Viaggio a Tokyo ⋅ Un film di Yasujiro Ozu

Nel clima torrido dell’estate 2015 la Tucker Film riporta quella ventata d’aria pura del capolavoro riproponendo sul grande schermo sei film del maestro Yasujiro Ozu, restaurati e digitalizzati dalla storica major che ha prodotto i suoi film: la Shochiku. Un’occasione per (ri)vedere dei veri e propri gioielli del cinema che, a distanza di anni, hanno mantenuta intatta la loro fulgida bellezza.

Tra i titoli che la società friulana presenta c’è anche quello tra i più celebri e amati del regista giapponese, Viaggio a Tokyo, risultato essere, da un recente sondaggio che la rivista Sight & Sound ha compiuto tra 358 registi di tutto il mondo, il più bel film della storia del cinema. Di fatto la più famosa del maestro nipponico, la pellicola del 1953 è un esempio di rara perfezione. Vera e propria opera di cesello visivo, racchiude in sé la raffinata bellezza delle immagini e la leggiadria narrativa che sono il tratto distintivo ed inimitabile di Ozu.

Una personalità peculiare quella del regista di Tokyo; riservato e discreto ha condotto una vita lontana dai riflettori e dai clamori, senza mai lasciare la casa materna e senza mai cambiare compagnia cinematografica, lavorando sempre per la Shochiku. Pur essendo un genio amava definirsi un “semplice venditore di tofu” e si spense, nella sua città natale, il 12 dicembre del 1963, il giorno del suo sessantesimo compleanno. La sua attività registica, iniziata nel 1927, spazia, nei primi anni, attraverso differenti generi cinematografici, dal grottesco alla commedia sociale, per poi concentrarsi, dagli anni Trenta, prevalentemente sugli shomingeki, ovvero i “film sulla gente comune” le cui tematiche vertevano sulla famiglia e sul rapporto tra genitori e figli.

Viaggio a Tokyo ne è un esempio sublime. Racconta la storia di due anziani coniugi che si recano nella città del titolo per far visita ai figli, ormai adulti e sposati. Nel ritrovarli, ciascuno di loro impegnato nella gestione del lavoro e della propria famiglia, i genitori si rendono ben presto conto che quel legame che li teneva uniti alla prole si è inevitabilmente trasformato e quel senso profondo di unità parentale si è andato via via disgregando.

Ozu, nel narrare il viaggio di Hirayama e della sua consorte Tomi, ci accompagna letteralmente nel loro percorso. Seguendo i suoi protagonisti, li incastona, inquadratura dopo inquadratura, in quello spazio intangibile della presa di coscienza in cui la distanza geografica si fa distanza emotiva e sembra dilatare il tempo e i sentimenti in un progressivo allontanamento tra l’anziana coppia e i loro figli.

Mantenendo un equilibrio delicatissimo nel raccontare un piccolo, grande dramma privato, il regista giapponese è in grado di evocare suggestioni profondissime attraverso la semplicità cristallina del quotidiano e fare di Viaggio a Tokyo un affresco universale e senza tempo affine ad un tocco shakespeariano.

Come tutti i film del grande regista anche questo si rivela una vera e propria esperienza visuale. La costruzione dell’immagine, composita e perfetta, è il cuore pulsante dell’opera. Dai dettagli in primo piano agli sfondi, Ozu mette in scena l’esistenza umana con tutto il suo carico di oggetti, scorci, panorami… Posizionando la macchina da presa in basso egli è in grado di catturare la realtà – fisica ed emozionale – dello spazio, sempre e comunque brulicante di vita, pur nel silenzio di una scena o di una (apparente) mancanza di azione. I suoi personaggi si muovono come in un proscenio e nei gesti e nei dialoghi tracciano una parabola narrativa che salda alla perfezione il suono (della parola, dell’ambiente) con la dimensione spazio temporale in un coninuum di straordinaria armonia.

Asciugando letteralmente il suo sguardo, Ozu, dagli anni Quaranta è andato sempre più “sottraendo” elementi al linguaggio cinematografico eliminando ogni espediente tecnico per restituire al nostro (e al suo) occhio un’immagine ancor più pura e stilizzata, svuotata dal “metodo” e catturata nell’essenza delle linee spaziali e nella reale profondità di campo raggiunta grazie alla macchina da presa spesso collocata in uno spazio vicino a quello occupato dai protagonisti. In Viaggio a Tokyo, infatti, l’azione che si svolge negli interni della case rivela una rigorosa quanto affascinante geometria della messa in scena, sottolineando il percorso emotivo dei personaggi.

L’esperienza dei due coniugi, la loro delusione e la dolorosa amarezza di un’armonia familiare ormai perduta viene sublimata, grazie alla sensibilità narrativa di Ozu, in un dramma rarefatto del non detto. Ogni azione si svolge secondo un rituale di formale leggiadria che, anche celando dolore o disincanto, meschinità o indifferenza, fa implodere ogni tormento. Ed è anche in questo che il sublime equilibrio di questo film si dispiega, rivelando senza rivelare, seminando piccole ma significative tracce di dolore pur lasciando quest’ultimo in un altrove. La morte di Tomi, infatti, non viene mai mostrata e molti degli accadimenti, non soltanto luttuosi, vengono solamente raccontati o intuiti a dimostrazione che il cinema di Ozu non si limita a “rappresentare” un fatto ma da esso ne distilla sapientemente ciò che è realmente importante, ovvero il modo in cui esso è o sarà esperito.

La mirabile armonia di Viaggio a Tokyo è raggiunta anche attraverso gli sojikei, ovvero i gesti compiuti all’unisono dai protagonisti o il loro assumere le medesime posizioni che ne rivelano le relazioni profonde e quasi simbiotiche come nel caso della coppia di genitori, uniti da una corrispondenza affettiva che ne fa quasi un unico soggetto.

Un’esperienza visuale, dicevamo, poiché un film genera incanto ad iniziare dallo sguardo e dal modo in cui esso si posa su un reale che si converte in un’autentica e unica avventura emotiva che solo le grandi opere d’arte sanno realizzare. Con Viaggio a Tokyo si torna così a (ri)guardare l’immagine e a lasciarsi sedurre dalla sua purezza. Per ricordarci cosa è – e come è – il grande cinema.

© CultFrame 07/2015

 

TRAMA
Due anziani coniugi si spostano per la prima volta dalla città di Onomichi alla volta di Tokyo dove vivono i figli. Solo la minore, che vive ancora con loro, resterà a casa ad attenderli. Giunta a destinazione la coppia si rende ben presto conto che i figli, uno è un medico e l’altra parrucchiera, sono molto presi dalle loro vite e hanno poco tempo da dedicare ai genitori. Solo la nuora Noriko, vedova di un altro figlio morto in guerra, si rivela amorevole e attenta nei confronti dei suoceri. Durante un soggiorno alle terme, pagato dai figli per tenerli occupati e lontani qualche giorno, la coppia, evidentemente a disagio in un ambiente al quale non riesce ad adattarsi, decide di ritornare a casa. Dopo poco la madre muore e i figli si recano ad Onomichi. L’anziano padre si rassegnerà ad un destino di solitudine e avrà di nuovo la conferma che solo la nuora, in quegli ultimi giorni, ha saputo dare a lui e a sua moglie l’affetto sincero della famiglia.


CREDITI

Titolo: Viaggio a Tokyo / Titolo originale: Tokyo monogatari / Regia: Yasujiro Ozu / Sceneggiatura: Nada Kogo, Yasujiro Ozu / Montaggio: Hamamura Yoshiyasu / Scenografia: Hamada Tatsuo / Musica: Saito Kojun / Interpreti: Ryu Chishu, Higashiyama Chieko, Hara Setsuko, Sugimura Haruko, Nakamura Nobuo / Giappone, 1953 / Produzione: Shochiku / Durata: 136 minuti

SUL WEB
Filmografia di Yasujiro Ozu

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