Mi piace. È bello. Quando si crede di esprimere un libero giudizio su un’opera d’arte

Pierre Bourdieu. La distinzione – Critica sociale del gusto (Il Mulino, 2001)

Il sociologo francese Pierre Bourdieu scrive nel suo fondamentale testo La distinzione – Critica sociale del gusto (Il Mulino, 2001): “ come osserva Erwin Panofsky, l’opera d’arte è proprio ciò che esige di venir percepita secondo una intenzione estetica”.
L’eminente studioso tedesco-americano (Panofsky), nell’affermazione sopraindicata, mette nero su bianco una delle innumerevoli definizioni di opera d’arte, chiamando in causa alcune questioni centrali (fortemente problematiche): percezione, intenzione, estetica.
Cosa sia l’arte, oltretutto, è tuttora argomento di dibattito e di approfondimento; quale sia la sua effettiva relazione con l’individuo (e le masse) è tema di straordinaria portata che, al di là degli ambienti specialistici ed accademici, ha enormi ricadute a livello popolare. Cosa siano l’estetica e il bello, poi, sono aspetti su cui addetti ai lavori, artisti, critici e filosofi nel corso del tempo hanno proposto varie visioni, in alcuni casi contrastanti.

Ma a parte ciò, l’argomento che vorrei affrontare in questo breve articolo riguarda la relazione, a mio avviso “perversa”, tra l’arte (anche nella sua versione più popolare, come lo spettacolo) e il cosiddetto pubblico di fruitori non specialisti (qualcuno direbbe: la gente).
All’uscita di una proiezione cinematografica è possibile ascoltare dichiarazioni di questo tenore: “questo film è molto bello”. Mentre si passeggia per le sale di un museo si possono udire simili affermazioni: “quel dipinto mi piace tantissimo”. Ancora: al termine di un concerto pop,  si ascoltano frasi del tipo: “quella canzone mi ha dato molte emozioni”.
Non v’è alcun dubbio, a mio avviso, che queste dichiarazioni, oltre a essere di una  banalità sconcertante, siano frutto di uno spaventoso processo di semplificazione della valutazione soggettiva di una cosiddetta opera d’arte, processo che ha delle ragioni molto precise.
Affinché questo articolo non risulti al lettore fastidiosamente elitario e snobistico, voglio sgombrare il campo da equivoci: nella trappola consolatoria del “mi piace” e del “quanto è bello” sono caduti e cadono spesso anche addetti ai lavori, addirittura critici (li ho sentito con le mie orecchie). E sicuramente sarà capitato anche al sottoscritto.

Potrei a questo punto concentrarmi esclusivamente sulle acutissime elaborazioni intellettuali di Pierre Bourdieu e portare avanti un discorso basato sui “capitali economico-culturali” degli individui, i quali si relazionano alle cose dell’arte convinti di esprimere dei pareri graniticamente soggettivi ma che invece producono giudizi in base alle logiche dettate dalle loro classi di appartenenza.  Ciò, naturalmente, mi obbligherebbe a un’analisi molto più approfondita relativa al potente saggio del sociologo francese, testo che rimane ancora oggi, a diversi decenni di distanza dalla sua prima pubblicazione, un riferimento centrale per chiunque si occupi della relazione tra arte, massa/pubblico e individuo.
Ma ciò che, invece, vorrei comunicare in questa breve riflessione è come, partendo dallo studio di Bourdieu, si possa oggi mettere a fuoco l’atteggiamento delle industrie culturali ed artistiche nei riguardi del consumatore.  Quest’ultimo, infatti, crede costantemente di scegliere l’oggetto d’arte (o di spettacolo) di cui fruire e godere, pensa di poter esprimere liberamente un giudizio e di poter comunicare le proprie sensazioni. Ma così, spesso, non è. Si tratta, quasi sempre, infatti, di una convinzione illusoria stimolata abilmente proprio da quelle industrie che, in maniera abilissima, fanno credere al pubblico di essere in grado di decretare il “successo” di un prodotto artistico.

Non bisogna essere dei geni, per poter rivelare quanto siano fondamentali i micidiali meccanismi della pubblicità e del marketing nonché tutti quei processi che portano gli individui a credere di poter esprimere una propria, e libera, visione estetica di un prodotto artistico.  Ancor di più. Si è spesso convinti che la piacevolezza percettiva sia sintomo della qualità di un’opera. Ecco, dunque, che entrano in gioco affermazioni come “mi piace”, oppure “è bello”, che naturalmente non hanno alcun significato. Peggio ancora, poi, quando vengono chiamate in causa le emozioni, cioè quelle sensazioni futilmente estemporanee e fuggevoli che non sono legate all’essenza reale dell’opera che le avrebbe generate.

Inoltre, la capacità delle industrie culturali e artistiche di giocare su questi fattori  è così efficace da indurre nell’individuo che avrebbe l’intenzione di ribellarsi a questa situazione una sorta di autocensura, a causa della quale diviene impossibile affermare con sincerità come un’opera d’arte popolare universalmente riconosciuta come “bella” dal pubblico possa non essere per niente tale. Chi si prende la briga di interrompere questa coazione a ripetere di massa viene spesso sottoposto a un linciaggio verbale e intellettuale fatto a base di questo tipo dichiarazioni: “chi sei tu per dire che questo film non sia bello”. O ancora: “ ma sei l’unico che sostiene che questo brano musicale sia banale”. Infine: “sei invidioso, perché avresti voluto farlo tu quel dipinto”.

Quello che ho cercato di delineare fin qui è per me argomento estremamente serio. Non si tratta di demonizzare l’industria culturale e artistica, che ha tutto il diritto di esistere e di operare nel cosiddetto mercato (anche perché molte famiglie riescono a vivere grazie proprio a questa industria). Appare, però, necessario tentare, ancor di più oggi, di evidenziare come esista un’altra modalità di relazione con l’arte e che si abbia tutto il diritto di poterla esprimere.
Naturalmente, nello spazio di questo testo non era possibile sviscerare tutti gli aspetti della problematica in questione. E non è escluso che nella rubrica L’angelo sterminatore, io non possa ritornarvi sopra.
Voglio solo chiudere con un’affermazione emblematica della filosofa francese Simone Weil riportata da Umberto Curi nel suo libro intitolato, L’apparire del bello  – Nascita di un’idea (Bollati Boringhieri, 2023) affermazione che mi ha fatto sempre riflettere: “ Tutte le volte che si riflette sul bello, si è arrestati da un muro. Tutto ciò che è stato scritto al riguardo è miserabilmente ed evidentemente insufficiente”.

© CultFrame 09/2023

Testi citati
Pierre Bourdieu. La distinzione – La critica sociale de gusto ( Il Mulino, 2001)
Umberto Curi. L’apparire del bello – Nascita di un’idea (Bollati Boringhieri, 2023)

 

0 Shares: