Colossale sentimento ⋅ Un film di Fabrizio Ferraro

Cosa si prova a livello visivo quando il nostro sguardo si misura con un gigantesco gruppo scultoreo? Quali sensazioni scaturiscono dalla percezione soggettiva della relazione tra massa monumentale e ambiente? Cosa accade ai nostri sensi quando, improvvisamente, un’opera statuaria enorme inizia a spostarsi lentamente nello spazio verso un punto di arrivo che significa, di fatto, un “ritorno” a casa? Queste domande possono trovare una risposta dopo la visione del film di Fabrizio Ferraro intitolato Colossale sentimento.

Tale ennesimo, significativo, passaggio del percorso creativo di Ferraro potrebbe essere letto semplicemente come l’esito della documentazione di un’idea visionaria: spostare la grande opera barocca di Francesco Mochi, Battesimo di Cristo, da Palazzo Braschi alla Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini (ci troviamo ovviamente a Roma). Poche centinaia di metri per un trasporto, a tutti gli effetti eccezionale e molto complicato, che ha determinato il ricollocamento del capolavoro di Mochi nel sito per il quale era stato inizialmente concepito quattrocento anni fa.

Ebbene, se ci limitassimo a considerazioni critiche connesse esclusivamente all’impianto di tipo documentaristico, già comunque di notevole spessore, faremmo un torto enorme all’operazione intellettuale di Fabrizio Ferraro, il quale ancora una volta ha confermato la natura “altra” del suo cinema nello sterile panorama contemporaneo della settima arte.

Fabrizio Ferraro
Le immagini della procedura che ha portato le impressionanti statue di Francesco Mochi alla loro sede naturale hanno fatto emergere elementi che hanno a che fare con una dimensione che oltrepassa, fortunatamente, i limiti della lingua cinematografica. Il titolo, in tal senso, è emblematico, soprattutto per l’uso del termine “sentimento”. In questo caso, la parola in questione emerge inevitabilmente a causa dell’esperienza estetica generata dalla percezione dell’evento. E tale esperienza perturbante si ripete in modo nitido a ogni rinnovata visione del film. Ciò è determinato proprio dall’impostazione registica di Ferraro che, come ho già affermato in passato, è sempre “filmante” e mai vacuamente agganciata all’idea dominante e fuorviante della costruzione posticcia del “bello” (concetto a mio avviso defunto). Le sue inquadrature si formano nel corso dell’azione e si autorigenerano, miracolosamente, a ogni successiva fruizione. Il suo, dunque, non è un cinema “filmato” e non documenta qualcosa che è stato fatto ma manifesta l’evento inquadrato ogni volta come una nuova, reale e irripetibile, epifania.

Il lento, estenuante, tragitto che deve sostenere il Battesimo di Cristo verso il suo destino rappresenta nel contesto della narrazione visuale alla base del film una sorta di abbattimento della convenzione del tempo chronos e della storicizzazione dell’arte. Quattrocento anni di “fuga”, di assenza dal suo luogo, vengono annullati da un percorso (seppur molto ardito) probabilmente di poche ore, in una sorta di compressione spazio-temporale, di corto-circuito delle convenzioni umane, che annulla in un solo colpo la distinzione tra passato, presente e futuro.

Fabrizio Ferraro

Le immagini realizzate da Fabrizio Ferraro liberate dalle convenzioni della lingua cinematografica divengono territorio libero in cui è possibile avventurarsi soggettivamente. Non c’è mai compiacimento estetizzante nelle inquadrature di Colossale sentimento e neanche ossessione per la forma, meno che mai desiderio di spettacolarizzazione. E scompare fortunatamente l’idea stantia del racconto.

In questo lungometraggio, immagini assurde (che potremmo considerare quasi surreali) si configurano come esempi di un ideale ricollocamento dell’idea di cinema legata ai concetti, anch’essi forse ammuffiti, di arte e autorialità, nell’area di quella che potremmo definire “densità significante” dell’inquadratura, la quale si auto-comunica nel momento stesso in cui si palesa grazie allo sguardo del regista. Questo aspetto fa divenire il ritorno a casa del Battesimo di Cristo più che un’opera filmica da ammirare in senso tradizionale un’esperienza estetica da condividere nel nostro profondo. E Fabrizio Ferraro è uno dei pochi cineasti contemporanei capaci di innescare un processo in grado di affrancare il cinema dal prevedibile schema generato dal rapporto fatalmente asimmetrico tra autore e fruitore, consentendo allo spettatore di edificare il proprio autonomo spazio di visione e, dunque, di farsi parte attiva del processo filmico.

© CultFrame – Punto di Svista 01/2017

TRAMA
Il gruppo scultoreo barocco Battesimo di Cristo di Francesco Mochi non è mai stato collocato nello spazio per il quale era stato pensato: la Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma. Dopo quattrocento anni si decide così di riportarlo a casa, dalla sede dove era stato posizionato: Palazzo Braschi. Poche centinaia di metri percorse in una notte romana, grazie a una squadra di tecnici incredibili in un tragitto surreale e impressionante.


CREDITI

Titolo: Colossale sentimento / Testo, immagine, composizione: Fabrizio Ferraro / Soggetto: Simone Ferrari, Fabrizio Ferraro / Produzione: Fabio Parente, Marcello Fagiani, Marta Reggio per Boudu-Passepartot e Rai Cinema, Simone Ferrari / Distribuzione: Zomia – Malastradafilm / Origine: Italia / Anno: 2016 / Durata: 83 minuti

SUL WEB
Boudu

0 Shares: