I migliori scatti del 2014: le discutibili scelte della Reuters

ReutersMi occupo di etica e deontologia nell’ambito del fotogiornalismo ormai da molti anni. Così come mi sono spesso concentrato sulle storture determinate dai premi fotogiornalistici, a cominciare dal World Press Photo (anche se nell’ultima edizione qualcosa è cambiato). Le mie opinioni sulla spettacolarizzazione del dolore altrui, sulla pornografia della sofferenza umana, sullo sguardo colonialista di alcuni fotogiornalisti (non molti per fortuna) hanno sempre fatto scaturire dibattiti molto accesi e provocato polemiche.

In un periodo in cui tutti i giornalisti iscritti all’Ordine Nazionale (compreso chi scrive) sono chiamati a svolgere formazione continua per legge (bisognerebbe poi capire se abbia senso o no tale obbligo), in special modo per quel che riguarda la deontologia della professione, quando in ambito fotogiornalistico si tira in ballo la parola deontologia molti si irritano, altri fanno gli indifferenti, alcuni reagiscono con uno scomposto sarcasmo. Che dire poi di coloro i quali sostengono che il compito del fotogiornalista sia quello di fotografare sempre e comunque qualunque essere umano in qualunque situazione si trovi? E che dire, ancora, di quelli che affermano che un fotogiornalista debba fotografare qualunque cosa, altrimenti cadrebbe nell’autocensura?

Evidentemente quando si affronta il tema della deontologia nel fotogiornalismo si tocca un nervo scoperto, un problema vero, si va a mettere in discussione una pratica che sembra intoccabile e non criticabile. E perché sia intoccabile e non criticabile, proprio non lo si riesce a comprendere. Il discorso sarebbe troppo lungo e chiama in causa il mercato dell’editoria, le agenzie e la questione della professionalità nella pratica fotogiornalistica. Così, in questo post mi limiterò a farvi alcune segnalazioni per invitarvi a riflettere su un solo aspetto particolare: il modo in cui le agenzie di stampa finiscono per generare modelli di fotografia contestabili.

Ebbene, mi sono imbattuto nella pagina del sito della nota e prestigiosa agenzia Reuters intitolata: Best Photos of the Years 2014. Con molta curiosità e interesse professionale mi sono così concentrato nella visione della slide che veniva proposta al navigatore. Cinquantasette immagini realizzate per lo più nei luoghi maggiormente difficili e tesi del pianeta, ma non solo. Lo scorrere delle immagini ha confermato purtroppo ciò che sostengo da tempo, ma come se non bastasse mi sono soffermato anche su alcune fotografie del tutto innocue (a dire il vero) ma il cui senso, anche fotografico, si fatica a rintracciare.

Faccio alcuni esempi. I primi tre, sul problema della spettacolarizzazione della violenza e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

Bangui, Repubblica centrafricana. Un soldato impugna un coltello e infierisce selvaggiamente sul corpo inerte e insanguinato di una persona (probabilmente deceduta) seminuda e adagiata per terra. Kabul, Afghanistan. Un individuo punta la pistola (dall’alto verso il basso) verso quello che sembra essere un cadavere. Mogadiscio, Somalia. Tre uomini legati a dei pali e incappucciati sono in attesa della loro esecuzione capitale davanti a un plotone militare.

Non voglio giudicare gli autori delle immagini, vorrei solo capire però perché questi scatti siano stati inseriti nella lista dei migliori dell’anno che sta passando. In particolar modo, mi colpisce la terribile efferatezza della prima immagine nella quale viene mostrato niente altro che un vergognoso vilipendio di cadavere. Quale imprescindibile informazione comunicherebbe questa fotografia?

Proseguiamo con il capitolo che potremmo definire “scatti superflui”, anche questi inseriti nei migliori del 2014.

Kamloops, Canada. Due suore (ma forse sono solo due donne vestite da religiose) sedute tra il pubblico di un incontro di curling bevono una birra. Carlsbad, Usa. Un modello di aereo telecomandato a forma di strega solca il cielo durante una notte di luna piena. Ora l’immagine più “inquietante” e “spettacolare”. Lima. Perù. Una giovane corista vomita (sì, avete capito bene… vomita) davanti al pubblico, e tra i suoi giovanissimi colleghi, durante un concerto.

Alla fine di questo catalogo a mio avviso molto discutibile di immagini fotografiche, il problema che io voglio porre non riguarda gli scatti e neanche gli autori. In fin dei conti, i fotografi hanno tentato di fare il loro mestiere. Ciò su cui vorrei discutere è come mai un’agenzia come la Reuters abbia inserito queste fotografie tra le migliori del 2014. Quali sono i fondamentali motivi giornalistici, comunicativi ed estetici che hanno portato a questa scelta? E perché si dà così tanta visibilità a questi modelli di fotografia? A voi l’ardua risposta.

© CultFrame – Punto di Svista 12/2014
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)


SUL WEB
Reuters. Best Photos of the Year 2014
Reuters

 

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