Sguardi sulla vita, occhi-obiettivi che catturano la realtà, fotografi che misurano attraverso il visibile il grado di alienazione della società contemporanea; uomini “tecnologici” che grazie al prolungamento della loro vista, realizzato grazie a sistemi ottici, bloccano ora il passaggio di gente sconosciuta, ora l’inanimata e agghiacciante staticità di complessi architettonici futuribili.
Instant City è una mostra che ci obbliga a mettere in relazione la nostra sfera interiore con il mondo che ci circonda, con gli spazi che avvolgono la nostra quotidianità e con quel senso di straniamento che può cogliere tutti noi mentre camminiamo per le strade di una città.
Ecco dunque le immagini gelide e inquietanti di alcuni angoli della Tokio capitalistica, zone incredibilmente vuote. Thomas Struth sembra riuscire a cogliere l’assenza lì dove l’esistenza di milioni di soggetti è frenetica e tumultuosa. Ecco ancora le foto scattate Gabriele Basilico nel 1991 in una Beirut distrutta dalla guerra civile: palazzi diroccati e anonimi, macerie che invadono vie silenziose, una metropoli fantasma che appare sospesa nel nulla, in attesa di una fine imminente.
Ma ci sono anche i grattacieli immortalati da Keizo Kitajima, monòliti gelidi e fantascientifici che presidiano centri urbani angosciosamente immobili e sospesi in un “limbo” pieno di ricchezze, ma anche la Los Angeles e la NewYork di Philip Lorca diCorcia, grandi agglomerati di acciaio, asfalto e cemento in cui le persone si muovono come in uno stato di trance e rimangono bloccate nei loro “impossibili” movimenti come in quadro di Edward Hopper. E poi le terribili facciate dei palazzi della periferia milanese fotografate da Luca Andreoni e Antonio Fortugno che documentano il senso della perdita di ogni umanità dell’architettura popolare. Finestre, piccoli balconi, tutto si ripete uguale: ogni famiglia con il suo loculo, un immenso cimitero per esseri vivi costretti a portare avanti le loro giornate in una sorta di cimitero della felicità.
In fine, la povertà, la desolazione, il gelo visti attraverso l’obiettivo di Boris Mikhailov che proponendo immagini manipolate a livello cromatico ed a volte sezionate ci racconta la sofferenza e il degrado di luoghi come Khar’kov e Tokyoshybuia.
Istant City è dunque niente altro che un percorso nella degenerazione del mondo moderno, nella sua schizofrenia, nella sua dissociazione, patologia che annienta l’identità degli individui, sottraendo vitalità alle città e facendo emergere con assoluta chiarezza il ruolo decisivo proprio dell’uomo nel processo di disintegrazione del reale.
©CultFrame 03/2001
IMMAGINE
Philip Lorca diCorcia, Los Angeles, 1997
INFORMAZIONI
Instant City – Fotografia e metropoli
Dal 24 febbraio al 30 aprile 2001
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci
Viale Repubblica 277, Prato
Telefono 05745317
Orario tutti i giorni 10.00-19.00 (chiuso martedì)
Catalogo Baldini e Castoldi