Schermi del desiderio ⋅ Intervista alla regista Erika Lust

intervista alla regista Erika Lust
Erika Lust. © Lust Films

Gettando uno sguardo a ritroso, appena oltre le nostre spalle, verso il cinema che ci ha accompagnato dagli anni ’90, possiamo vedere con chiarezza un proliferare di corpi, di carne in conflitto, di scissioni tra pulsioni erotiche, desideri e identità. Dalle tematiche virali legate al contagio e alle identità mutanti degli anni ’80 di Cronenberg – forse l’autore la cui poetica ha analizzato con maggiore rigore e pervicacia il tema del corpo e del sesso – alla diffusione capillare dell’hardcore grazie all’industria dell’home vide, passando attraverso il post-human e la body art degli anni ’90, nonché il cosiddetto Post Porno, movimento ideato da Annie Sprinkle con il dichiarato intento politico di dare visibilità e dignità estetica a tutte quelle subculture marginalizzate che sino ad  allora non hanno avuto dignità di rappresentazione.

E’ interessante rilevare come esistano due macrotendenze, in qualche modo opposte e speculari, che raccontano il desiderio e il corpo: da una parte autori che rilevano lo scollamento inesorabile tra il corpo privato, intimo e quello sociale – collettivo, che fotografano la disfatta di una società capitalistica i cui ultimi fuochi brillano sordi sulle macerie delle grandi utopie storiche del Novecento e la resa di un individuo schiacciato tra tensioni primarie e costrutti sociali sempre più labili. E’ il caso di autori come Steve McQueen, che con gli ultimi due capitoli Shame e Hunger, dedicato a Bobby Sands – corpi differenti ma desideranti e martirizzati – produce un dittico esemplare sul conflitto della carne, o ancora Cosmopolis, sempre di Cronenberg, che nella infinita stratificazione delle tematiche affrontate, non manca di riprendere il discorso chiave sul corpo e sul potere, spostando ancora più in là l’orizzonte raggelato di un’umanità definitivamente asservita a una dittatura tecno-economica completamente fluida e che sembra aggrapparsi disperatamente a ciò che rimane del corpo, un attimo prima della dissoluzione.

Ad una prospettiva nichilista si oppone una tendenza invece assertiva, nella quale, in una certa misura, si può inscrivere il cinema di Erika Lust. Nata a Stoccolma nel 1977 e poi trasferitasi a Barcellona, in seguito agli studi in scienze politiche, Erika Hallqvist è una regista, autrice e produttrice hard core che sceglie di scardinare i cliché del cinema porno tradizionale per modellarlo su una visione post-femminista, dove il desiderio, la soggettività dell’individuo che rivendica l’atto erotico-amoroso e la stessa cornice estetica nel quale tutti questi elementi convergono sono completamente rivoluzionati. Se, a tutti gli effetti, Lust sposa l’idea di un cinema per adulti – adult indie, come lei stessa lo definisce – c’è una profonda differenza tra le sue visioni e quelle della pornografia tradizionale, nella quale ogni singolo elemento è perfettamente classificato e categorizzato come in un prontuario, massimalizzando l’idea di mercificazione non solo dei corpi rappresentati, ma anche del prodotto filmico, funzionale al raggiungimento di un risultato alla portata di chiunque ed eternamente replicabile. Quest’idea della coazione a ripetere, meccanica, che è il carattere fondante del porno, nel cinema di Lust viene a mancare, a favore di un immaginario articolato nel quale trovano posto attori-soggetti e non oggetti, che riporta in primo piano il tema del desiderio come elemento sovversivo e in grado di generare un’apertura, uno spazio vivo e non asservito a una estetica preordinata, sebbene resa più accessibile a un pubblico di massa grazie a una forma filmica dichiaratamente modellata su quella del cinema della grande distribuzione.

CultFrame – Arti Visive ha intervistato la regista svedese.


Perchè hai scelto di dedicarti al cinema porno?

