Pittsburgh: ritratto di una città industriale. W. Eugene Smith al MAST di Bologna

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978. Area residenziale, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 33.97 x 26.67 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith, USA, 1918-1978. Area residenziale, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 33.97 x 26.67 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith. Area residenziale, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 33.97 x 26.67 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh. © W. Eugene Smith / Magnum Photos

Due importanti anniversari accompagnano la mostra che il MAST di Bologna dedica a W. Eugene Smith: 100 anni dalla nascita dell’autore (Wichita, 1918) e 40 anni dalla sua morte (Tucson, 1978). Quella che Bologna ospita, fino al 16 settembre 2018, non è però solo una delle più grandi retrospettive dedicate all’artista e alle sue immagini – in buona parte poco conosciute – dedicate alla città di Pittsburgh, ma anche un’importante occasione per conoscere e riflettere su aspetti non sempre noti del carattere, della vita e delle opere di W. Eugene Smith.

Il monumentale corpus di lavoro sulla città industriale per eccellenza degli Stati Uniti di allora, Pittsburgh, all’apogeo dello sviluppo con le sue acciaierie, rappresenta forse lo stadio finale e la massima espressione della filosofia di W. Eugene Smith, della sua incessante ricerca estetica, delle sue modalità narrative e della sua concezione del rapporto tra rappresentazione e narrazione.

In tutto la sua produzione, Eugene Smith si mosse sempre come un funambolo tra i due campi del reportage e della fotografia artistica, traversando spesso, nei due sensi, il confine tra queste due forme espressive. In maniera spesso apertamente polemica con le grandi testate con cui lavorava, da cui spesso veniva licenziato, rifiutava l’idea di report “oggettivo”, in cerca di una “fotografia totale”, di un punto di vista artistico.

La sua frase “Soltanto cercando di essere un artista posso essere un buon fotografo”, completo rovesciamento di quanto all’epoca era pensiero comune, soprattutto in ambito fotogiornalistico, sintetizza al meglio la sua cifra stilistica ed è principio ispiratore costante di tutti i suoi lavori successivi.

È tempo, per Eugene Smith, che nasca la nuova figura – così egli si autodefiniva – del “fotogiornalista-artista”, che si spinga al di là del ruolo di mero documentatore per immagini. Eugene Smith, come scrive il curatore della mostra Urs Stahel, “ben lungi dall’accontentarsi di documentare il mondo”, sembra voler “catturare, afferrare …. niente di meno che l’essenza stessa della vita umana”.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978. Stabilimento National Tube Company, U.S. Steel Corporation, McKeesport, e ponte ferroviario sul fiume Monongahela, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento / gelatin silver print, 22.86 x 34.29 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection.. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith. Stabilimento National Tube Company, U.S. Steel Corporation,
McKeesport, e ponte ferroviario sul fiume Monongahela, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 22.86 x 34.29 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection.. © W. Eugene Smith / Magnum Photos

In questo tentativo di catturare l’essenza, le modalità narrative ed autoriali passano in primo piano rispetto alla mera documentazione: regia accorta delle luci, inquadrature soggettive, pesanti interventi di camera oscura, anche abili messe in scena conquistano nelle immagini di Eugene Smith piena dignità e divengono elementi narrativi pienamente legittimi, così come la strenua lotta con le redazioni perché l’autore abbia diritto di parola anche sulla scelta delle foto, l’impaginazione ed i testi.

Nasce con le immagini di Eugene Smith la riflessione, ad oggi non ancora conclusa, sul confine tra pura documentazione e narrazione, sul limite dell’oggettività foto-giornalistica e l’intervento creativo estetico (che si fa, in molti casi, inutilmente estetizzante) del narratore. Le sue fotografie sono spesso scure, emotive. Invece che raccontare le cose, Eugene Smith cerca di “farle vivere”.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978. Operaio di un’acciaieria che prepara le bobine, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento,  22.86 x 34.61 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection.. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith. Operaio di un’acciaieria che prepara le bobine, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 22.86 x 34.61 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection.. © W. Eugene Smith / Magnum Photos

