63° Berlinale ⋅ Festival Internazionale del Cinema di Berlino ⋅ I premi

Frame dal film Child’s Pose di Calin Peter Netzer. © Cos Aelenei

La foto di gruppo con cui si conclude la Berlinale 2013 incornicia una eterogenea compagine di premiati e membri della giuria; e fa un certo effetto vedere fianco a fianco figure del calibro di Claude Lanzmann, Wong Kar Wai, Shirin Neshat, Tim Robbins, Denis Tanovic e la rivelazione di questo festival, il regista rumeno Calin Peter Netzer. L’orso d’oro per il miglior film è stato infatti attribuito meritatamente al suo Child’s Pose, tre anni dopo il Premio speciale della Giuria e l’Alfred Bauer al connazionale Florin Serban, per If I Want to Whistle, I Whistle e le affermazioni recenti di Cristian Mungiu a Cannes. Netzer è un autore già noto ai frequentatori di festival europei per il suo Maria (2003) che vinse diversi premi a Locarno e per Medalia de onoare (2009), premiato al 27° Torino Film Festival. Il discorso di ringraziamento pronunciato dalla combattiva produttrice di Child’s pose ha denunciato la censura commerciale che colpisce il cinema d’autore ringraziando invece la Berlinale per la sua capacità di avvicinare il pubblico a un discorso cinematografico di qualità. Un altro ringraziamento è stato rivolto all’attrice protagonista Luminita Gheorghiu, che del film è effettivamente la colonna portante.

La giuria ha riconosciuto a Pardé (Closed Curtains)  di Jafar Panahi e Kamboziya Partovi il premio per la miglior sceneggiatura, ritirato naturalmente dal solo Partovi, essendo Panahi sempre impossibilitato a lasciare l’Iran per la condanna inflittagli da quel regime.

Il gran premio della giuria è stato consegnato a Denis Tanovic per An Episode in the Life of an Iron Picker, drammatica storia di discriminazione e abbandono di una famiglia rom in Bosnia-Herzegovina, tra l’altro ispirata a fatti realmente vissuti dagli interpreti. Il regista ha dichiarato in conferenza stampa che il miglior complimento è stato quello di chi gli ha detto che dopo aver visto il suo film non avrebbe più guardato i rom nello stesso modo e ha inoltre affermato che il suo cinema, e in particolare questo piccolo grande film, si ispira a Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. È da segnalare inoltre, che il protagonista Nazif Mujić, che non è un professionista, ha ricevuto l’orso per la migliore interpretazione maschile.

In un anno in cui il Concorso annoverava numerose pellicole incentrate su potenti personaggi femminili (per esempio la Camille Claudel interpretata da Juliette Binoche e l’intero cast de La religieuse), non deve essere stato facile decidere a chi attribuire il riconoscimento per la migliore interprete. L’ha spuntata alla fine Paulina García per Gloria del cileno Sebastián Lelio che racconta la storia di una donna alle prese con la crisi di mezza età e con i fantasmi del suo passato nel Cile d’oggi. Il film è stato acquisito da Lucky Red e uscirà perciò nelle sale italiane.

Per la migliore regia è stato premiato lo statunitense David Gordon Green per Prince Avalanche, un remake dell’islandese Either way, vincitore nel 2011 del Torino Film Festival, che racconta la storia scarna di due uomini impegnati a rifare la segnaletica orizzontale di una sperdutissima strada statale. Trasferendo l’azione dalle lande islandesi alle foreste del Texas ferite dagli incendi, Prince Avalanche è un’operazione di vestizione musicale, narrativa e visuale, che pur costituendo un vero e proprio calco dell’originale, vi aggiunge colori, dettagli e una nuova prospettiva ambientalista.

Il cinema americano appare sempre più preoccupato per le questioni ambientali, come dimostra anche Promised Land di Gus van Sant che ha ricevuto una menzione speciale per l’integrità del suo messaggio politico-sociale insieme al thriller sudafricano Layla Fourie di Pia Marais.

Il premio per il migliore contributo artistico in ambito tecnico è andato ad Aziz Zhambakiyev, direttore della fotografia del kazaco Harmony Lessons di Emir Baigazin mentre il premio Alfred Bauer per un lavoro particolarmente innovativo è stato aggiudicato dal regista canadese Denis Côté per Vic + Flo ont vu un ours. Quest’anno, anche il Teddy Bear consegnato ogni anno per il miglior film a tematiche GLBTQ è stato attribuito a un film del Concorso, l’apprezzato In the Name of… di Malgoska Szumowska. Teddy per il miglior documentario a Bambi di Sébastien Lifshitz, che ripercorre la vita di Marie-Pierre Pruvot, artista transessuale, dall’infanzia in Algeria al palcoscenico del Carrousel de Paris, fino ai trent’anni trascorsi come insegnante di lettere.

In conclusione, il programma messo insieme da un più volte discusso Dieter Kosslick e dai suoi collaboratori è riuscito a presentare opere provenienti da tutto il mondo, realizzate con linguaggi e mezzi diversi, da autori riconosciuti e da esordienti, degne in molti casi dell’interesse di critici e appassionati e di approdare anche sugli schermi italiani, troppo poco accoglienti nei confronti di pellicole che raccontano le diverse sfaccettature del nostro tempo in paesi vicini e lontani dal nostro. Bisogna inoltre sottolineare che la Berlinale ha offerto anche quest’anno un’ottima selezione di film documentari e non nella sezione Panorama, da cui sicuramente attingeranno, almeno si spera, i festival nostrani durante tutto il 2013.

© CultFrame 02/2013

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