Alcuni anni fa non mi sarei immaginata a fondare una casa produttrice. Vengo dal mondo accademico, sono laureata in scienze politiche e mi immaginavo che, in un futuro, avrei lavorato in organizzazioni internazionali. Sono specializzata in femminismo e ho sempre avuto l’intenzione di lavorare a pro di un mondo più guisto, in linea con la società svedese dalla quale provengo.
Però mi sono subito resa conto che la politica è molto lenta, è difficile ottenere un impatto forte sulla società. E inoltre mi stavo annoiando, volevo fare qualcosa di più creativo, e dato che mi affascinava il mondo dell’audiovisuale, mi sono decisa a cambiare direzione. Sono convinta che si può fare molta politica anche attraverso l’audiovisuale, guarda per esempio i documentari di Al Gore o Micheal Moore, sicuramente hanno avuto più influenza di molti politici.
Arrivata a Barcellona, città della quale mi sono subito innamorata, ho iniziato a lavorare nel mondo del cinema come assistente e nei pub, e quando ne ho avuto l’opportunità, ho girato il mio primo corto, The Good Girl (che potete trovare, insieme a molti altri lavori, sul sito di Lust Cinema).
Da lì è iniziata la mia avventura…

Chi sono stati i tuoi mentori e quali le tue influenze estetiche?

Mi ispiro al mondo del cinema tradizionale: registe come Sofia Coppola, Susan Bier o Kiberly Pierce hanno un gran ascendente su di me. Per quanto rigurda i miei mentori… non ne ho. Ho iniziato quest’impresa grazie all’aiuto del mio socio, che è mio marito.

Come regista e donna artista, qual è la tua opinione in merito all’industria dell’hardcore?

intervista alla regista Erika Lust
Erika Lust. © Lust Films

Diciamo che il porno tradizionale, l’industria dell’hardcore, si dirige ad un pubblico prettamente maschile. Difatti, si basa quasi esclusivamente sulla soddisfazione dell’uomo, dei suoi desideri eterosessuali, attraverso la rappresentazione di belle ragazze che fanno di tutto. E tutto ció a me non piace.
Sto parlando di qualcosa di ovvio. Tutti i film del porno tradizionale, se ci fai caso, finiscono con l’eiaculazione maschile, prova della loro soddisfazione e punto culminante di un climax ascendente. Capirai, dunque, che è abbasstanza difficile vedere le cose in maniera diversa da un qualsiasi ragazzo senza gusto (ció non vale per alcuni ragazzi dai gusti più sofisticati, ormai annoiati da questo genere di porno).
Per questo cerco di creare film porno, ma con una certa atmosfera di passione, che si centrano sulla visione e il desiderio femminile; e, chiaro, con una certa accuratezza per quanto rigurada il set, la musica, la trama, i personaggi…Non mi fraintendere, è in ogni caso porno, ma di diverso tipo. A volte uso alcuni cliché, come il ragazzo che consegna la pizza in The Good Girl, ma sotto un altro punto di vista, più divertente e giocoso. È la storia di una ragazza che fa sesso con il ragazzo che consegna la pizza, ma rappresentato con stile.

Internet ha profondamente cambiato la fruizione della pornografia: qual è il tuo punto di vista in merito?

Oggigiorno tutti usano internet per fare qualsiasi cosa: vedere film, multimedia, comprare, cercare informazioni,… Oltretutto, è un canale che offre una certa discrezione, per esempio, per quelle persone che provano vergogna ad andare in una boutique erotica, ma vogliono comunque comprare dei sex toys.
Per quanto rigurada, poi, il mondo del cinema, internet rappresenta una vera rivoluzione: è la chiave per far conoscere film e attori.
Bisogna adattarsi a questo gran cambiamento, in quanto è il nuovo sistema di distribuzione dell’intrattenimento (musica, cinema, libri) ed evidentemente anche del cinema per adulti.
Insomma, ho una filosofia pro-internet…basta dare un’occhiata ai miei siti erikaluststore.com   e lustcinema.com, dove si trovano cose molto interessanti…

Intervistando Bruce LaBruce, gli chiesi cosa pensasse riguardo al cosiddetto “post-porn”, un genere in cui vengono inscritti anche i tuoi film. Ma a differenza di molte produzioni queer o indie, i tuoi film sono esteticamente raffinati, più vicini all’estetica del cinema mainstream che ad autori prossimi alle tue tematiche come Maria Beatty, Mia Engberg o LaBruce.

Diciamo che non mi sento identificata con il post porn di Bruce LaBruce, mi vedo decisamente più vicina all’indie e all’arthouse. Nel postporn il sesso non è rappresentato come qualcosa di bello, estetico, sensuale…valori da me condivisi.

