La società ingiusta e violenta di Denys Arcand nelle disavventure di Gina

Ci sono dei registi di cui pensiamo di sapere tutto, o meglio molto, ma in fondo conosciamo solo quelle opere che per un motivo o un altro arrivano nel nostro paese quasi accidentalmente grazie ai premi vinti. Uno di questi è il canadese Denys Arcand.
È conosciuto in Italia grazie a un terzetto di film come La natura ambigua dell’amore, il multi-premiato Le invasioni barbariche (Oscar, César e David di Donatello) e poi L’età barbarica. Molto meno fortunati i suoi Jésus de Montréal, La caduta dell’impero americano, e alcuni lungometraggi del suo primo periodo (Arcand è attivo sin dal 1962), nonostante la loro presenza in molti festival, come il noir politico Réjeanne Padovani del 1973 e il successivo Gina del 1974.
Quest’ultimo, in particolare, presenta elementi di notevole interesse.  Gina lavora come spogliarellista a Montreal. Il mondo del lavoro è (come al solito) in grave difficoltà e la società piccolo borghese non trova risposte, almeno politiche. Si nota, così, un paesaggio desolato fatto di lotte sindacali e posti di lavoro a rischio per le “ristrutturazioni” delle aziende. 

Gina viene mandata dal suo capo in una cittadina dove opera una troupe cinematografica che gira un documentario sulle condizioni del lavoro sul posto. Una gang locale, disturbata dai buoni rapporti di Gina col regista, per paura che lo influenzi negativamente nei loro confronti, vuole darle una lezione morale violentandola brutalmente. Arriva, così, la vendetta da parte della donna con l’aiuto della troupe cinematografica. 

Un po’ Ken Loach, e un po’ “rape and revenge”, Gina è meno politico di Réjeanne Padovani con cui forma un’ideale trilogia (la prima pellicola del terzetto si intitola La maudite galette ed è del 1972) e mette in scena “la vittimizzazione  come inevitabile estrema soluzione per la salvaguardia della società”; e lo fa con una maniera selvaggia.
Il documentario che viene girato sui lavoratori mostra una società in procinto di scoppiare. La parte (quasi) da exploitation con la violenza subita da Gina, nel nome di chissà quale morale, e la sua successiva vendetta, ci offrono una visione disperata del mondo e contengono scene di estrema violenza. In particolare, il secondo segmento, quello dello stupro, possiede, nello stile, reminiscenze di Sam Peckinpah ed altre chi ricordano, il più plateale Non violentate Jennifer di Meir Zarchi. 

Il nero ha fatto sempre parte del mondo di Denys Arcand e Gina ne è la conferma: il regista canadese passa con estrema disinvoltura dai primi piani dei lavoratori intervistati in bianco e nero (persone vere?) agli interni colorati del cabaret dove balla Gina, fino alla neve che viene arrossata dal sangue degli stupratori, il tutto senza sbagliare un’inquadratura. E l’ironia esplode nelle ultime scene quando scopriamo che il doc d’inchiesta è diventato un poliziesco di second’ordine a favore di chissà quale pubblico… forse lo stesso che ha violentato Gina 

 Il critico Martin Knelman, editorialista del Toronto Star and Globe & Mail  scrisse che Gina “ ha l’energia di una pellicola pulp combinata con l’intelligenza morale di un’analisi politica”.
Mai uscito in Italia e in dvd solo in Canada in francese con vari sottotitoli ma non in italiano. 

© CultFrame 07/2023

Trama 

Gina, una stripper, assoldando un gruppo di persone si vendica dello stupro subito tempo prima in una stanza di motel.

Crediti

Titolo originale: Gina/ Regia: Denys Arcand/ Sceneggiatura: Jacques Poulin, Alain Dostie/ Fotografia: Alain Distie/ Montaggio: Denys Arcand/ Musica: Benny Barbara, Michel Pagliaro/ Interpreti: Céline Lomez, Claude Blanchard, Gabriel Arcand, Frédérique Collin, Louise Cuerrier, Jocelyn Bérubé/Produzione: Gilles Carle, Pierre Lamy/ Anno produzione: 1975/ Paese: Canada / Durata: 95 minuti

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