Il vero ribelle di Hollywood ⋅ Un ricordo di Arthur Penn

Il primo film di Arthur Penn che vidi consapevolmente fu La Caccia. L’ho visto in un cinema estivo sul finire degli anni ‘70. E l’ho visto non per il suo regista, che all’epoca non conoscevo (in fondo avevo solo 16 anni), ma per l’elevato numero di attori che comprendeva: una ribelle Jane Fonda, un Marlon Brando umiliato e offeso, Angie Dickinson, un bellissimo Robert Redford e poi alcuni volti che ho imparato a riconoscere più tardi come Janice Rule, Robert Duvall  e la vecchia Miriam Hopkins. Un robusto melodramma in cui l’azione e la psicologia dei personaggi erano perfettamente bilanciate e che all’epoca mi era sembrato qualcosa di molto lontano da quello che Hollywood ci propinava negli ultimi decenni. Ma bisogna tener conto che non avevo mai visto un film né di Truffaut e nemmeno di Bob Rafelson.

Qualcuno fa coincidere l’inizio dell’era della nuova Hollywood con Il laureato di Mike Nichols del 1967 oppure con Easy Rider di Peter Fonda e Dennis Hooper del 1969. Ma per verità Hollywood fu rivoluzionata nel linguaggio già dieci anni prima, quando Arthur Penn firmò il suo primo western Furia selvaggia, con l’interpretazione modernissima di Paul Newman. Da lì in poi, una serie di capolavori e un continuo viaggio all’interno dei generi: il psicodramma Anna dei Miracoli con Anne Bancroft e Patty Duke, che hanno vinto entrambe un premio Oscar, il kafkianamente astratto Mickey One e poi l’innovativo gangster movie Bonnie e Clyde:  quest’ultimo due Oscar e dieci nomination, interpretato da Warren Beatty e Faye Dunaway. Opera che originariamente avrebbe dovuto avere Jean-Luc Godard e François Truffaut come sceneggiatori, Bonnie e Clyde,  sconcertò i critici col suo mix senza precedenti di comicità, sesso e violenza estrema.

Ma anche il resto del cinema di Penn non scherza: Alice’s Restaurant è un lucido affresco dell’America contemporanea in dissoluzione, Piccolo grande uomo smitizza il mondo civile del West, da cui è poi scaturito il patrimonio di valori degli USA degli anni Sessanta fino a Missouri, western crepuscolare crudo e cinico, che simpatizza per i ribelli; insomma una malinconica metafora delle disillusioni di un’epoca, con due mostri sacri come Brando e Nicholson.
Un capitolo a parte forma il dittico noir, per me i due film migliori del nostro, Bersaglio di notte del 1975 e Target del 1985, lungometraggi che condividono lo stesso protagonista, Gene Hackman, e la stessa struttura circolare e imprevedibile. Negli anni a venire Arthur Penn ha diradato la sua produzione. Giusto un thriller come Omicidio allo specchio, sorta di remake di un classico del noir degli anni ’40 come Mi chiamo Julia Ross, lavoro girato con invidiabile professionalità e due film al limite dello sperimentale. Infatti, Con la morte non si scherza e Lumière et compagnie, un film collettivo che porta la firma di ben quaranta registi, ci riportano all’inizio: un cineasta anziano, ma per niente vecchio, scopre nei nuovi linguaggi e nelle nuove tecnologie la voglia di rinnovarsi.
Peccato che “odiosi” produttori non gli abbiano permesso di continuare.

© CultFrame 10/2010

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Filmografia di Arthur Penn

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