ad una scelta dello sguardo, fra oriente e occidente. Un racconto che Shirin Neshat, iraniana di nascita e americana di adozione, attinge dalla propria sfera intima, sfera che oltrepassa per descrivere un’esperienza universale, quella del bisogno di appartenenza alla comunità, alla sua storia e alle sue tradizioni. Una ricerca di un “terzo spazio”, così lo definisce l’artista, una zona dove si dissolvono le demarcazioni nette fra paesi e culture.

Soliloquy, la cui protagonista è la stessa Neshat, è stato girato a Mardin, una cittadina, situata nella parte est della Turchia non lontano dal confine iraniano, abitata da ribelli curdi e fondamentalisti islamici. Un luogo politicamente intenso, un paesaggio suggestivo, bellissime architetture di stile persiano. Senza parole, il film è accompagnato dai suoni delle trasmissioni radio captate dalla musicista iraniana Sussan Deyhim, protagonista di Turbulent. Durante la manifestazione fiorentina sarà possibile vedere questo cortometraggio tutti i giorni, dal lunedì al sabato, presso il Teatro di Rondò di Bacco a Palazzo Pitti mentre si potrà visitare la micromostra di immagini fisse (tre foto) allestita presso Pitti Immagine.

Prima di sperimentare il mezzo cinematografico, Shirin Neshat si esprimeva con la fotografia. Il legame della donna con la propria tradizione, imprigionata in una realtà in cui amore, politica e morte interagiscono, è rappresentata nelle immagini poetiche raccolte nel libro Women of Allah. Figure femminili avvolte nel chador impugnano un’arma. Sulle braccia, sul volto, sui piedi e sulle mani, uniche parti del corpo non coperte, sono disegnati con l’henné testi persiani dal notevole impatto grafico.

Ora invece l’artista iraniana si è definitivamente lanciata nell’esplorazione di nuovi linguaggi. Come lei stessa ha dichiarato durante l’incontro con il pubblico organizzato il 27 maggio scorso a Firenze da Pitti Immagine Discovery “le fotografie hanno una monumentalità che mi limita. Mi interessa invece l’aspetto narrativo del film, come anche la parte coinvolgente della musica che lo accompagna. Vorrei continuare a trattare argomenti difficili come le complessità sociali, politiche e religiose del mio paese trasmettendo delle emozioni. Mi interessa altrettanto rappresentare l’esistenza costante nei dualismi est-ovest, donna-uomo, dentro-fuori, visibile-invisibile, senza mai tralasciare l’idea della bellezza e il legame tra arte e vita”.

© CultFrame 06/2000

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Immagini da Women of Allah di Shirin Neshat

 

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