I tuoi film hanno ricevuto numerosi premi e riconoscimenti e hanno catturato l’attenzione dei media di tutto il mondo, venendo spesso definiti “porno femministi”. Sei d’accordo con questa categorizzazione?

intervista alla regista Erika Lust
Erika Lust. Foto di Mireya de Segarra.© Lust Films

Sì e no. Ti spiego. Femminismo è visto come qualcosa di negativo: nell’immaginario collettivo una femminista è una donna fisicamente trascurata che parla solo dei suoi diritti. E di fatto, non è così. Mi sono specializzata in femminismo all’univesità e ho investigato molto nel settore, arrivando alla conclusione che il discorso femminista non è uguale per tutte le donne, c`è quella che lo difende davvero e quella che lo usa come “standard”. Secondo me, il femminismo parte dalla sostanziale differenza tra uomini e donne, dalle differenze socioculturali che ci caratterizzano.

La mia visione femminista si basa sul piacere della donna, e sul fatto che non ci può essere sesso senza emozione, filo conduttore della storia. Ci sono dei personaggi che fanno sesso davanti alla cinepresa, dunque mi chiedo…cosa li ha portati a fare sesso? che relazione hanno i due? cosa succederà dopo? è possibile che abbiano qualcosa da dire? può essere interessante? Di fatto, non è altro che dare una trama, un contenuto alla storia, ed emozioni e sentimenti ai personaggi. Lo stesso succede per l’etichetta “porno”, visto come qualcosa di prettamente maschile e volgare, fatto dagli uomini per gli uomini. Per questo mi piace definirmi regista di cinema adult indie, nuovo cinema erotico

Secondo te in che modo l’orientamento sessuale e il genere influenzano lo sguardo sull’erotismo e l’approccio alla pornografia?

Uomini e donne non sono uguali, hanno diversi gusti e percorsi socioculturali. È ovvio che non possono, se non in alcuni casi, avere lo stesso approcio al sesso e all’erotismo.

Mi sembra che il tuo lavoro sia essenzialmente incentrato sul tema del desiderio e in questa prospettiva mi appare più complesso e rivoluzionario, nonché poetico. Cosa ne pensi?

Che bel complimento, grazie! Non posso far a meno di condividere.

Ho trovato molto interessante l’esperienza di “Barcelona Sex project” : puoi dirmi qualcosa in merito a questo progetto?

È stato un progetto molto interessante e sperimentale. Abbiamo scelto di rappresentare la masturbazione, un genere tabù per la società ma, allo stesso tempo, considerato light dall’industria del porno.

Parlami del tuo rapporto con i tuoi attori.

Per il casting faccio fatica, non è come nel cinema porno tradizionale. Cerco attrici e attori che siano in grado di fare quel tipo di riprese, certo. Corpi nudi in movimento, primi piani e scene hard. Ma non basta, ho bisogno di capacità espressive particolari, sono molto esigente. Li scelgo, inoltre, dal tipo di ruolo che intendo fargli interpretare, e mi piace anche lavorare con attori che sono coppie vere, ma non sempre è possibile.
Tutto è importante per me, ovvio, verifico che gli attori siano in buona salute, che non siano soggetti a nessuna malattia sessualmente trasmittibile, ma è anche importante che siano puntuali e che non facciano di testa loro. Comunque non ho mai avuto problemi, gli attori spagnoli sono veri professionisti. Non ho gli ho mai forzati a fare cose che non volevano.

Durante le riprese di uno dei miei film, Life, Love, Lust, ho lavorato con una coppia di attori che lo sono anche nella vita reale, Yoha e Leo. Interpretavano un cuoco e una cameriera che lavoravano nello stesso ristorante, e li, una notte, dopo aver chiuso il locale, hanno festeggiato il compleanno di lui. I due si sono lasciati andare a delle scene di sesso e amore come solo una coppia vera sa fare. Hanno interpretato vari film insieme, facendo molto sesso meccanico e ripetitivo davanti alla cinepresa. Mi sono commossa quando mi hanno confessato che era la prima volta che lo facevano con amore, dolcezza, e ciò mi ha fatto rinnovare i propositi della mia crociata: ottenere che nel nuovo cinema per adulti ci sia contatto, dolcezza, intimità…e amore.

Il tuo ultimo lungometraggio “Cabaret Desire” è decisamente il tuo progetto più ambizioso. Il film ha una dimensione narrativa pienamente espressa e si percepisce uno slancio costante verso il raggiungimento di una compiutezza estetica. In quale direzione ritieni si stia sviluppando il tuo cinema?

Il mio cinema va verso una dimensione più narrativa, estetica, emozionale…il mio scopo è elevare il cinema adulto ad un livello comparabile a quello di un altro tipo di intrattenimento audiovisuale, quello classico.

© CultFrame 06/2012

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