Liberté. Intervista al cineasta apolide Tony Gatlif

tony_gatlif-libertéÈ difficile definire un personaggio come Tony Gatlif. Sicuramente possiamo dire che è di origini gitane; nato ad Algeri e stabilitosi in Francia dall’età di 14 anni. Possiamo affermare che ha girato undici film a partire il 1982 e che ha vinto numerosi premi: miglior regia al Festival di Cannes 2001 con il film Exils e due volte il Premio César per la migliore musica da film, nel 1999 con Gadjo dilo – Lo straniero pazzo e nel 2001 con Vengo – Demone flamenco. Ma se cerchiamo di catalogare il cinema di questo eccellente regista ci accorgiamo come sia impossibile. Musical? Commedia con musica? Pellicole on the road? Cinema sociale? Melodrammi politici? Undici pellicole una più diversa dell’altra con un unico denominatore comune: le usanze, il ritmo e lo spirito indomito del suo popolo.

I rom sono spesso i protagonisti dei suoi lavori. Una popolazione spesso incompresa e discriminata. Il suo ultimo film, Liberté, narra le vicende dei circa trentamila rom francesi arrestati e deportati durante la seconda guerra mondiale. Il film è stato presentato all’interno della XVI edizione del MedFilm Festival. In questa occasione CultFrame l’ha incontrato.

Da quale urgenza è partito per realizzare il suo film?

Dall’urgenza di raccontare storie che nessuno, oppure pochi, conoscono. Il popolo di Francia deve conoscere questa storia che è successa negli anni ’40. All’epoca c’era una Francia buona e una Francia cattiva. La Francia cattiva era quella facista di Vichy, che ha deportato in più di quaranta campi di concentramento una grande fetta degli zingari francesi. Sembrerebbe che poco è cambiato da quegli anni lì ad oggi. almeno per la condizione dei rom. Anzi, siamo noi che siamo ritornati negli anni ’30. Non negli anni ’40 quando tutto era diventato fascista. Un po’ prima quando tutto si stava delineando.

Ma non le inquieta questa cosa?

Moltissimo. La politica viaggia velocemente. E cosi quando hanno dichiarato guerra agli zingari e ai rom, ho dovuto reagire. Mi ricordo che mi sono svegliato una mattina e alla radio diceva proprio questa cosa: il presidente Sarkosy aveva dichiarato guerra ai rom nonostante fossero francesi. E mi sono arrabbiato così tanto che mi sono messo a parlare con tutte le radio e con tutte le tv per denunciare questa cosa. Eravamo in quattro o cinque a parlare ma nonostante ciò siamo riusciti a cambiare una simile situazione.

Ma lo sa che circa il 60 % dei francesi sono favorevoli?

Non ci posso far nulla. L’unica cosa che posso fare è spiegare, a tutte le persone che non lo conoscono, il problema delle “gens du voyage”, un termine amministrativo.
Io parlo piuttosto di rom, dei manouche che sono in Francia da molto molto tempo, spesso si dice dai tempi di Francesco I. E i gitani che sono nel sud della Francia e della Spagna.
Ecco, è tutta una popolazione che vive lì dal medioevo, sono in Europa e hanno contribuito a fare l’Europa, la cultura,  tutto quello che si intende per Europa. E, dunque, oggi vogliono farci diventare invisibili. Vogliono dimenticare la nostra esistenza. Ma come può un popolo di dieci milioni di persone sparire all’improvviso?

Tornando ai suoi temi “tipici” che cosa significa il viaggio per lei?

Il viaggio per me è una cosa innata, è come respirare, significa cultura ma non è una cosa intellettuale. È una questione poetica, un sogno. Anche se le frontiere in Europa esistono solo per i gitani e i terroristi.

I suoi film hanno un ritmo molto particolare. Sono come le canzoni: hanno una introduzione poi c’è il tema che cresce e infine il finale sempre fiammeggiante. È  la musica a dettare il ritmo?

La musica nei miei film non è mai un semplice commento. La musica si muove parallelamente alle immagini. E racconta la stessa storia. In altre parole, la musica racconta la stessa vicenda che espressa attraverso le immagini.

Nei suoi lavori ci propone dei personaggi molto attivi e sensuali. Penso ai due protagonisti di Exils e la loro splendida nudità. È forse la mancanza di queste componenti uno dei problemi della nostra società?

La società, soprattutto quella occidentale, è depressa. È evidente, basta osservare le persone nella metro, in auto. Questa è una società chiusa e sclerotizzata. Rinchiusa in un sistema dal quale non può uscire. La causa della crisi economica, oggi, è proprio questa. Esiste troppo controllo, troppo “diritto” e il mondo è virtuale.  E per questo motivo che ogni corpo estraneo e diverso viene espulso. Vi dice niente questo?

© CultFrame 11/2010


IMMAGINE

Frame del film Liberté di Tony Gatlif

LINK
Filmografia di Tony Gatlif

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