77° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ⋅ bilancio e premi

Leone d’oro al film “Nomadland” di Chloe Zhao – 77. Biennale Cinema di Venezia

Che festival è stato questa Mostra del Cinema 2020 condizionata dall’emergenza sanitaria globale? Poteva e doveva essere l’occasione di presentare al pubblico qualche nuova scoperta, liberandosi dagli obblighi del tappeto rosso e dai condizionamenti geopolitici delle major (quest’anno quasi assenti). Dopo anni di polemiche sulla parità di genere mai accettata come un criterio prevalente nella selezione dei film dal direttore Barbera, la Mostra 2020 si annunciava anche come un’edizione particolarmente ricca di autrici e personaggi femminili, e i premi finali hanno confermato queste premesse.

Ma Variety già critica Barbera perché nella giuria principale non c’era nessuno nero, aprendo così un nuovo fronte polemico in un anno che a seguito dell’omicidio razzista di George Floyd ha visto riemergere pubblicamente il movimento black lives matter. L’importanza di movimenti per la giustizia sociale non ha però nulla a che vedere con l’ipocrisia di quella sorta di nuovo codice Hays del diversity management che gli Academy Awards impongono da quest’anno a chi aspiri all’Oscar come miglior film prescrivendo quote riservate a varie minoranze nel casting, tra i personaggi e nelle figure professionali coinvolte a diversi livelli della lavorazione del film. Passi la discriminazione positiva a livello di figure professionali ma imporre anche personaggi, storie e immaginari?

In ogni caso, il verdetto della giuria della 77° Mostra, formata dalla presidente Cate Blanchett, Matt Dillon, Veronika Franz, Joanna Hogg, Nicola Lagioia, Christian Petzold e Ludivine Sagnier, ha premiato con il Leone d’oro Nomadland di Chloe Zhao, regista cinese trasferitasi negli Stati Uniti, con protagonista assoluta Frances McDormand che ne è anche la produttrice. Si tratta di un film costruito attorno alla sua attrice nel ruolo di una nomade per scelta, non una homeless ma una houseless come tiene a specificare distinguendo tra chi non riconosce alcun luogo come casa e chi invece, come lei, semplicemente non ha un tetto stabile sopra la testa. In realtà la donna vive nel suo furgone accessoriato con cui si sposta alla fine di ogni contratto di lavoro temporaneo che riesce ad ottenere. Quello mostrato dal film è un mondo di capannoni Amazon, di catene multinazionali, di immense autostrade desolate, lande desertiche e trailer park dove in molti sembrano tentare di non perdere la propria umanità scegliendo uno stile di vita nomade, dissidente rispetto agli imperativi capitalisti. Ma, anche se presente, la questione politica rimane in superficie e i nomadi autentici che la grande attrice incontra solo un utile fondale umano per la sua performance.

Nomadland è dunque in parte anche un’operazione che estrae valore e cioè volti, racconti, presenze da persone capaci di interrogare alla radice il modo in cui viviamo su questo pianeta. Sullo stesso tema si potrebbe rivedere Below Sea Level di Gianfranco Rosi, regista che quest’anno ha lasciato il Lido a mani vuote. L’amministratore delegato di Rai Cinema Paolo del Brocco ha addirittura diffuso un comunicato in cui ha espresso tutta la sua delusione perché i tre film in concorso coprodotti dall’azienda – Notturno di Rosi, Miss Marx di Susanna Nicchiarelli e Le sorelle Macaluso di Emma Dante – “non sono stati considerati come forse meritavano”. Il cinema italiano si è dovuto accontentare della coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Pierfrancesco Favino per Padrenostro o, meglio, per la sua carriera precedente dato che quest’ultimo ruolo non verrà certo ricordato tra i suoi maggiori. Viceversa, il Premio Marcello Mastroianni per un attore emergente è andato al giovanissimo iraniano Rouhollah Zamani per Khōrshīd – Sun children ottimo film per ragazzi sul lavoro minorile di Majid Majidi.

Vanessa Kirby, miglior interpretazione femminile, nel film “Pieces of a Woman” di Kornel Mandruczo – 77. Biennale Cinema di Venezia

Il riconoscimento per la migliore interpretazione femminile quest’anno non poteva che essere assegnato a Vanessa Kirby presente in ben due diverse opere selezionate anche se il premio le è stato attribuito per il Pieces of a woman di Kornel Mandruczo dove interpreta una madre che perde la figlia a pochi minuti dal parto. L’attrice ha tenuto però anche a ringraziare il team dell’altro film che la vedeva co-protagonista, The world to come di Mona Fastvold, storia d’amore tra due donne nel Nord America di fine Ottocento, che si è aggiudicato meritatamente il Queer Lion come miglior film a tematica LGBTQI+ in un anno in cui ben poche erano le opere forti su questo piano. Infatti, non perfettamente riusciti sono apparsi i due titoli presentati nelle Giornate degli autori, Saint Narcisse di Bruce La Bruce e Tengo miedo torero di Rodrigo Sepúlveda, ritratto dell’amicizia tra un militante comunista e un anziano travestito interpretato dal sempre grande Alfredo Castro che nel Cile di Pinochet diventa suo complice nella contestazione.

