Tre Terzi. Sacrificio. Tumulto. Costellazioni. Mostra di Antonio Biasiucci

Nelle sale espositive di Palazzo Poli a Roma è allestita la mostra, curata dall’Istituto Nazionale per la Grafica, dedicata al fotografo Antonio Biasiucci, che con la sua trentennale carriera si è ormai imposto come una delle voci più originali del panorama fotografico italiano. Antonio Biasiucci nasce a Dragoni (Caserta) nel 1961. Il suo interesse per la fotografia come mezzo espressivo e di documentazione nasce di pari passo a un coinvolgimento, che negli anni si rivelerà altrettanto duraturo, per la ritualità senza tempo della vita contadina cui dedicherà alcuni dei suoi più significativi lavori come Vapori (1982-1987), Vacche (1987-1991) e Pani (2006-2010).

La mostra, che si propone al pubblico quale occasione per riflettere sulla poetica del fotografo campano, si articola in tre sale, da qui il Tre terzi che dà il titolo alla mostra. Ogni sala, poi, ha un suo sottotitolo: la prima “Sacrificio”, la seconda “Tumulto” e “Costellazioni” la terza. Dunque il viaggio del visitatore attraverso l’opera dell’artista avviene secondo un ritmo e un tempo che devono necessariamente assoggettarsi ai criteri espositivi, alla “partitura” scenica con cui le foto sono state esposte.

La prima stanza, “Sacrificio”, ospita la serie Madri (1995-2002), sei immagini in due sequenze da tre che mostrano sagome, poco riconoscibili, di corpi di donne. Qui al fotografo non interessa, evidentemente, esaltare le sembianze di questo o quel corpo femminile, quanto alludere simbolicamente all’archetipo femmineo, universale e disincarnato, e al suo “potere” di dare, nel dolore e sacrificandosi, la vita. Al ciclo suddetto fa da pendant la serie Vapori (1982-1987), dedicata all’uccisione del maiale, un rituale antichissimo nella cultura contadina e al quale Biasiucci ebbe modo di assistere da bambino.
Con questo ciclo come con quello dedicato al pane, Biasiucci dimostra come siffatte tematiche possano essere eviscerabili non solamente attraverso le metodiche canoniche della ricerca antropologica. Biasiucci è un fotografo innanzitutto e non un etnografo che ricorre alla documentazione visiva in forme e modalità che la relegano in un ruolo secondario e meramente descrittivo. Per lui, dunque, la fotografia è uno straordinario e prezioso strumento di cui riconosce, evidentemente, quella proverbiale capacità di sintesi declinata attraverso un proprio stile ove l’eleganza formale e l’elemento estetico connotano vieppiù il messaggio.
Il suo lavoro ha poco o nulla a che vedere, per intenderci, con quello che fotografi come Franco Pinna e Ando Gilardi fecero nel Mezzogiorno, durante gli anni ’50, al seguito di uno dei più importanti antropologi italiani, Ernesto De Martino, noto per essere stato il capostipite del filone dell’antropologia visuale. Il mondo umile dei contadini non è una realtà da analizzare secondo l’ottica distaccata e gelida dell’entomologo, quanto piuttosto un universo fitto di misteri da penetrare giorno per giorno, intuitivamente ed empaticamente.

La seconda sala, “Tumulto”, ripropone su due pareti e in sequenza le immagini di Magma (1998) e di Res (2004). La prima serie è il risultato di un lavoro decennale condotto da Biasiucci in collaborazione con l’Osservatorio vesuviano sui vulcani attivi in Italia. Esso è stato, per l’autore, il pretesto per scoprire una fenomenologia della natura oscura ai più, e presentata attraverso un proprio stile. Egli, infatti, non si accontenta di documentare con vedute ampie e descrittive il fenomeno naturale quanto di sottoporlo a un processo di scarnificazione e astrazione, in questo complice il bianco e nero che è, per inciso, una delle cifre stilistiche di Biasiucci. Con le sue visioni ravvicinate di dettagli egli sembra voler affrancarsi dall’obbligo della verosimiglianza per restituire i suoi soggetti a una dimensione aspaziale e atemporale. La sua natura è non configurabile, una natura del futuro o delle origini, potremmo dire, per come si presenta astratta e lunare.
La serie Res, che si compone invece di immagini realizzate tra il 1997 e il 2000, si attesta come un ulteriore capitolo della personalissima riflessione  dell’artista. Qui abbiamo una suggestiva successione di oggetti –  pietre, lamiere, metalli, animali impagliati, teschi, calchi, reperti archeologici, relitti industriali, concrezioni materiche vagamente antropomorfe – posti in primo piano e in bianco e nero. Non è superfluo ribadire come siffatte costanti stilistiche, piani ravvicinati e uso del bianco e nero, aiutino non poco a plasmare e veicolare la Weltanschaung del fotografo, degna di un film di fantascienza visionario e distopico, ove non c’è più traccia di vita umana ma solo di cose, denaturate e desaturate.

E veniamo alla terza sala, “Costellazioni”, che ospita i cicli Pani (2006-2010) e Molti/Volti (2009). Il tema del pane, come quello delle vacche o dell’uccisione del maiale, riconduce l’autore al suo vissuto, alla sua memoria personale e rende agevole il confronto con uno dei più grandi maestri della fotografia del ‘900, Mario Giacomelli, confronto reso ulteriormente possibile dal fatto che Biasiucci come Giacomelli usa solo ed esclusivamente il bianco e nero. In quest’ottica è facilmente comprensibile l’entusiasmo di Giacomelli quando vide il lavoro di Biasiucci sulle vacche. Inoltre da non dimenticare la mostra del 2005 a Milano dal titolo Due fotografi di terra: Mario Giacomelli e Antonio Biasiucci con cui si volle affermare l’idea, fondata, di una vicinanza tra i due autori sui piani della poetica e di certi esiti espressivi e formali comuni.
Nella società contadina sappiamo come il pane sia uno degli alimenti principi, investito di un senso di sacralità, ma Biasiucci giunge a trasformarlo in oggetto misterioso, attraverso un suggestivo gioco di luci e ombre, somigliante più a una pietra, a un meteorite, a una forma archetipica e primigenia. Pertanto i suoi pani non sono poi così dissimili morfologicamente dai volti della serie omonima. Giacché, repetita iuvant, Biasiucci è più interessato alla sostanza e all’essenza delle cose che al loro aspetto meramente fenomenico e transeunte. I volti sono, nella fattispecie, calchi dei visi di tribù africane realizzati negli anni ’30 dall’antropologo Lidio Cipriani e conservati al Museo di antropologia di Napoli. Così, se i pani sono un’epifania della vita, viceversa i volti, immersi nella semioscurità, diventano una potente allegoria del passaggio degli uomini sulla terra, nonché, come ha affermato lo stesso fotografo: “una riflessione sulla morte”.

Infine a chiudere la mostra è un’installazione, Camera Oscura (2012): una stanza immersa nel buio ove l’osservatore può vedere lentamente emergere dall’oscurità per poi di nuovo scomparire quella moltitudine di volti appena visti in foto secondo un ritmo che si ripete all’infinito. Qui Biasiucci sembra voglia ribadire la sua idea del senso ultimo dell’uomo sulla terra:  quello di essere continuamente sballottato delle leggi implacabili di genesi, catarsi e divenire, nascita e morte, da intendersi, quest’ultima, non come “finis”, fine, alla maniera di un Seneca ovvero annullamento della coscienza, ma come, si badi bene, trasformazione.

© CultFrame 01/2013

 

IMMAGINI
1 © Antonio Biasiucci. Madri n.4, 1995
2 © Antonio Biasiucci. Pani n.6, 2009

INFORMAZIONI
Antonio Biasiucci – Tre Terzi. Sacrificio. Tumulto. Costellazioni
Dal 13 dicembre 2012 al 17 febbraio 2013
Roma, Palazzo Poli / sale espositive primo piano / Via Poli, 54 (Fontana di Trevi)
Orario: martedì – domenica 10.00 – 19.00 / chiuso lunedì / Ingresso libero
Catalogo Peliti Associati, Roma

LINK
Il sito di Antonio Biasiucci
Istituto Nazionale per la Grafica, Palazzo Poli, Roma

 

 

 

 

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