El castillo de la pureza ⋅ Un film di Arturo Ripstein

Certe cose non capitano per caso. Arturo Ripstein, il regista messicano di Profundo Carmensi, ha cominciato la sua carriera come aiuto regista di Buñuel, nel famoso L’angelo sterminatore e ha firmato il suo primo film da regista nel 1966 con Tiempo de morir, scritto addirittura da Gabriel Garcia Marquez. Con un inizio così folgorante non si riesce a capire perché l’80% del cinema di questo prezioso regista continui ancora oggi a rimanere praticamente sconosciuto al di fuori dell’America Latina.

Nel 1972, Ripstein, firma uno dei suoi capolavori: El castillo de la pureza (t.I. Il castello della purezza), pellicola che siamo sicuri abbia visto il greco Yorgos Lanthimos per il suo primo grande film, ossia Dogtooth. Anche perché la storia è simile. Un padre-padrone fabbrica senza permesso veleno per i topi, tiene la sua famiglia segregata in casa e cerca di dare ai figli una disciplina ferrea. Ovviamente, se superano i limiti imposti finiscono chiusi in una gabbia. Ma le cose non vanno come il padre vorrebbe.

El castillo de la pureza non è un thriller e nemmeno un horror, anche se avrebbe potuto esserlo. È “semplicemente” un racconto nero la cui anima è imbevuta di grottesco. Un grottesco che sottolinea come la vita stessa sia una pura follia (la storia, con le dovute distanze, è tratta da un fatto di cronaca). Ma Ripstein non dimentica mai che sta girando un film: imprigiona i suoi disgraziati protagonisti dentro i décor di una casa maledetta che sembra uscita da un film della Hammer inglese, illuminandola con una luce flebile e dandoci l’impressione di trovarci davanti a un acquario in cui gli uomini boccheggiano come i pesci.

Le scene in cui i ragazzi recitano a memoria gli scritti di Goethe, oppure quelle intorno alla tavola che richiamano le “ultime cene” blasfeme di buñueliana memoria, creano nella mente dello spettatore una dolce aspettativa verso l’infinito. La profondità di campo, inoltre, fa “sprofondare”, e passatemi la quasi tautologia, l’osservatore nelle tenebre più nere di un  surrealismo che più “quotidiano” di così non si può.

Arturo Ripstein

La complessa regia di Ripstein ci rivela che l’uomo è capace della più torbida delle sovversioni e allo stesso tempo può accettare la più sadica versione della purezza (visto che il divino Marquese ha dimostrato che sadismo e purezza possono camminare a braccetto). Ma ne El castillo de la pureza molte cose contraddittorie camminano a braccetto: il padre mangia carne e i figli no. Il padre fa sesso con delle estranee, i figli, forse, tra di loro. Insomma, lui vive una vita “vera”, loro attraversano solo un involucro vuoto.

Non c’è dubbio come il film di Ripstein contenga molti elementi anche commerciali. Ad esempio, una costruzione a scatole cinesi e la presenza, oltre a un attore enorme come Claudio Brook, anche di un interprete prettamente popolare come David Silva che interpreta un ispettore che investiga sui fatti. Ed è cosi che il giallo si mescola all’introspezione psicologica, cosa impensabile all’epoca, introspezione che Ripstein porta a livelli patologici vertiginosi, rivelandosi anticipatore (probabilmente involontario, possibilmente visionario) di molte tematiche, anche di serie tv, di oggi.

Un’ultima annotazione. Dicevamo che Ripstein fu aiuto di Buñuel ma è da chiedersi se oltre a L’Angelo Sterminatore non avesse in mente anche Archibaldo De La Cruz di Estasi di un delitto, quando disegnava il personaggio di Gabriel Lima, il pater familias, personaggio talmente negativo da risultare enigmaticamente grottesco e curiosamente criptico. Il resto è storia (del cinema).

Il film non è stato visto in Italia (è uscito solo in pochi paesi in Europa: Grecia, Polonia, Spagna, ovvio, Portogallo) e non esiste in nessun supporto al di fuori dell’America Latina. Potete vederlo su YouTube in una versione… inguardabile. Se il Festival di Salonicco non l’avesse proposto qualche anno fa in un omaggio al cinema messicano per me non sarebbe mai esistito!

© CultFrame 03/2019

TRAMA
Gabriel è un uomo ossessionato che, al fine di evitare qualsiasi contaminazione con gli spiriti malvagi del mondo si rinchiude con tutta la famiglia nella sua abitazione, evitando che la moglie e i figli abbiano alcun contatto con l’esterno e facendo lavorare tutti, bambini compresi, nell’attività che li mantiene: produrre veleno per topi. Ma i fantasmi, sopratutto sessuali, sono in agguato.

CREDITI
Titolo: El castillo de la pureza / Regìa: Arturo Ripstein / Sceneggiatura: Arturo Ripstein, José Emilio Pacheco / Fotografia: Alex Phillips / Montaggio: Rafael Castanedo/Musica: Joaquín Gutiérrez Heras / Interpreti principali: Claudio Brook, Rita Macedo, Arturo Ribestain, Diana Bracho, David Silva, Maria Rojo / Produzione: Angélica Ortiz / Paese: Messico / Anno: 1972 / Durata: 110 min.

SUL WEB
Filmografia di Arturo Ripstein

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