In un’edizione dove il tema della guerra è stata una presenza rilevante e trasversale in tutte le sezioni, una segnalazione meritano Guerra e pace di D’Anolfi e Parenti e La troisième guerre girato in Francia da Giovanni Aloi e visti in Orizzonti, il Leone d’argento per la miglior regia se l’è aggiudicato a coronamento di una vita dedicata al cinema il giapponese Kiyoshi Kurosawa per Supai no tsumaWife of a Spy. Il film ricostruisce una delle pagine più nere e ancora tabù della storia del Giappone, i crimini contro l’umanità perpetrati dell’esercito nipponico in Manciuria. E rievoca anche la bellezza del cinema di quegli anni, citando Kenji Mizoguchi e Sadao Yamanaka che rimase ucciso a neanche trent’anni proprio in Manciuria, affidando proprio al cinema a passo ridotto di cui il protagonista è un amatore un ruolo decisivo nel documentare e denunciare i crimini di guerra delle truppe imperiali.

Leone d’argento per la miglior regia a “Wife of a Spy” di Kiyoshi Kurosawa – 77. Biennale Cinema di Venezia

Un Premio speciale della giuria è andato poi a Dorogie tovarišči di Andrej Končalovskij, storia di come lo sciopero in una fabbrica di Novocherkassk nell’URSS di Breznev sia stato represso nel sangue, e a lungo segretato dalle autorità sovietiche. Il Gran premio della giuria se l’è portato a casa il provocatorio Nuevo orden di Michel Franco, film nichilista e sanguinario in cui un golpe antiborghese semina il panico in Messico con uccisioni, incarcerazioni di massa, stupri e torture prima di essere soffocato a sua volta da una repressione militare ad opera della stessa struttura di potere che si prefiggeva di eliminare.

Infine, il Premio Osella per la migliore sceneggiatura è andato a Chaitanya Tamhane per The Disciple film ipnotico che, attraverso la storia di un giovane musicista che cerca di farsi strada nella musica classica indiana di tradizione Ahwar, si interroga su quali spazi si possa ritagliare in un mondo retto dall’imperativo del primato chi non eccelle o non ha genio e non può vantare se non una grande forza di volontà e dedizione.

Nella sezione Orizzonti ha ricevuto il primo premio l’iraniano Ahmad Bahrami per Dashte KhamoushThe Wasteland, impietoso affresco sociale sulla dismissione di una fornace di mattoni filmato in bianco e nero con una serie di carrelli e piani sequenza ripetuti a imprigionare fatalmente il destino dei personaggi. La Miglior regia è risultata quella del già Leone d’oro Lav Diaz per Lahi, Hayop – Genus Pan, nuovo capitolo della sofferta meditazione dell’autore filippino sulla sopraffazione umana. Il Premio Speciale della giuria di Orizzonti e il Leone del Futuro per la migliore Opera prima sono andati a Listen di Ana Rocha de Sousa, dramma sociale e atto d’accusa sul sistema delle adozioni forzate in Gran Bretagna, con una famiglia portoghese a cui vengono tolti i figli. Un film sui ridottissimi margini di manovra degli umili. Una realtà su cui apre uno squarcio, meno pessimista, anche Nowhere Special di Uberto Pasolini, tornato alla regia dopo diversi anni per raccontare la storia di un ragazzo-padre malato terminale che non sa a chi affidare il figlioletto.

Con il Premio Giornate Degli Autori a Kitoboy di Philipp Yuryev e il Gran Premio Settimana Internazionale della Critica al turco Hayaletler – Ghosts di Azra Deniz Okyay, altri scenari di inquietudine e interrogazione del futuro si sono aperti a tutte le latitudini. Condizionato dallo spettro della pandemia, il Festival che si era aperto con Molecole di Andrea Segre, realizzato a Venezia durante il confinamento, ha visto aggirarsi lo stesso regista con una piccola troupe impegnata a documentare quest’edizione particolare della Mostra. Speriamo che nei prossimi anni di convivenza con il COVID19 non si torni a nessun sistema simile a quello raccontato nel film cinese Bu Zhi Bu Xiu – The Best Yet to Come di Jing Wang, co-prodotto da Jia Zhangke e passato in Orizzonti, per cui i malati o portatori sani dell’epatite B venivano fortemente discriminati in Cina fino al 2010. Nel suo piccolo, l’esperimento della moltiplicazione delle proiezioni e del sistema di prenotazioni informatizzato approntati per la Mostra 2020 può dirsi riuscito, evitando tra l’altro le lunghe code abituali nei grandi festival.

© CultFrame 09/2020

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