Everything we see could be something else. Mostra dell’artista francese Laurent Montaron a Roma

© Laurent Montaron, Everything we see could be something else, 2014. Inkjet print on rag cotton, 119,5 x 142,5 cm. Courtesy: the artist, Galerie Schleicher/Lange and Monitor, Rome
© Laurent Montaron. Nature of the Self, 2014. Still from the video, 1:1.85, 17' 50''. Courtesy: the artist, Galerie Schleicher/Lange and Monitor, Rome
© Laurent Montaron. Nature of the Self, 2014. Still from the video, 1:1.85, 17′ 50”. Courtesy: the artist, Galerie Schleicher/Lange and Monitor, Rome

“Il confine del mio linguaggio è il confine del mio mondo”. Questa frase, l’ultima in ordine cronologico che si ascolta dalla voce narrante all’interno del film Nature of the Self in anteprima italiana nella galleria Monitor di Roma fino al 10 maggio 2014, riassume l’indagine, la posizione e la cifra stilistica di Laurent Montaron. Ma attenzione, questa dichiarazione non riguarda solo l’esperienza dell’autore francese, essa investe e coinvolge in maniera diretta ognuno di noi, coscienti o meno di questa radicale evidenza. La consapevolezza che i confini del nostro sguardo sul mondo siano circoscritti all’interno del limite con cui possiamo esprimerli ha un valore non solo filosofico, ma anche, e soprattutto, pratico: come, per esempio, nelle attività di rappresentazione con cui diamo immagine a ciò che ci circonda.

Le scene di Nature of the Self si susseguono senza un’apparente coesione tra di loro, sembrano non raccontarci nulla: uno speleologo si inoltra, a volte con difficoltà, in un cunicolo sotterraneo; un chimico lavora alla realizzazione di uno specchio; dell’acqua limpida e fresca scorre in un ruscello; due bimbe inseriscono insetti al posto delle pellicole contenute nei telaietti porta-diapositive per poi proiettarli come materia; delle dita agiscono su delle manopole e da quel momento in poi si ascolta un sottofondo musicale; una casa immersa in un bosco e gli alberi che ne fanno parte appaiono, nella loro consistenza, a seconda della variazione della luce che li colpisce.

Queste immagini, poeticamente metaforiche, sembrano suggerirci che pur con tutti i tentativi con cui indaghiamo il mondo e noi stessi, e con il continuo sviluppo dei nostri linguaggi che ne delimitano i contorni e le forme, quello che osserviamo e descriviamo nel flusso continuo dell’esistenza “potrebbe essere qualcosa d’altro”. La figura dello speleologo è emblematica: assume le caratteristiche dell’essere umano che si inoltra nel cunicolo stretto e incerto della conoscenza e con l’aiuto della lampada, la conoscenza stessa, che a volte si spegne e va sempre riaccesa, si fa luce nel buio dell’ignoto; o come, attraverso le più piccole variazioni della luce e del suono, ci immergiamo nella materia del mondo a saggiarne le presunte consistenze.

Il film realizzato nel 2013, mentre l’artista era ospite in residenza a Villa Medici (presso l’Accademia di Francia a Roma), è in mostra insieme ad altre tre opere, tutte in stretta relazione con l’oggetto filmico: due fotografie. In ambedue è ritratto uno strumento tecnologico per la produzione di suoni, un sintetizzatore degli anni ‘70, il quale ha la particolarità di poter essere chiuso a valigetta.

© Laurent Montaron, Everything we see could be something else, 2014. Inkjet print on rag cotton, 119,5 x 142,5 cm. Courtesy: the artist, Galerie Schleicher/Lange and Monitor, Rome
© Laurent Montaron, Everything we see could be something else, 2014. Inkjet print on rag cotton, 119,5 x 142,5 cm. Courtesy: the artist, Galerie Schleicher/Lange and Monitor, Rome

In una dal titolo Everything we see could be something else, se ne osserva la parte inferiore dove è posizionata una tastiera, nell’altra, quella superiore, intitolata Everything we can describe could be something else, sono collocati manopole e cavi per la modulazione dei suoni e, in entrambi, le mani di Montaron in azione sono ritratte con delle multi esposizioni (le stesse che appaiono nel film e nel quale, agendo sulle manopole del sintetizzatore, avviano un sottofondo musicale con un bordone su cui poggiano piccole variazioni tonali).

La terza opera, How can one hide from that which never sets? è uno specchio, realizzato dallo stesso autore con un processo simile a quello dello sviluppo di un’immagine fotografica (anche questo procedimento appare in Nature of the Self). Lo stesso è posizionato in maniera obliqua all’interno di una vetrina, in modo che nel momento in cui ci si specchia, di solito frontalmente, non rimanda l’immagine di ciò che gli è davanti  (la nostra immagine riflessa) bensì di quello che ci è a fianco. Un ulteriore elemento è dato da una lampada al neon che si intravede in alto attraverso la superficie dello specchio, a rammentarci, con un estremo capovolgimento di fronte, del mito della caverna di Platone, in cui ciò che ci sembra di vedere, in realtà, sono solo delle ombre proiettate.

La posizione speculativa e metodologica di Montaron ci ricorda come momento per momento siamo immersi nel fluido scorrere del divenire, anche in tutte quelle attività e gesti quotidiani che riteniamo ripetitive e banali.

Laurent Montaron nasce a Verneuil-sur-Avre nel 1972, vive e lavora a Parigi.  Alcune sue recenti esposizioni: You imagine what you desire, Biennale di Sidney, 2014; Esosizione Internazionale d’Arte – Il Palazzo Enciclopedico – Biennale di Venezia, 2013; Prospectif Cinéma: Laurent Montaron, Centre Pompidou, Parigi, 2013.

© CultFrame – Punto di Svista 04/2014


INFORMAZIONI

Laurent Montaron. Everything we see could be something else
Dal 27 febbraio al 10 maggio 2014
Galleria MONITOR, Via Sforza Cesarini 43/44, Roma / Tel. 06.39378024 / monitor@monitoronline.org
Orario: martedì – sabato 13.00 – 19. 00 / ingresso libero

SUL WEB
Galleria MONITOR, Roma
Biennale of Sydney – Laurent Montaron

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