Se il suicidio del padre può aver determinato la visione pessimista di Eugene Smith, la madre, molto rigida e ferventemente religiosa, ha probabilmente influito sulla sua arte, dalla quale sembra trasparire un disperato bisogno di “redenzione”, come una ricerca di bontà o di verità non palesi, ma che aspettano di essere rivelate al di là delle illusioni e delle apparenze. Nelle atmosfere cupe e pessimiste di molte sue opere, Smith cerca o introduce sempre una qualche “illuminazione”, un raggio di speranza, una luce al quale poter tendere la mano o verso cui dirigersi, come in “A walk to Paradise garden”, l’immagine celeberrima scattata dopo un suo lungo periodo di malattia, diventata una delle icone del nostro secolo per la sua perfetta capacità di evocare la propria rinascita personale ed il ritorno alla speranza dopo gli anni bui della guerra.

Se nelle sue foto l’ombra è morte, la luce è speranza. La corsa disperata verso quella sorta di redenzione, di luce agognata e mai raggiunta fa però di Eugene Smith un eterno insoddisfatto, che non riesce mai a considerare pienamente conclusi i progetti fotografici che gli vengono commissionati, in cui sente di non riuscire a cogliere la vera essenza, che consegna sempre in ritardo e che lo pongono in aperto contrasto con le redazioni. In questa sua disperata ricerca dell’assoluto, Eugene Smith lotterà invano – continua il curatore – per “passare dalla rappresentazione al quadrato nero (come Malevic), dall’immagine alla reliquia, dall’effimero alla verità”.

Nel 1954 si allontana dai lavori su commissione e si trasferisce a New York, dove stringe amicizia con molti musicisti di jazz. In quel periodo gli affidano l’incarico di un lavoro su Pittsburgh: 80-100 fotografie celebrative del bicentenario della fondazione della città, non più di due settimane di soggiorno.

Ma l’assignement, nato come banale lavoro di routine, si trasformerà “nel progetto più ambizioso della sua vita e, insieme, nel suo fallimento più doloroso”. Eugene Smith resterà a Pittsburgh per oltre tre anni cercando anche qui, in maniera quasi compulsiva (20.000 negativi, 2.000 stampe, una mole incalcolabile di appunti e registrazioni audio), di cogliere l’essenza, quasi a voler scavare nelle viscere della città fino a mettere a nudo e ritrarre la sua anima più nascosta.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978. Edilizia residenziale, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 33.34 x 25.40 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection. © W. Eugene Smith / Magnum Photos
W. Eugene Smith, USA, 1918-1978. Edilizia residenziale, 1955-1957. Stampa ai sali d’argento, 33.34 x 25.40 cm. Carnegie Museum of Art, Pittsburgh. Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection. © W. Eugene Smith / Magnum Photos

“Il saggio definitivo che avrebbe rivelato l’anima della città senza lasciare fuori nulla, un’opera senza precedenti nella storia della fotografia”, il libro che Eugene Smith continuò a sognare negli anni in cui soggiornò a Pittsburgh, mai all’altezza delle sue aspettative, non vide mai la luce.

La selezione delle immagini esposte al MAST offre una perfetta sintesi di questo progetto: le 170 immagini, tutte della dimensione di 20 x 30, esposte in ordine apparentemente casuale lungo le pareti della galleria sembrano pagine scompaginate del libro che Eugene Smith avrebbe voluto comporre, e rendono perfettamente l’idea della sua ricerca disperata e compulsiva di cogliere l’anima della città.

Le fotografie sono spesso cupe, dove domina l’infinita lotta tra bianco e nero, come se Eugene Smith percepisca, dietro le apparenze della città allora all’apice del suo sviluppo industriale, i germi della decadenza degli anni a venire.

Resta, negli archivi del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, che ha fornito le immagini esposte, uno dei ritratti di città più grandiosi che si conoscano. Nessuno, prima di Eugene Smith, aveva messo in atto un progetto fotografico con altrettanta disperata perseveranza.

© CultFrame 06/2018

INFORMAZIONI
Mostra: W.Eugene Smith. Pittsburgh, ritratto di una città industriale / A cura di Urs Stahel
Organizzazione: Fondazione MAST in collaborazione con Carnegie Museum of Art, Pittsburgh, Pensylvania (USA)
Dal 17 maggio al 16 settembre 2018
MAST / Via Speranza 42, Bologna
Orario: martedì – domenica 10.00 – 19.00 / Ingresso libero

SUL WEB
Fondazione MAST, Bologna

 

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