The Palace: gli orrori del mondo e le oscenità della società contemporanea secondo Roman Polanski

Se si analizza con attenzione l’intera parabola creativa di Roman Polanski è possibile accorgersi di una questione, a mio avviso, inequivocabile: la coerenza, con poche divagazioni, di una linea espressiva determinata da una poetica di rara nitidezza che appare connessa inestricabilmente all’esistenza stessa dell’autore.
Anche The Palace, ultima opera del novantenne cineasta polacco-francese, si colloca perfettamente in questo solco, anzi si manifesta come il punto di arrivo, senza alcuna prospettiva consolatoria, di un tragitto iniziato fin dai primi cortometraggi polacchi della metà degli anni cinquanta.

The Palace è un film trash? È la rappresentazione incontrollata di una visione del mondo esageratamente apocalittica? The Palace è un lavoro oltre misura (visiva), confuso e banalmente urticante? Dietro una patina d’autore nasconderebbe un’impostazione commerciale pacchiana, stile cinepanettone italico?
Su questo film di Roman Polanski ne sono state dette di tutti i colori, spesso con un intento palesemente stroncatorio, nel tentativo di designare quest’ultima prova del regista de L’ufficiale e la spia come non degna di nota.
Il mio parere critico non si allinea a questa tendenza, anzi posso affermare come gli argomenti messi in campo per sminuire questo film in verità siano i suoi punti di forza e siano la prova, lo ripeto, di una coerenza inconsueta nell’intera storia del cinema. Polanski, infatti, non fa altro che mettere in scena una concezione del mondo molto precisa, senza alcuna speranza e di una lucidità raggelante.

In questo hotel per straricchi, con arredamenti kitsch e appartamenti da nababbi, si manifesta una società cafona, volgare, penosa e patetica che, di fatto, nella realtà iper capitalistica contemporanea rappresenta un modello di riferimento.
Miliardari laidi e ignoranti, ex attori divenuti squallide macchiette, chirurghi plastici che hanno fatto una fortuna trasformando in mostri donne non più in giovane età, signore aristocratiche ossessionate dalle feci puzzolenti dei loro cagnolini, mafiosi russi che girano con valigie piene di contanti e prostitute pronte a tutto.
Polanski descrive l’inferno in terra, mette sotto la lente d’ingrandimento i cosiddetti “vincenti” della società contemporanea, e lo fa con cinica precisione. La sua visione, che alcuni definiscono fin troppo caustica, è quasi realistica. Un determinato mondo di orripilanti ricconi, sempre ben presentati come modelli, ad esempio, nella televisione dei nostri giorni, è configurato nella finzione filmica come un caravanserraglio di mostruosità pirotecniche; e tali mostruosità sono gli esiti inevitabili di una concezione sociale che continua a fare, ancora oggi, danni inenarrabili.

Roman Polanski è implacabile, duro. In verità, pieno di angoscia. Il suo film non è confortante e non da vie d’uscita; è corrosivo e severo. Nelle sequenze scatenate e caotiche di The Palace non c’è nulla di realmente divertente. Il comico viene utilizzato da Polanski in modo corretto, ovvero come rovescio della medaglia del tragico. Il regista ci fa vedere all’opera gli appartenenti a uno strato sociale triviale e sguaiato, anche intellettualmente, che spadroneggia in un hotel ghetto mentre le classi sociali dei lavoratori (cameriere, manutentori, addetti e impiegati dell’albergo) ormai hanno rinunciato a qualsiasi tentativo di riscatto e conducono una vita modesta al servizio dei cosiddetti potenti.

Tutto ciò, viene collocato spazialmente da Polanski in un puro universo concentrazionario (l’hotel), luogo nel quale le relazioni interpersonali sono deformate e inquinate da una condizione umana malata e basata sullo sfruttamento, sulle discriminazioni e su ciò che Marx definiva come “merda economica”.
Quella degli universi concentrazionari, d’altra parte, è una delle ossessioni poetiche e filosofiche di Roman Polanski: la barca a vela de Il coltello nell’acqua, il castello isolato di Cul de Sac, l’appartamento inquietante di Repulsion e quelli profondamente angosciosi di Rosemary’s Baby e L’inquilino del terzo piano, la villa sulla costiera amalfitana di Che?, la casa semi abbandonata e il bugigattolo dove si nasconde il protagonista de Il Pianista in fuga dagli aguzzini nazisti. 

Le vicende raccontate da Polanski sono quasi sempre caratterizzate da ambienti chiusi (più o meno grandi) che alludono alla dimensione di un costrizione fisica che genera relazioni perverse e violente. E queste relazioni sono costantemente caratterizzate da dinamiche scellerate tra dominanti e dominati, tra sadici e masochisti (più o meno consapevoli), tra carnefici e vittime, tra oppressori e  oppressi.
Ho sempre sostenuto, e continuo a farlo, come Roman Polanski abbia metabolizzato interiormente le proprie tragiche esperienze individuali (esperienze condivise da molte persone specie nella storia del XX secolo) e le abbia restituite al pubblico in forma narrativa nei sui lavori cinematografici. E tutto ciò con una sincerità rarissima nel rutilante e spesso totalmente vacuo mondo del grande schermo.

The Palace sarà, forse, l’ultima prova filmica di Polanski? Si può configurare come la ruvida, fastidiosa e conclusiva invettiva del regista contro l’umanità? È uno sberleffo insopportabilmente acido di un autore che non vorrà dire null’altro?
Non è possibile fornire risposte univoche a queste domande (l’unico a poter affermare qualcosa in merito non può che essere lo stesso Polanski), ma ciò che appare evidente, e che è mirabilmente condensato nell’inquadratura finale di The Palace, è che Roman Polanski sembra avere un’idea senza speranza del mondo. The Palace è, in tal senso, un’esplosione perfettamente organizzata di un pessimismo schopenaueriano di brillante crudeltà espressiva e di spaventosa sagacia.
In definitiva: non c’è alcun salvifico conforto in questa penosa esistenza a cui tutti noi siamo destinati.

© CultFrame 10/2023

TRAMA
Ultimo dell’anno del 1999. In un gigantesco e lussuosissimo hotel situato nelle alpi svizzere si sta preparando la festa di capodanno. Miliardari, aristocratici, ricchi sfondati si riuniscono in una folle cena che sembra annunciare la fine del mondo.

CREDITI
Titolo: The Palace / Regia:  Roman Polanski / Sceneggiatura:  Jerzy Skolimowski, Ewa Piaskowska, Roman Polanski / Fotografia: Paweł Edelman / Montaggio: Hervé De Luze / Scenografia: Tonino Zera / Musiche: Alexandre Desplat / Interpreti: Oliver Masucci, Fanny Ardant, Joaquim De Almeida, Luca Barbareschi, Mickey Rourke, John Cleese / Produzione: Èliseo Entertainment Moving Emotions,  Rai Cinema, Cab Productions, Lucky Bob, RP Productions / Produttori: Luca Barbareschi, Andrea Italia, Claudio Gaeta, Giulio Cestari, Jerzy Skolimowski, Janusz Hetman,   Dietmar Güntsche, Michael Kölmel / Lline producer Italia: Matteo Leurini / Paese: Italia, Svizzera, Polonia, Francia /Anno: 2023 /Durata: 100 min.

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