Bethlehem ⋅ Un film di Yuval Adler ⋅ 70. Biennale Cinema di Venezia ⋅ Giornate degli autori

Riguardo il conflitto israelo-palestinese, specie in Europa, tutti si sentono in grado di emettere giudizi precisi, prendere posizioni incrollabili, interpretare la situazione grazie a certezze granitiche, o peggio ideologiche. La realtà è invece molto complessa, difficile da decodificare nei suoi molteplici dettagli, densa di elementi di cui in Occidente mai si parla. Il quadro che emerge dagli organi di comunicazione è poi decisamente sconfortante: spesso tragicamente superficiale e approssimativo, quando non contraddistinto da errori di informazione, in alcuni casi molto gravi e dettati dal pregiudizio.

Anche il cinema ha purtroppo contribuito in passato a generare ulteriore confusione grazie a opere che hanno fornito una visione parziale di accadimenti politici, storici e sociali. Ciò non accade però nel film intitolato Bethlehem, del regista esordiente Yuval Adler.

È un’opera di rara intelligenza e lucidità che non intende dare spiegazioni e neanche indicare semplicistiche soluzioni. Oltretutto, si tratta di un’operazione artistico/produttiva che vede israeliani a palestinesi lavorare fianco a fianco. Sceneggiatori della pellicola sono lo stesso Adler e il palestinese Alì Waked, la produzione è internazionale israelo/tedesco/belga (con la partecipazione dell’Israel Film Fund, l’ente pubblico israeliano di sostegno al cinema di qualità) e gli interpreti principali sono israeliani e palestinesi, insieme.

In una fase iniziale di analisi, Bethlehem potrebbe configurarsi come la classica spy-story mediorientale, con cenni di azioni militari e qualche risvolto psicologico. Si manifesta, invece, come un testo audiovisivo di notevole profondità in cui si è cercato di raffigurare una realtà contorta in modo più corretto possibile.
La vicenda dell’agente dei servizi segreti di Israele che costruisce un rapporto intimo e forte con il suo informatore palestinese è emblematica rispetto alla condizione esistenziale di persone che si trovano a operare in circostanze ardue, pericolose e, a volte, inquietanti. Non c’è la classica “connessione” vittima-carnefice, anzi si assiste alla formazione di un legame nato sulle basi dell’ambiguità e di un oggettivo squilibrio di potere che si trasforma in qualcosa di più solido e vero.

Dall’altra parte si vede la rappresentazione del mondo palestinese non come un blocco monolitico che combatte il nemico ma come un caos di fazioni, una contro l’altra armate per motivi strategici, politici e financo religiosi. Si palesano, così, allo spettatore sfaccettature del conflitto israelo-palestinese sconosciute a molti, soprattutto a coloro i quali pontificano su questo argomento senza mai aver avuto cognizione diretta delle cose.

Ma ciò che maggiormente colpisce di Bethlehem è come Yuval Adler e Alì Waked non abbiamo voluto cedere allo stereotipo insopportabile della rappresentazione dei “buoni e dei cattivi” in modo netto, preferendo fare riferimento a quella zona grigia (in cui è impossibile distinguere il bene dal male con assoluta certezza) che caratterizza lo scontro israelo/palestinese nella sua realtà effettiva. Viene così fuori da questa pellicola non un giudizio politico (per fortuna) e neanche una presa di posizione ideologica (finalmente) ma un affresco umano di cospicuo spessore che serve a illuminare il dramma che vivono entrambi i popoli.

A livello filmico, Adler dimostra di saper gestire visivamente una storia dalla struttura non uniforme. Dialoghi intimi si alternano a scene d’azione militare, il paesaggio desertico a quello urbano, gli interni agli esterni, le case arabe e quelle israeliane, in un articolato mosaico espressivo che è sorprendentemente armonioso.

Il cast è principalmente impostato su attori non professionisti come il musicista israeliano Tsahi Halevy e il giornalista/cameraman palestinese Hitham Omari. Ma è doveroso citare anche Shadi Mar’i, Tarek Copti e Yossi Eini. Tutti (ognuno in modo personale) riescono a fornire totale credibilità ai loro personaggi e a comporre una controversa sinfonia di fattori umani.

© CultFrame 08/2013

TRAMA
Sanfur è un giovane palestinese che fa l’informatore per gli israeliani. Il suo agente di riferimento è Razi. Tra i due si stabilisce un rapporto quasi affettivo, pur nell’ambiguità della situazione. Il problema è che Sanfur è fratello di un terrorista che ha effettuato un sanguinoso attentato a Gerusalemme. La determinazione degli israeliani nel catturare il fratello di Sanfur fa da contro altare alle fazioni palestinesi in lotta tra loro. In mezzo, la figura fragile di Sanfur divisa tra la volontà di assicurare alla sua famiglia un po’ di tranquillità, grazie alla sua azione di spionaggio, e il desiderio di non tradire il fratello.


CREDITI

Titolo: Bethlehem / Regista: Yuval Adler / Sceneggiatura: Yuval Adler, Ali Waked / Fotografia: Yaron Scharf / Montaggio: Ron Omer / Musica: Ishai Adar / Scenografia: Yoav Sinai / Interpreti principali: Shadi Mar’i, Tsahi Halevy, Hitham Omari, Tarek Copti, Yossi Eini / Produzione: Israel Film Fund, Pier Films, Entre Chien et Loup, Gringo Films / Paese: Israele, Belgio, Germania, 2013 / Durata: 99′

SUL WEB
Filmografia di Yuval Adler
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

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