La foresta dei sogni ⋅ Un film di Gus Van Sant

Esiste un posto “perfetto” per morire? Forse sì se chi ha deciso di togliersi la vita vuole addentrarsi in un luogo misterioso e imperscrutabile dove interrompere il suo cammino su questa terra. In Giappone, la fitta foresta di Aokigahara, ai piedi del Monte Fujii, accoglie l’ultimo desiderio degli aspiranti suicidi tra le fronde avvolgenti dei suoi alberi che, come in un mare verde (il titolo originale è, infatti, The Sea of Trees), vedono inabissarsi le esistenze. Un luogo reale, non nato dalla fantasia di uno scrittore o di uno sceneggiatore, all’interno del quale Gus Van Sant fa percorrere ai suoi personaggi un sentiero tortuoso di vita e di morte, in cui i ricordi si mescolano ai sogni e il reale, rarefatto, pare perdere i propri contorni.

Il regista americano si addentra, letteralmente, in un territorio narrativo estremamente rischioso ma affascinante. Come già in Gerry, egli colloca la storia in uno spazio che si fa, al tempo stesso, sfondo e personaggio, anche se qui sembra lontano dalla sublime vertigine visiva del film del 2002. Sembra, appunto, poiché Van Sant, quando esprime la sua idea di cinema meno “accessibile”, riesce a distaccarsi da quel rassicurante realismo e indagare il significato più profondo, nonché meno tangibile, della visione che nell’immagine fissa un senso, o meglio, “il” senso di un concetto, financo inesprimibile.

Il desiderio di morire di Arthur, incapace di sostenere il peso della dipartita di sua moglie Joan e il carico di un intimo senso di colpa, non è che un pretesto per disegnare, visivamente, la traiettoria del dolore. Per arrivare volontariamente alla sua fine, il protagonista attraversa mezzo mondo, e giunge, così, in una terra sconosciuta dove i principi fondanti, della vita e della morte, paiono mutare di valore e di segno.

Il punto di vista e, di conseguenza, lo sguardo sono allora destinati a spostarsi. Nella fitta vegetazione di Aokigahara, Arthur ricorda i momenti, più struggenti e tragici, della sua relazione con Joan e il pensiero di farla finita gli appare, con drammatica indeterminatezza, un sollievo e un gesto terrorizzante. Quando incontra Takumi, anch’egli in cerca della propria morte, il percorso dell’afflizione si fa condiviso ed è in questo punto – nodale – che l’equilibrio di Van Sant inizia a vacillare. Il regista, seguendo Arthur e il suo compagno, non soltanto dilata il tempo ma lo annulla collocando entrambi in una timeline in cui il ricordo e il sogno, il passato e il presente, si susseguono senza soluzione di continuità, lungo una linea orizzontale in cui si cancellano i confini tra il reale e l’immaginario, tra il corporeo e l’impalpabile. Ogni sequenza, allora, come una concatenazione di haiku, sembra sfidare la logica della realtà, con scarti spiazzanti, sovente poetici, che tuttavia (ci) confondono.

Nel tentativo di incrociare due culture lontanissime, confrontandone l’approccio alla morte, il regista fallisce nel suo, pur intrigante, intento e si intrappola in una narrazione che appare fin troppo disorientata, si sgretola in un finale che ha – purtroppo – dell’insostenibile e finisce, come i suoi protagonisti, per perdersi lungo quella strada, ardita e pericolosa, che ha deciso di imboccare.

Gus Van Sant

Ciononostante il film (al quale già da Cannes la critica internazionale aveva riservato numerose critiche, alcune delle quali di una ferocia comunque immeritata) ha il pregio di mostrare, specialmente nelle bellissime immagini in cui è evidente lo smarrimento – fisico e psicologico – dell’uomo nella (propria)Natura, tutta la potenza perturbante dell’esistenza che qui si esprime attraverso lo sfiorarsi dei due estremi, da Occidente ad Oriente, che celebrano non soltanto il valore della morte e dell’amore quando la possibilità dell’(in)finità di quest’ultimo. L’esperienza del dolore può convertirsi, allora, in un passaggio di sopravvivenza, in una mutazione di condizione che sublima la sofferenza in una, nuova quanto inaspettata, consapevolezza.

Pur nei suoi evidenti limiti La foresta dei sogni conserva il suo fascino immaginifico e più che essere un film “sbagliato” è piuttosto asincrono tra ciò che mostra e ciò che narra, non arrivando a raggiungere, nello svolgimento delle due azioni, uguale intensità e suggestione. Quel che resta è un’eco, in lontananza, di un grido potente che non riesce a coprire la distanza tra l’uomo di fronte al mistero e il suo espediente (ultra)terreno.

© CultFrame 04/2016

TRAMA
Arthur ha appena perso la moglie Joan e decide di farla finita in un posto lontano e carico di leggenda: nella foresta di Aokigahara, in Giappone. In questo vasto e inquietante mare di verde l’uomo incontra Takumi che, come lui, sembra aver smarrito qualsiasi strada. Incapace di abbandonarlo, Arthur resta con lui e impiega fino all’ultima riserva di energia per salvarlo. Il cammino dei due si rivelerà non solo un percorso di sopravvivenza ma di riscoperta: della vita, della morte e dell’amore.


CREDITI
Titolo: La foresta dei sogni / Titolo originale: The Sea of Trees / Regia: Gus Van Sant / Sceneggiatura: Chris Sparling / Fotografia: Kasper Tuxen / Montaggio: Piero Scalia / Musica: Chris Douridas / Interpreti: Matthew McConaughey, Naomi Watts, Ken Watanabe / Produzione: Bloom, Waypoint Entertainment, Netter Production / Distribuzione: Lucky Red / Usa, 2016 / Durata: 110 minuti

SUL WEB
Sito italiano del film La foresta dei sogni di Gus Van Sant
Filmografia di Gus Van Sant
Lucky Red

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