Munich ⋅ Un film di Steven Spielberg

Munich è un film che impone al critico un approccio analitico decisamente difficile. Le ragioni sono molte, ma la principale riguarda la complessità stessa della vicenda, che genera inevitabilmente un vortice di considerazioni, riflessioni, pensieri che vanno al di là del cinema (inteso semplicemente come forma di spettacolo popolare). Quest’opera infatti fa parte di un ristretto novero di pellicole che affrontano tematiche che affondano le loro radici in questioni al centro di vivaci dibattiti di carattere storico/politico. Il primo errore che si può commettere, dunque, è considerare Munich semplicemente una spy-story, o un thriller. Spielberg, infatti, utilizza l’ossatura di questi generi per costruire un’opera non catalogabile e dunque altamente problematica.

Dietro la progettazione di questo lavoro c’è comunque un’elaborazione individuale e concettuale da parte del regista americano che, oltretutto, ha dovuto difendersi dalle critiche della destra americana che l’ha accusato incredibilmente di pacifismo estremistico. Con questo suo lungometraggio, Steven Spielberg è andato a scavare nelle pieghe più recondite del suo animo, cercando di comprendere il significato di alcune questioni legate alla sua stessa identità. Munich, quindi, è incentrato su una complicata architettura narrativa basata su fattori di indubbio spessore.

Al centro della griglia contenutistica sembra essere il conflitto tra giustizia e vendetta, tra affermazione di un’autodifesa comprensibile e il desiderio di annientare il nemico aggressore. Perno del racconto è Avner, ufficiale del Mossad (servizi segreti israeliani) che solo apparentemente riflette lo stereotipo del militare israeliano forte e determinato. In verità, Avner è un uomo riflessivo, che vive la dimensione della vendetta con angoscia e che dimostra in frangenti drammatici una sensibilità insospettabile. E’ un personaggio fragile quello di Avner, un individuo che combatte oltre i terroristi palestinesi anche la sua tendenza a vivere con un devastante senso di colpa il suo effettivo abbandono della famiglia.

Non ci sono eroi tronfi in questa storia, non c’è retorica ideologica, anzi si palesa in molte occasioni il dubbio, l’incertezza, perfino la paura. Questi uomini lanciati all’inseguimento di altri uomini, disposti a uccidere per smentire il tragico stereotipo dell’ebreo incapace di difendersi giocano una partita che va oltre le loro stesse individualità. La loro personale vicenda rispecchia quella di un intero popolo che uscito dall’orrore della Shoah aveva pensato di trovare in Terra di Israele un luogo nel quale vivere in pace ed anche, di conseguenza, una definitiva accettazione internazionale. Così, evidentemente non è stato.

L’autodifesa, dunque, sembra essere l’unico vero strumento per affermare la propria esistenza, per non essere più solo vittime. In tal senso, Munich è un film profondamente tragico e doloroso, poiché evidenzia come l’agire umano spesso sia stretto in una terribile tenaglia: da una parte la tensione nei riguardi della propria sopravvivenza dall’altra l’esigenza di non disumanizzare i propri comportamenti.

Avner, il personaggio cardine di Munich, vive questa contraddizione sulla sua pelle, fino a smarrire il senso delle sue azioni, a non comprendere più l’obiettivo finale. Eric Bana riesce a rendere perfettamente le sofferenze interiori del suo personaggio, consentendo al suo ruolo di manifestarsi come il simbolo vivente della fragilità umana.

La regia di Spielberg è calibrata al tono del racconto, più intimista di quanto possa sembrare. La struttura formale regge perfettamente il confronto con lo spessore dei contenuti, ma le sequenze non sono mai girate con enfasi, anzi tendono a operare su un livello comunicativo più profondo, nascosto. Contribuisce a rendere così anticonvenzionale questo film anche la fotografia di Janusz Kaminski, il quale compie delle elaborazioni cromatiche molto interessanti e manipola la luce recuperando certe atmosfere del cinema degli anni settanta. Sono perfettamente nei ruoli tutti i protagonisti, compreso Matthieu Kassowitz,nel ruolo di un agente del Mossad, e gli interpreti israeliani Gila Almagor e Moshe Igvy.

Infine, vi segnaliamo la scena più paradossale e grottesca, ma molto significativa del film. Durante una missione ad Atene, gli agenti del Mossad, fingendosi terroristi dell’ETA e della Rothe Armée Fraction, si ritrovano a dover passare la notte nella stessa casa con alcuni guerriglieri palestinesi. Sarà una notte di parole, discussioni, confronti, i cui tutti ovviamente mostreranno il loro lato umano, i motivi per quali combattono.

© CultFrame  01/2006

TRAMA
Nel settembre del 1972 un commando palestinese di Settembre Nero prese in ostaggio l’intera delegazione israeliana alle Olimpiadi di Monaco. Questo evento fu uno shock per tutto il mondo, e particolarmente per Israele. Gli atleti e i dirigenti israeliani furono trucidati e tutto si concluse con un bagno di sangue. In conseguenza di questo tragico atto terroristico, l’allora Primo Ministro di Israele, Golda Meir, ordinò ai vertici della Difesa e del Mossad di dare avvio all’operazione “Ira di Dio”. Si trattava di uccidere tutti i palestinesi che avevano organizzato l’attentato. Una squadra del Mossad fu così incaricata di compiere una serie di omicidi in Europa. A capo del gruppo fu messo un giovane aitante ufficiale: Avner. La sua vita da qual momento cambiò profondamente.

CREDITI
Titolo: Munich / Regia: Steven Spielberg / Sceneggiatura: Tony Kushner ed Eric Roth (dal libro di George Jonas) / Montaggio_ Michael Kahn / Musiche: John Williams / Scenografia: Rick Carter / Fotografia: Janusz Kaminski / Interpreti: Eric Bana, Daniel Craig, Ciaran Hinds, Matthieu Kassovitz, Hans Zischler / Produzione: Amblin Entertainement, Kennedy/Marshal, Barry Mendel / Distribuzione / UIP / Origine: USA, 160 minuti

SUL WEB
Il sito ufficiale del film Munich di Steven Spielberg

Filmografia di Steven Spielberg

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