The Family and the Land. Mostra di Sally Mann

sally_mann-candy_cigaretteLe immagini decadenti di Sally Mann hanno il potere di rimanere vitali in una dimensione senza tempo, ci parlano di amore e morte con toni intimi, intrisi di nostalgia.
La retrospettiva alla Photographers’ Gallery è la prima mostra di questa artista in Gran Bretagna e l’occasione per esplorare il suo lavoro attraverso una selezione di opere significative. Mann si è resa famosa per le sue fotografie di grande formato con cui, in un bianco e nero sensuale e a tratti gotico, ha ritratto i suoi tre figli nell’ambiente rurale ed incontaminato della Virginia. Scattati nello spazio di dieci anni, i ritratti di questi fanciulli, nella loro nudità selvatica e asessuata, affrontano il tema dell’intimità tra madre e figlio e il rapporto tra i corpi e la natura, mediante un approccio idilliaco, vagamente vittoriano.
Quando fu esibito, questo lavoro suscitò reazioni controverse nel pubblico americano, specialmente in relazione alla nudità dei bambini, percepita come ambigua e troppo sensuale.
Nelle foto, composte accuratamente, la posa dei corpi rivela di certo una bellezza oscura, ma qui la sessualità tuttavia è ancora latente, un elemento di cui non si ha piena coscienza. I boschi e il fiume diventano, paesaggio surreale, selvaggio giardino dell’Eden, in cui la natura di volta in volta e amica o nemica, e l’innocenza può essere minacciata da apparizioni improvvise e inquietanti. Un idillio costantemente disturbato dalla possibilità di una morte non tanto fisica quanto metaforica, venato impercettibilmente dai primi cenni di quella confusione e insicurezza che l’inizio della pubertà porta sempre con sé.
Successivamente, Mann abbandona il mezzo fotografico contemporaneo per rivolgersi a metodi antichi, utilizzando, sulle orme dei pionieri della metà dell’Ottocento, una macchina fotografica ultracentenaria e lastre di collodio umido 8×10, per esplorare la natura selvaggia e misteriosa del profondo sud.

sally_mann-face_virginiaLa materia interagisce con il soggetto. Il supporto sensibile, durante l’esposizione, è ricettivo all’ambiente in cui è immerso. Vi si possono depositare polvere, insetti, o l’emulsione in eccesso può colare lungo la lastra. Un furgone, trasporta gli strumenti, ma funge anche da camera oscura portatile.
Esplorando i campi di battaglia della guerra civile americana, là dove un tempo centinaia di vite furono spezzate, l’artista va in cerca di tracce e ferite ancora fresche, riavvia la trama di racconti ormai perduti nell’intricato groviglio di radici, rami e fogliame.
Quello che emerge dal viaggio è ‘Deep South’, 65 scatti a metà tra documento e suggestione onirica, in cui le valenze da dagherrotipo concorrono alla creazione di un’immagine d’altri tempi, in cui aleggiano fantasmi.
La meditazione sulla morte, intesa come decadimento organico e fusione ultima tra corpo e natura, è enunciata dall’immagine suggestiva di un gruppo di mangrovie, che emergono da un banco di nebbia, quasi metafora di ossa contorte condannate all’oblio in fosse umide e remote.
La contemplazione del rapporto tra la morte e la terra, che inghiotte, trasforma, cancella, è il tema centrale di ‘What Remains’, un progetto singolare, ospitato nell’ultima sala del percorso espositivo londinese.
Mann si spinge oltre, e trasporta la sua attrezzatura vittoriana al Forensic Anthropology Centre dell’Università del Tennessee.
Qui, con approccio empirico e una curiosità scevra da macabri voyeurismi, l’artista punta l’obiettivo sui corpi lasciati, per scopi di ricerca scientifica, a decomporre nel bosco,
Quello che rimane è altro, ricorda pieghe di tessuto, bucce di agrumi, fili d’erba secca, e le orbite ormai vuote si dissolvono nel fango. La morte è catturata con dignità, e la bellezza spaventosa e inquietante dei corpi in disfacimento, accoccolati nella madre terra in un viluppo definitivo, viene osservata con sguardo discreto e pietoso. Inutile dire che anche questo progetto non ha avuto vita facile.

sally_mann-scarred_treeDal documentario di 80 minuti, girato da Steve Canton, che accompagna l’esposizione londinese, si evince che la ricezione di pubblico e galleristi è stata inizialmente ostile e diffidente, forse anche perché, in una società narcisista come quella odierna, in cui affrontare il tema della morte e del decadimento organico significa infrangere un tabù, la fascinazione gotca e provocante delle foto di Sally Mann solleva questioni scomode.
Dalla ineluttabilità della morte alle speranze della giovinezza, l’intensità dello scatto torna ad espandersi in un tempo rallentato e l’artista ritrova un dialogo con i figli, ormai grandi, nella serie di ritratti intitolata ‘Faces’.
La realizzazione di questi scatti ha obbligato i soggetti a lunghe sedute, con pose di almeno cinque minuti, fissandoli in una dimensione di reciprocità e scambio tra tempo e materia. I primi piani catturati dalla lastra mostrano volti eterei, intensi, che sembrano emergere da acque profonde, come l’affiorare di un ricordo.
E anche queste immagini sembrano riflettere quel paradosso enunciato da Barthes, la comprimaria assenza e presenza, nonché la doppia posizione di realtà e passato, del medesimo oggetto referenziale.

© CultFrame 09/2010


IMMAGINI

1 Sally Mann. Candy Cigarette, 1989, from Immediate Family. © Sally Mann. Courtesy Gagosian Gallery
2 Sally Mann. Virginia #42, 2004, from the series Faces. © Sally Mann. Courtesy Gagosian Gallery
3 Sally Mann. Scarred Tree, 1996, from the series Deep South. © Sally Mann. Courtesy Gagosian Gallery

INFORMAZIONI
Dall’8 giugno al 19 settembre 2010
The Photographers’ Gallery / 16 – 18 Ramillies Street, Londra / Telefono: +44(0)8452621618
Orario: martedì, mercoledì, sabato 11.00 – 18.00 / giovedì e venerdì 11.00 – 20.00 / domenica 12.00 – 18.00 / chiuso lunedì / Ingresso libero

LINK
The Photographers’ Gallery, Londra

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