Tutti lo sanno ⋅ Un film di Asghar Farhadi

La famiglia è uno dei puzzle più difficili da realizzare. Tutti lo sanno. È composta da molti pezzi che riescono a combaciare solo quando si uniscono rendendo invisibili le fratture che per loro stessa natura possiedono. Quelle crepe, una volta nascoste, sono capaci di restituire un’immagine unitaria, bellissima. Ma sono sempre lì, e basta una leggera pressione per farle ricomparire, per far passare la luce e al contempo creare delle ombre. Per far riaffiorare il dramma. Asghar Farhadi sa bene quanto il mistero e il dubbio possano influenzare e danneggiare un delicato tessuto familiare. Sono temi centrali nella sua filmografia, e a confermarlo c’è anche il suo più recente lungometraggio, Tutti lo sanno, in concorso all’ultimo Festival di Cannes.

In un piccolo villaggio spagnolo, in cui tutti si conoscono da sempre, si sta per celebrare un matrimonio. Laura, nata e cresciuta qui, è lontana da tempo. Ha sposato un ricco argentino che l’ha portata via con sé, ma non può mancare alle nozze della sorella. Tutto, intorno a lei, è come è sempre stato: riconoscibile, rassicurante, familiare. Le persone si incontrano nella piazza, si parla urlando dal balcone, le porte delle case restano aperte, i bambini possono sfuggire alle mani dei genitori e correre dove vogliono. Non ci sono pericoli, imbarazzi o segreti. O almeno questa è l’apparenza.

Asghar Farhadi

La sua famiglia è una rete dalle maglie larghe: c’è posto per le sorelle, i loro mariti e i loro figli, ma anche per Paco, suo ex fidanzato e grande amore giovanile, proprietario di un terreno in precedenza ereditato da Laura. Tra loro c’è un legame che non si è mai dissolto. Tutti lo sanno, nessuno lo dice apertamente. Il matrimonio è l’occasione per riunirsi tutti in un momento di grande convivialità, ma l’atmosfera di gioia si infrange quando, durante la notte, mentre si continua a bere e a cantare, la figlia di Laura, Irene, scompare, vittima di un rapimento.

Questa frattura forte e improvvisa, proveniente dall’esterno, scatena reazioni diverse in ognuno dei protagonisti e Farhadi lascia che le esprimano, uno dopo l’altro. Li segue mentre la paura e la disperazione si trasformano in dubbi e timori, mentre la sicurezza nei confronti delle persone più fidate si dissolve rivelando i sospetti più cupi. Le crepe fino a quel momento nascoste, appena sotto la superficie, si manifestano in tutta la loro potenza: si (ri)comincia a litigare per questioni del passato mai risolte, per il denaro, per il diritto di sedere al tavolo della famiglia. Il rancore, come un veleno per il quale non esiste antidoto, allarga le faglie provocate da questa scossa inaspettata e smaschera la vera natura dei personaggi. Ognuno di loro ha qualcosa da recriminare, pretese da soddisfare, accuse da rivolgere. E poi c’è un segreto, che forse non lo è davvero, ad alimentare una ferita ancora aperta. A chi credere, dunque?

Asghar Farhadi

Farhadi non lo suggerisce, anzi, si guarda bene dal farlo. Tutte le motivazioni e i sospetti appaiono validi e comprensibili. Il regista lascia ai suoi protagonisti la libertà di raccontarsi attraverso i propri dubbi, e nel farlo concede altrettanta autonomia anche al suo pubblico. Mentre tutti i componenti della famiglia guardano e riguardano il video del matrimonio in cerca di un colpevole, Farhadi prende le distanze, come il drone che dall’alto (e da lontano) ha ripreso la festa di nozze. È presente, ma non si lascia coinvolgere, ed è una scelta che attribuisce forza ad una narrazione che si sostiene sul suo essere semplice e lineare. Non è necessario, infatti, aggiungere ulteriore tensione in un dramma capace di autoalimentarsi: le crepe si diramano tanto verso l’interno, quanto verso l’esterno. L’unione disfunzionale di questa (e di tutte) le famiglie coinvolge anche chi non ne fa parte, e permette alla sceneggiatura del regista iraniano di sfiorare altri temi, come l’influenza sul pensiero che l’appartenenza sociale e generazionale possono creare.

Una simile struttura narrativa, solida seppur imperfetta in alcuni tratti di lieve implausibilità, rifugge con forza dalla sua natura di melodramma (che la lingua e l’ambientazione spagnola potrebbero suggerire), e ad essa preferisce una sofisticata esplorazione psicologica, credibile per il suo naturale manifestarsi. Ecco perché i protagonisti di Farhadi appaiono ai nostri occhi come persone, invece che come personaggi. Ecco perché il suo cinema è così diretto e potente. Del resto, ormai, tutti dovrebbero saperlo.

© CultFrame 11/2018

TRAMA
In occasione del matrimonio della sorella, Laura torna con i figli nel proprio paese natale, nel cuore di un vigneto spagnolo. Ma alcuni avvenimenti inaspettati turberanno il suo soggiorno facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto.


CREDITI
Titolo: Tutti lo sanno / Titolo originale: Todos lo saben / Regia: Asghar Farhadi / Sceneggiatura: Asghar Farhadi / Montaggio: Hayedeh Safiyari / Fotografia: José Luis Alcaine / Musica: Javier Limón / Suono: Daniel Fontrodona, Gabriel Gutierrez, Bruno Tarriere / Scenografia: Clara Notari / Interpreti: Penélope Cruz, Javier Bardem, Ricardo Darin, Eduard Fernández, Bárbara Lennie, Inma Cuesta, Elvira Mínguez, Ramón Barea, Carla Campra, Sara Sálamo, Roger Casamajor, José Ángel Egido / Produzione: Memento Films Production, Morena Films, Lucky Red production, France 3 Cinéma, Untitled Films AIE, Rai Cinema / Paese: Spagna, Francia, Italia 2018 / Distribuzione: Lucky Red / Durata: 132 minuti.

SUL WEB
Sito italiano del film Tutti lo sanno di Asghar Farhadi
Filmografia di Asghar Farhadi
Lucky Red

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