What Do We See When We Look at The Sky ⋅ Un film di Aleksandre Koberidze

Presentato alla Berlinale 2021 (dove ha ricevuto il premio Firpresci della critica internazionale) e alla 57° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, il secondo lungometraggio del regista georgiano Aleksandre Koberidze era particolarmente atteso da chi aveva amato le oltre tre ore e venti del suo esordio, circolato nei festival europei con il titolo internazionale di Let the Summer Never Come Again (2017).

In quel caso le riprese erano realizzate con un vecchio cellulare che inquadrava con immagini spesso sgranate la storia d’amore tra due uomini nella Tbilisi contemporanea sullo sfondo di una guerra, commentata da una voice over femminile e introdotta da un’epigrafe in cui si leggeva: “Love has no end – a story always has. You will now see: a lovestory”. Per What Do We See When We Look at The Sky potrebbe valere il medesimo concetto, anche se la voce narrante è maschile e la coppia eterosessuale (o il quartetto) di protagonisti vive nella città di Kutaisi, filmata sia in digitale sia in pellicola 16mm e vera protagonista di un film calato in un’atmosfera magica e realista al contempo. In entrambe le opere è poi centrale un uso peculiare della musica, tra il magniloquente e il contrappuntistico, che precipita chi guarda in un universo tanto fantastico quanto stranamente familiare, come lo sono i brani scelti dall’autore e dal fratello musicista ma cuciti con scelte inattese e sorprendenti su immagini che la musica ci aiuta a vedere in modo diverso e più attento.

Un po’ come aveva fatto nel corto documentario del 2018 Linger on some pale blue dot (visionabile sul sito della Deutsche Film und Fernsehakademie di Berlino:, Koberidze ci introduce i suoi personaggi con una modalità quantomai enigmatica, inquadrandone solo gambe e scarpe. Inizialmente, vediamo infatti solo così i giovani Lisa e Giorgi incrociarsi per strada e innamorarsi a prima vista, galeotto un libro caduto di mano. I due non conoscono neanche i rispettivi nomi ma, dando per scontato di potersi riconoscere in volto, fissano per il giorno successivo un appuntamento che il malocchio contrasterà nel modo più diabolico: trasmutandone i connotati e le personalità in maniera tale che non riusciranno più a ritrovarsi. A un incrocio urbano, Lisa viene avvertita della maledizione imminente da una pianta che spunta dal selciato, da una camera di sorveglianza e dallo scarico di una grondaia ma un’automobile le impedirà di cogliere l’ammonimento portato dal vento. Pertanto, dal giorno dopo, lei non sarà più la ragazza che era, studentessa e farmacista, e lui non avrà più il suo aspetto e il suo talento di calciatore: sarà ancora possibile lo sbocciare di una qualche storia d’amore

Si è riassunto fin qui solo l’inizio di un congegno narrativo che può essere considerato un espediente per mostrare la vita che scorre nelle strade della terza città più popolosa della Georgia, i cani che le abitano come e più dei suoi abitanti umani, gli uni e gli altri animati da una passione totale per il calcio praticato da ragazzine e ragazzini di ogni età (scena culto la partitella con in colonna sonora Notti magiche di Nannini e Bennato) e seguito su ogni sorta di schermo in occasione dei Mondiali del 2018. Riferendosi al titolo di un libro recente di Stefano Cascavilla, Il dio degli incroci. Nessun luogo è senza genio (Exòrma, 2021), l’incrocio ha naturalmente a sua volta una forte valenza metaforica così come il calcio, moderna macchina mitopoietica che permette ancora di vivere giorni e notti “magiche”. Analogamente, il girare dal vero e con apparente spontaneità mette in primo piano tutto quel che di solito è lo sfondo di un’opera narrativa e vale come una dichiarazione di poetica. Ne risulta un racconto archetipico che porta però uno sguardo attento al presente e sa metterci in guardia sul disfarsi delle nostre relazioni con l’ambiente e con gli altri per immaginare un futuro non del tutto disperato anche se le traiettorie esistenziali che ci tocca intraprendere non sembrano lineari e teleologicamente indicate.

Inoltre, le citazioni da testi e leggende folkloriche si mescolano nel film di Koberidze a quelle di pellicole georgiane che è facile percepire come fondanti un immaginario anche se non sempre sarà possibile riconoscerle per chi non abbia visto le opere da cui provengono. Ma infine, palesando quest’altro suo filo poetico-narrativo e una logica neanche troppo nascosta del lavoro del regista di Tbilisi, nel finale di What Do We See When We Look at The Sky è proprio il cinema stesso a determinare lo sciogliersi dell’intreccio. D’altronde, cosa c’è di più magico e concreto di una pellicola cinematografica che cattura la luce (cioè quel che vediamo quando guardiamo il cielo)?

© CultFrame 06/2021

TRAMA
Lisa e Giorgi si incontrano per caso a un angolo di strada e si innamorano istantaneamente. Ma il fato ostacolerà il compimento del loro destino d’amore.

CREDITI
Titolo originale: რას ვხედავთ, როდესაც ცას ვუყურებთ? (Ras vkhedavt, rodesac cas vukurebt?) / Tiolo internazionale: What Do We See When We Look at The Sky / Regia: Aleksandre Koberidze / Sceneggiatura: Aleksandre Koberidze/ Montaggio: Aleksandre Koberidze / Fotografia: Faraz Fesharaki / Musica: Giorgi Koberidze / Interpreti: Giorgi Bochorishvili, Ani Karseladze, Oliko Barbakadze, Giorgi Ambroladze, Vakhtang Fanchulidze / Produzione: German Film- and Television Academy Berlin, New Matter Films, Sakdoc Film, Rundfunk Berlin-Brandenburg (rbb) / Paese: Germania-Georgia, 2021 / Distribuzione: / Durata: 150 minuti.

SUL WEB
Berlinale – Il sito
Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro
Filmografia di Aleksandre Koberidze

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